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«Chicchirichì!» si sentì in lontananza. In quel momento Siiri e Anna-Liisa capirono che Irma era finalmente guarita. Sembrava molto più piccola e diversa in quel letto dell’ospedale di Töölö, ma era una cosa frequente per le persone ricoverate.
«Mi davate già per morta, vero?!»
Siiri avrebbe voluto fare le fusa come una gattina tanto si sentiva felice che la sua cara amica fosse di nuovo se stessa. Sedette sul letto accanto a lei e sentì una calda sensazione in tutto il corpo, fin nelle dita dei piedi, anche se i suoi erano sempre ghiacciati. Irma era comprensibilmente perplessa, non sapeva perché fosse finita in ospedale, né tutto quello che era successo. Chi mai si sarebbe preso la briga di raccontarglielo? Sua figlia stava facendo un salto in Patagonia, o forse in Islanda, e nessuno dei tesorini sapeva alcunché di quanto era accaduto al Lieto Tramonto.
«Erano meravigliati che fossi di nuovo perfettamente lucida. Già pensavano che me ne sarei stata a letto come un vegetale per i prossimi dieci anni. Avrei senz’altro rimpianto di non potermi godere la festa dei cento anni, come potete immaginare!»
«Possiamo, eccome» disse Anna-Liisa nel suo modo cupo, e anche Irma si fece seria.
Dovevano raccontarle qualcosa di quanto era avvenuto durante l’inverno, ma era difficile immaginare che cosa sarebbe riuscita a capire, e quanto avrebbe resistito. Anna-Liisa seguì l’ordine cronologico, mentre Siiri scrutava le reazioni dell’amica, felice per la sua voce, i gesti, gli occhi vispi. Tutto era di nuovo come una volta.
«Ma pensa un po’» ripeteva Irma in continuazione. Scrollava il capo e mormorava a labbra strette: «Oh mio Dio!» Ogni tanto non credeva alle sue orecchie ed esclamava: «Ma non dire stupidaggini!» Alcune cose, piuttosto importanti, le aveva completamente dimenticate. «Mika chi?» E, per la gioia di Siiri, rideva di gusto di questo e di quell’altro. Più di tutto la divertì il racconto del suo attacco di collera nel reparto d’isolamento.
«Ma davvero ho dato un morso alla mano dell’infermiera?» chiese, mentre si asciugava le lacrime con uno dei suoi fazzolettini di pizzo. «Oh mamma mia, tra un po’ me la faccio addosso!»
Poi iniziò a cantare la canzone di August, curiosa di sapere come risuonasse la sua voce roca durante l’impeto di rabbia. Siiri provò a imitarla e Irma si divertì ancora di più. Anna-Liisa era seccata da quelle divagazioni, avrebbe voluto procedere con il racconto in maniera logica. Si alzò in piedi appoggiandosi alla spondina del letto e picchiettando energicamente i pugni.
«Mi fate parlare?!?»
La guardarono sbalordite, poi Irma batté le mani entusiasta: «Hai un cappellino nuovo, carinissimo!»
Anna-Liisa batté i pugni con più forza.
«Irma, ascolta! A gennaio siamo state al funerale del tipografo e a febbraio è morto Olavi, si è suicidato in ospedale, ha smesso di mangiare.»
«No, non è così!» Per una volta Siiri ebbe l’opportunità di correggerla. «Non siamo state al funerale del tipografo, non era il suo, anche se Reino effettivamente è morto. Irma, questa storia ti piacerà.»
«Basta! C’è una cosa molto importante di cui non abbiamo ancora parlato!» affermò Anna-Liisa, quasi gridando. Poi riacquistò il controllo di sé. «Mi riferisco all’incendio nel reparto d’isolamento, che è divampato nel magazzino dei pannoloni all’interno della sauna.»
«Sì, ma riesci a immaginare che siamo finite perfino alla cerimonia di commemorazione di un certo zio Jaakko, come uniche ospiti?!»
«Siiri, sei impossibile. Concentrati!»
Gli occhi castani di Anna-Liisa la incenerirono, e Siiri dovette cedere il campo. L’amica sbuffò e riprese stizzita la sua spiegazione.
«Come forse ricorderete, il deposito di pannoloni era l’ex...»
«Tuula, potresti mandare i miei saluti a Siiri Kettunen e dirle di venire qui a trovarmi?»
Siiri si spaventò. Lo sguardo di Irma era di nuovo spaventosamente vacuo, proprio come quando era ancora nel reparto. L’aveva scambiata per sua figlia. Dunque Irma era definitivamente ammattita, e quello di prima era stato solo un barlume di momentanea felicità. Oppure il canto del cigno prima della catastrofe finale. Durante il viaggio di ritorno, Anna-Liisa la convinse che era tutto assolutamente normale. Chi soffriva di demenza viveva momenti assai diversi tra loro. La confusione e la lucidità potevano alternarsi, anche a ritmo sostenuto, uno stato che era influenzato anche da una condizione fisica di stanchezza.
«Irma si è stancata perché avete parlato a vanvera per più di un’ora, e così non siamo neanche riuscite a raccontarle tutte le cose importanti.»
«Ma... dunque è così? Irma è demente? Non tornerà mai più come prima?»
«La demenza è il sintomo non la diagnosi, così come ti ho spiegato tante volte. Ma non sono mica un medico. Vediamo ora, con calma, un giorno alla volta, che cosa succederà.»
«Forse un giorno o forse mai, lo scopriremo. Tic tac, tic tac... Ah, scusa, a te non piace quando uso i modi di dire di Irma.»
Arrivate a casa, Siiri era davvero stanca. Le rimbombava la testa, si sentiva di giorno in giorno sempre più impotente. Se ne andò a letto e si addormentò leggendo un romanzo di Eeva Joenpelto, che cadde sul pavimento senza che lei se ne accorgesse. Fece un sogno molto divertente: Irma era giovane e carina e ballava scatenata al centro di una grande sala; Siiri provava a trascinarla con sé, ma lei non la seguiva. Allora restava a guardare l’amica ballare, felice, facendo le fusa come una gattina.