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I funerali di Reino Luukkanen si tennero nella settimana in cui la temperatura finalmente scese sotto lo zero, e la pioggia si trasformò in neve. Era già il terzo giorno di fila che nevicava e il traffico era in tilt. Gli spazzaneve dovevano liberare al più presto le strade e così la neve venne ammucchiata sui marciapiedi e nei cortili. Con sedie a rotelle e deambulatori era impossibile muoversi anche solo per un paio di metri.

Usando i coupon dell’ambasciatore, fecero chiamare due taxi attrezzati per i disabili. In uno salirono l’ambasciatore, Anna-Liisa e Siiri, nell’altro i Partanen e la dama col cappellino, che negli ultimi tempi si era ripresa e aveva iniziato a bussare di porta in porta. Sosteneva di essere portatrice del messaggio di Gesù, ma secondo Siiri e Anna-Liisa era solo una scusa per mendicare caffè e dolcetti. Quando arrivava, tirava subito fuori la Bibbia e cominciava a fare mille domande su questioni delicate.

«Non ho ancora trovato la mia strada» le aveva risposto Siiri provando a essere delicata, ma fu un errore. La dama col cappellino a quel punto le aveva riservato un trattamento speciale, credeva che Siiri fosse terreno fertile, e aveva cominciato a tormentarla. Ecco perché Siiri era salita sull’altro taxi.

L’entrata del crematorio non era raggiungibile in auto. I taxi li lasciarono sul ciglio della strada senza offrire alcun aiuto, scaricarono carrozzelle e carrellini sulla neve e sgommarono via. Il gruppo rischiava di arrivare in ritardo, avanzare tra i cumuli di neve era un’imprea, anche se cercavano di sostenersi l’un altro. La neve bloccava le ruote dei deambulatori e delle sedie a rotelle, spingerli era pressoché impossibile. Il bastone dell’ambasciatore rimase incastrato nella maniglia del deambulatore di Anna-Liisa, la dama col cappellino cadde sulla neve e sembrava che a Margit stesse per venire un infarto.

«Nessun problema, in un modo o nell’altro, il crematorio ci attende!» gridò ottimista l’ambasciatore.

Una donna sagrestano, mingherlina e senza giacca addosso, corse in loro soccorso. Riuscì a far giungere a destinazione carrozzelle, girelli e vecchietti. Era coperta di sudore. La saletta dell’ingresso era molto piccola: tutti cercarono di togliersi giacche e cappelli e di liberare i fiori dagli involucri. Anna-Liisa lasciò il suo girello al guardaroba, temeva che fosse d’intralcio, e poi era rosso, poco consono alla circostanza.

Il vecchio crematorio era un posto tetro, angusto e spoglio. Dietro l’orribile porticina in fondo alla sala c’era il forno. A Siiri non era mai piaciuto il modo in cui la bara scivolava sui binari verso quell’antro, sotto lo sguardo dei presenti. Immaginava le fiamme ardenti di quel purgatorio doloroso che la divoravano, malgrado Anna-Liisa le avesse spiegato che bastava il calore a ridurla in cenere, non c’erano fiamme, e tutto accadeva premendo un pulsante, proprio come con la macchinetta del caffè. Siiri pensava che i funerali più riusciti fossero quelli nella cappella di Hietaniemi. Per essere stata progettata da Theodor Höijer, era straordinariamente bella. Chissà, invece, chi era stato l’artefice del cupo crematorio.

Al funerale c’erano in pratica solo loro. Presero posto sul lato sinistro, in quarta e quinta fila. Non volevano essere troppo vicini alla bara quando si sarebbe mossa per il suo ultimo viaggio. Dall’altra parte del corridoio c’erano solo due uomini, parenti che non avevano mai visto.

«Siamo i nipoti» spiegò uno dei due, annuendo afflitto.

«Bene bene, arrivati giusto in tempo per assicurarvi l’eredità» commentò l’ambasciatore in maniera un po’ sconveniente, ma gli uomini sorrisero.

«Zio Jaakko non ha lasciato nulla. Tutto quello che possedeva è stato risucchiato dalla residenza per anziani.»

«Siamo al funerale di Jaakko?» domandò Eino che non indossava nemmeno un abito nero, ma i pantaloni scuri di una tuta e un maglione di lana.

«È stato un bene che abbia potuto trovare assistenza lì, non avevamo di che preoccuparci.»

«Sì, siamo al funerale del tipografo, ora stai zitto» sussurrò Margit al marito. Se ci fosse stato un pulsante per metterlo in modalità silenziosa l’avrebbe premuto più che volentieri.

Il funerale fu piuttosto desolato, c’era da aver compassione del povero tipografo. Il pastore spese solo due parole e i nipoti non andarono nemmeno a pregare accanto alla bara. E per di più, la dama col cappellino si addormentò nel bel mezzo della funzione. Per avvicinarsi alla bara con le carrozzine ci misero di nuovo un sacco di tempo. In genere era il tipografo a pronunciare una frase di commiato, e ci fu un attimo di esitazione sul da farsi. A toglierli dall’imbarazzo intervenne l’ambasciatore.

«Alla memoria di un buon caro amico» disse in maniera quasi incomprensibile, cosa che infastidì Anna-Liisa.

«Non ho capito, di chi era amico il tipografo? Ma si chiamava Jaakko?» gridò Eino alla moglie, mentre stavano tornando a sedersi. Fortunatamente proprio in quel momento l’organista attaccò con il salmo, e non ci fu bisogno di fornirgli spiegazioni. Irma non c’era, nessuno cantò e Siiri fu presa dalla nostalgia. Chissà quanto si sarebbe divertita, ma era nel reparto d’isolamento, legata a un letto e privata di ogni svago.

Dopo il funerale si trasferirono al ristorante Perho, in via Mechelinin, per il ricevimento di commemorazione. Una noia mortale. Ci lavoravano gli studenti della scuola alberghiera e il servizio era sempre a dir poco lento. Aspettarono il caffè per venti minuti e a Siiri il sale arrivò solo al momento del conto.

Di mestiere i nipoti del tipografo spalavano neve dai tetti, facendola probabilmente cadere in testa alla gente. Erano di poche parole ma Irma avrebbe trovato il modo di attaccare bottone anche con loro. Avrebbe fatto domande spassose, del tipo: che lavoro fa d’estate un uomo delle nevi? In quell’occasione fu Anna-Liisa a prendere in mano la situazione.

«Quando c’è così tanta neve, con il deambulatore non si riesce ad andare da nessuna parte. Alla nostra età, di neve ne abbiamo già vista troppa e non ne vorremmo proprio dell’altra.»

Ne nacque una conversazione sulla neve, ma Siiri non vi prese parte. Guardava fuori dalla finestra provando a mandare giù la sua inquietudine insieme a quel caffè acquoso. Non offrirono neppure la torta, quegli spilorci dei nipoti del tipografo. La comitiva se ne tornò a casa in tram, nessuno aveva il cellulare e il personale del Perho non era nemmeno stato in grado di chiamare un taxi per disabili.

Una volta a casa, Siiri mise a fuoco che i nipoti avevano parlato tutto il tempo di un certo zio Jaakko, ma il tipografo si chiamava Reino, non aveva dubbi. Avevano beccato il funerale sbagliato!

«Tic tac, tic tac, tic tac» disse tra sé e rise a crepapelle, tanto da farsi venire i crampi alla pancia.