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Siiri indossava solo una camicia da notte a pois e stava andando da Irma per prendere insieme il consueto caffè solubile, quando si accorse di un pacchetto appoggiato sulla sua cassetta delle lettere. Al Lieto Tramonto tutti, fuori dalla porta d’ingresso del proprio appartamento, avevano una grande cassetta per le lettere, e lì ricevevano la posta, che non veniva infilata in casa da una fessura nella porta come nei veri condomini. La caporeparto aveva spiegato che così si garantiva la privacy e una maggiore sicurezza. Siiri era sorpresa. Non aveva mai ricevuto una lettera e neppure una cartolina, solo volantini pubblicitari. E poi erano appena le nove del mattino, la posta non veniva mai consegnata così presto. Prese il pacchetto e bussò alla porta di Irma.

«Non aprirlo» le disse subito l’amica. Neanche lei era ancora vestita, stava leggendo il giornale in vestaglia seduta sulla poltrona con le rose, e guardò quell’oggetto sospettosa. «Insomma, non c’è neanche scritto chi lo manda.»

Giusto. E a ben vedere non c’era neppure il nome di Siiri, era impossibile sapere se fosse davvero indirizzato a lei. E se qualcuno l’aveva semplicemente dimenticato? Poteva anche essere che arrivasse da una persona interna alla residenza.

«E se fosse uno spasimante?!» si galvanizzò Irma che immediatamente gettò il quotidiano per terra. «Chi potrebbe mai essere, visto che il tipografo è nel reparto d’isolamento? Lui ti ha sempre adulato definendoti la ragazza più carina del Lieto Tramonto.»

«Ma non dire idiozie!»

«Anche Eino potrebbe essere un tuo ammiratore» continuò. Per lei era divertente pensare a sciocchezze del genere. «Margit è sempre così scontrosa e il marito è un uomo che ha ancora molto da dare... lo si sente ogni pomeriggio fino in corridoio. Al funerale di Tero ti teneva gli occhi addosso.»

Irma mise a bollire l’acqua, riscaldò della zuppa di piselli nel microonde e prese dal mobile una torta al cioccolato avanzata dal giorno prima, quando alcuni dei suoi tesorini erano andati a farle visita. Per Siiri era strano che i tesorini non l’invitassero mai a casa loro né al ristorante. Si presentavano dalla madre quando la tavola era già imbandita, proprio come se fossero ancora dei bambini piccoli. In ogni caso, la torta e la zuppa si accompagnavano molto bene al caffè solubile.

«Toorta» la corresse Irma. «Toorta e zuppetta, per l’appunto. Prendi del vino rosso?»

Siiri le fece notare che erano appena le nove ma Irma non le credette e si riempì il bicchiere.

«Come potresti aver ricevuto della posta se fossero solo le nove?»

Siiri fu costretta a spiegare tutto dal principio: sul pacchetto non c’era neppure un francobollo, quindi non era approdato per posta alla sua porta.

«Ah sì, ecco com’era» confermò Irma, buttando giù un bel sorso di vino rosso. «Vino e toorta, questo sì che è favoloso. Credimi, quel pacchetto viene dal marito di Margit. Che cosa c’è dentro? Perché non lo apri? E se ci fossero delle mutandine?»

«Ma sei impazzita?» sbottò Siiri. Decise che avrebbe portato quel pacchetto alla direttrice, la faccenda era sospetta.

«Ho spaccato!» esclamò Irma mentre mangiava rumorosamente la zuppa. Seguì una smorfia sgradevole – cucchiaio d’argento, zuppa di piselli e vino rosso non dovevano sposarsi molto bene. «Il pacchetto è di Erkki Hiukkanen. Vuole scusarsi per quella mattina che mi ha sorpreso svestita. Da allora non ho più il coraggio di dormire nuda, anche se secondo me è meraviglioso. Guarda, per colpa sua adesso vado a dormire con mutandine di seta e magliettina.»

«Ma il pacchetto era sopra la mia cassetta per le lettere!» Irma cominciò a riflettere, era possibile che Hiukkanen avesse confuso le loro cassette? Era abbastanza tardi per prendere il whisky che le aveva prescritto il medico? Quel vino rosso non era per niente buono, forse era andato a male. Ne beveva troppo poco, e rimanendo in quel grosso cartone aveva finito per guastarsi.

«Bisognerebbe proporre alla catena Alko di fare delle confezioni più piccole, per una sola persona. È più leggero trasportare il vino nel cartone che nella bottiglia di vetro, e l’intero tragitto fino al supermercato di Munkkivuori lo faccio sempre a piedi, andata e ritorno.»

Siiri scese al piano terra con il suo pacchetto misterioso e solo in ascensore si rese conto di essere in camicia da notte. Irma aveva confuso le idee anche a lei, o forse era stato il pacchetto, o tutto l’insieme. Fece dietrofront, tornò nel suo appartamento, si vestì e si preparò per andare nuovamente di sotto. Faceva tutto molto lentamente, di tempo ne aveva, sempre. Adesso il tempo si poteva anche comperare. Il fidanzato della figlia del figlio di sua figlia le aveva comprato una tessera del tram a minuti, e così lei non doveva mai pagare il singolo biglietto. Cercò a lungo il suo bastone, ma non lo trovò. Pazienza, se la sarebbe cavata lo stesso. Per fortuna, un attimo prima di chiudersi la porta alle spalle, ricordò di prendere con sé il pacchetto.

Al piano terra c’era già movimento. L’ambasciatore giocava a carte con i Partanen, e anche se Siiri non aveva creduto alle sciocchezze che aveva detto Irma, in un certo senso si sentì in imbarazzo quando li vide.

«Cos’è quel pacchetto?» domandò l’ambasciatore.

«Non lo so» rispose Siiri guardando di sottecchi il marito di Margit per vedere come reagiva. Niente, nessuna reazione. Anzi, aveva tutta l’aria di non ricordarsi di averla mai vista.

«Sono l’agronomo Eino Partanen» disse alzandosi in piedi e allungando la mano.

Di fatto non si erano mai presentati ufficialmente. I nuovi arrivati al Lieto Tramonto si mescolavano agli altri poco a poco, e di molti nessuno sapeva nulla. Eino non era quindi così fuori di testa come poteva sembrare. Anche Siiri si presentò, ma prima che facessero in tempo a stringersi la mano, Margit strattonò il marito facendolo mettere seduto e intimandogli di stare zitto.

«Perché non lo apri?» le chiese stupito l’ambasciatore, e Siiri spiegò che intendeva restituirlo. Allora lui cominciò a raccontare dei pacchetti che, all’epoca della guerra fredda, era stato costretto ad aprire, durante l’elettrizzante esercizio delle sue funzioni diplomatiche nei paesi comunisti. Nessuno gli dava ascolto. Margit stava ancora sgridando suo marito e lui tremava. Siiri augurò al gruppo un buon proseguimento di giornata e si avviò verso l’ufficio di Sinikka Sundström. Come l’altra volta, nella stanza vibrava la vivida fiamma di una candela, evidentemente messa lì per ravvivare l’atmosfera.

«Questa sì che è una sorpresa» disse Sinikka. «Come stai? Accomodati.»

«Ho ricevuto un pacchetto» la informò Siiri. Pensava fosse bene andare diritta al punto. Era inutile importunare la direttrice più del necessario. Anche in quel momento aveva l’aspetto di una che aveva pianto tutta la notte, i capelli arruffati e gli occhi rossi. Provò compassione per lei. «Credo si tratti di un errore. Non c’è alcun nome, né il mio né quello del mittente.»

Sinikka Sundström guardò terrorizzata il pacchetto. Non osava toccarlo, forse pensava potesse essere una bomba. Siiri lo teneva in mano e sorrideva con aria rassicurante. Non è un attentato, avrebbe voluto tranquillizzarla, ma magari avrebbe ottenuto l’effetto contrario. La direttrice pareva totalmente incapace di agire. Siiri provò ad aiutarla.

«Dovrei portarlo a qualcun altro? Magari è una cosa che riguarda il responsabile della qualità Pertti Sundström, o il responsabile operativo d’istituto Erkki Hiukkanen.»

Sul viso di Sinikka Sundström si diffuse un’espressione di sollievo. Agguantò il telefono e chiese a Virpi di raggiungerla. In un attimo la caporeparto stava in piedi dinanzi allo scaffale dei faldoni, senza dire una parola e con una gomma da masticare in bocca. Siiri sospettava che fosse una ex fumatrice, doveva pure esserci una ragione per quel suo continuo e rozzo masticare.

«Puoi aiutare tu Siiri Kettunen? Dev’esserci un equivoco con quel pacchetto» disse la direttrice. Poi le accompagnò fuori dalla porta e diede a entrambe un colpetto sulla spalla, con l’unico scopo di tranquillizzare se stessa.

«Buona giornata! Ciao ciao!»

La caporeparto non degnò Siiri nemmeno di uno sguardo e percorse a grandi falcate i pochi passi fino al suo ufficio. Dopo che Siiri la raggiunse lì dentro, Virpi diede alla porta un gran colpo per chiuderla, sputò la gomma in una tazza sulla scrivania e afferrò il pacchetto.

«Dove l’hai preso? Cosa vorresti insinuare? Per quale motivo l’hai portato alla direttrice?»

Virpi Hiukkanen fece un sospiro, si sistemò i capelli sottili e provò a ricominciare in maniera più pacata. «Tra i principi fondamentali della residenza per anziani Villa del Lieto Tramonto rientra, oltre alla sicurezza, il rispetto della privacy» disse, proprio come se elencare quei principi fosse una specie di mantra calmante. Ma non funzionò. Un istante dopo era di nuovo in preda al furore e non riusciva nemmeno a mettersi seduta. Andava avanti e indietro e gridava così forte che doveva sentire tutto perfino l’ultimo demente sordo del reparto d’isolamento.

«Chi te l’ha portato? Cioè, chi e quando? L’hai aperto? È inutile che fingi di non sapere nulla, io ti conosco. Mi devi dire tutto quello che sai su questo pacchetto. Tutto! Dimmi da chi lo hai avuto! Oppure ce lo hai messo tu lì? Dov’è che lo hai messo?»

Lì sì che ci sarebbe stato bisogno di Irma. Solo lei sarebbe stata capace di difendersi dal cieco attacco di collera di Virpi. Siiri stava per dire che la casa per anziani garantisce solo solitudine, non intimità, ricordando le parole dell’amica, ma le forze iniziavano a venirle meno e la vista le si annebbiò.

«Mi può aiutare?» chiese appoggiandosi al bordo della scrivania, ma Virpi continuò a parlare.

«Non provarci nemmeno a fare la parte di quella fragile. Chi ti lasciato questo pacchetto? Devi dirmi la verità!»

«Mi gira la testa» riuscì ancora a dire Siiri, prima di accasciarsi sul pavimento. Si sentì un forte colpo. Anche se era una vecchina di piccole dimensioni, cadendo si era tirata dietro la sedia e parte dei fogli posati sulla scrivania.

Quando Siiri riprese i sensi era ancora sul pavimento dell’ufficio della caporeparto, completamente sola. Non aveva la minima idea di quanto a lungo fosse rimasta distesa lì, con la camicetta che era scivolata su fino alle orecchie. Si vergognò e provò a tirarsi su, ma non ci riusciva. Doveva aspettare un attimo. Si guardò intorno, le sembrava di vederci bene. C’era silenzio dappertutto fuorché nella sua testa. Sentiva sibili e ronzii, ma alla sua età non era una cosa insolita. Fece oscillare i piedi con cautela, si muovevano entrambi, erano interi. Sollevò poi le braccia. Il destro le faceva un po’ male e le doleva anche una costola. Stava giusto per alzarsi e mettersi seduta quando il telefono cominciò a squillare. Virpi si precipitò dal corridoio per rispondere.

«Ancora qui?» le disse scavalcandola. La telefonata fu breve. «Ce l’ho io. Ti richiamo tra poco» furono le uniche parole della caporeparto.

Riagganciata la cornetta, Virpi tornò a scavalcare Siiri, che in quel momento sotto la gonna distinse una sottoveste nera. Che qualcuno le usasse ancora la stupì non poco, erano talmente scomode.

«Puoi venire ad aiutarmi?» urlò la caporeparto rivolta verso il corridoio, e nella stanza entrò una giovane praticante per nulla meravigliata di vedere Siiri lì a terra. Senza dire nulla, la sollevò con modi sgraziati e la trascinò verso l’ascensore. Siiri non poteva credere che una giovane infermiera fosse così goffa, che non sapesse come sorreggerla senza farle male. Ma che cosa le avevano insegnato a scuola?

«Mi scusi, è che sono spaventata» disse. «Non ho mai lavorato con persone anziane. Noi ci esercitiamo con le bambole.»

«Non hai una nonna?» chiese Siiri sconcertata, svincolandosi dalla sua morsa.

«Ha sessantasette anni, non è molto vecchia.»

«Io ne ho molti di più e tu potresti essere la mia pronipote! E se ti adottassi?»

La ragazza ebbe quasi il coraggio di ridere. Siiri le mostrò come si doveva porgere il braccio alla persona che si accompagnava, senza stringerla con troppa forza, e si misero in marcia verso l’ascensore. Dopo qualche passo le disse che poteva cavarsela senza il suo aiuto, accanto a quella ragazzina impaurita si sentiva abbastanza forte.

«Che cosa le è successo lì dentro?» chiese la praticante preoccupata.

«Credo sia stato un episodio di aritmia cardiaca» rispose, ma l’infermiera non le credette. Credeva che le aritmie fossero sempre fatali e invece lei stava bene.

«È semplicemente svenuta. Ci hanno detto che alla sua età sono cose che capitano. È normale. Si ricordi di bere tanta acqua, ogni giorno.»

L’ascensore arrivò. La praticante salutò Siiri con la mano e se ne andò facendo dondolare la coda di cavallo da una spalla all’altra. A Siiri piaceva, un giorno sarebbe diventata una brava infermiera.

Rimasta sola in ascensore rimuginò su tutto quello che nella sua vita era stato “normale”: dolore della crescita da piccola, fitte mestruali, paura della gravidanza e del parto, stanchezza della mezza età, apatia, insonnia ed emicranie, dolori ricorrenti da anziana, indolenzimento generale, rigidità, sibili nella testa, ronzii nelle orecchie, e ora aritmie cardiache. Tutto tranne che la morte. Iniziò nuovamente a sentirsi mancare. Le pulsava la testa. Si appoggiò alla parete dell’ascensore e si aggrappò al corrimano con entrambe le mani. Nello specchio vide una donna anziana e terribilmente pallida. Era lei.

«Tic tac, tic tac, tic tac» disse salutando quel mostro nello specchio e avanzò lentamente verso il proprio appartamento. Arrivata alla porta si accorse di aver lasciato il misterioso pacchetto nella stanza della caporeparto e pensò che era quello il suo posto.

«Che meraviglia non avere alcuna responsabilità e poter schiacciare un pisolino quando ti pare e piace» disse tra sé ad alta voce, poi si mise sul letto, sbadigliò e chiuse gli occhi. Sperava che morire fosse così. Felici sono coloro che muoiono nel sonno.