34
In men che non si dica, nella residenza si diffusero i pettegolezzi più disparati su quanto era successo la notte dell’incendio. Alcuni sostenevano che ad appiccarlo fosse stata Siiri, ma la dama col cappellino era sicura che il colpevole fosse Erkki Hiukkanen. L’ambasciatore aveva pochi dubbi, l’incedio era doloso e il movente andava cercato nella volontà di cancellare documenti contabili scomodi. Diceva che quando c’erano irregolarità, appiccare il fuoco era ormai la regola, lo facevano tutti.
I giornali si occuparono dell’accaduto. Nell’appartamento di Siiri, sorseggiando un caffè solubile, Anna-Liisa le lesse un articolo ad alta voce. Le dichiarazioni di Virpi Hiukkanen erano completamente false, sosteneva di essere stata la prima ad accorrere sul posto.
«Alle due di notte ho notato del fumo» aveva detto al giornalista, mentendo. Poi venivano descritte la rapidità e l’efficacia di Virpi ed Erkki nelle operazioni di soccorso. «Tutti i residenti sono stati messi in salvo e nessuno ha subito danni.»
«Puah! Informazione di bassa lega» borbottò Anna-Liisa. «Non dicono neppure come si è propagato l’incendio. Hai qualche idea? Eri lì, a differenza di questi che se ne vanno in giro a fare dichiarazioni.»
Siiri non sapeva davvero cosa pensare, anche se ci aveva meditato a lungo. Era sul punto di dire qualcosa a proposito della sauna quando Virpi, senza bussare, entrò nell’appartamento usando la propria chiave. Rimasero entrambe senza parole.
«Come va qui? Come ve la cavate?»
Virpi Hiukkanen era di buon umore. Prese a gironzolare lanciando tutt’intorno occhiate indagatrici. Diede a Siiri dei colpetti sulla testa, ma non rivolse nemmeno uno sguardo ad Anna-Liisa. Poi notò il giornale aperto sull’articolo della settimana prima, fece finta di ignorarlo e si voltò per andare in cucina.
«Com’è cominciato l’incendio?»
Anna-Liisa aveva rotto il silenzio senza alcun timore, cogliendo di sorpresa la caporeparto. Virpi si arrestò e, senza girarsi verso di loro, rispose: «La sauna del reparto d’isolamento. Sarà la polizia a chiarire tutto. E comunque, a essere precisi, la faccenda non rientra nella mia area di competenza ma in quella della direttrice.»
«Che cosa cerca nel mio appartamento?» domandò Siiri. Virpi disse di essere passata per vedere come stava. Che falsità!
«Poi, quando ti sarai ripresa, voglio scambiare due chiacchiere con te. Prima che lo faccia la polizia, così non andrai a raccontare le tue stupidaggini» sbraitò facendo per andarsene. «Hai preso le tue medicine? Il portapillole è pronto sul tavolo della cucina.»
Virpi si sbatté la porta alle spalle. Siiri provò a gridarle che la prossima volta che veniva senza essere stata invitata poteva anche suonare il campanello. Inutile, se n’era già andata.
«Ce l’ha con te» disse Anna-Liisa. «Ora sei tu la sua spina nel fianco, un soggetto molto pericoloso!»
Dopo quella constatazione Anna-Liisa sembrava euforica. Siiri, invece, fu assalita dall’inquietudine. Come sarebbe riuscita a spiegare a Virpi perché si trovava alle tre di notte nel reparto d’isolamento? E la polizia? Anche loro volevano interrogarla? Esisteva forse, da qualche parte su Internet, un video che la mostrava mentre entrava nel reparto con le proprie chiavi?
Chiese ad Anna-Liisa di cambiare argomento. L’incendio l’aveva sfinita e da allora se n’era rimasta quasi sempre a letto. L’amica si era presa cura di lei ogni giorno, portandole da mangiare, aiutandola ad andare in bagno e tenendole compagnia.
«Non ho mai pensato di poter diventare una vecchia quercia» disse Anna-Liisa dopo un lungo momento di silenzio. «Mi sono sempre considerata una donna debole ed ero convinta che sarei morta prima degli altri. E invece eccomi qui, l’ultima a essere rimasta in piedi. È davvero notevole.»
Siiri si meravigliò delle sue parole. Se c’era una persona forte, era proprio lei, così risoluta che, fosse stata un albero, sarebbe stata senz’altro una quercia.
«Eppure il mio cognome, Petäjä, significa pino. È carino, ma non mi sta affatto bene.»
Era il cognome del suo secondo marito. Si erano separati dopo la guerra perché si era rivelato un tipo violento e imprevedibile. La guerra gli aveva fatto perdere la ragione e, poiché Anna-Liisa non riusciva ad avere figli, aveva iniziato a incolparla di tutti i mali della sua vita. Un avvocato di loro conoscenza si era occupato della separazione con la massima discrezione, negli anni Cinquanta un divorzio era uno scandalo. Su Anna-Liisa erano state dette cose terribili, soprattutto quando si era trovata a lavorare in una piccola cittadina.
«Una donna divorziata era più o meno una puttana.»
Nel dire quella brutta parola abbassò la voce quasi in un sussurro. Raccontò che, quando era una giovane professoressa, andava a lavorare in pantaloni dando adito a illazioni di ogni tipo, dato che le donne potevano indossarli solo per sciare. Alla fine ne aveva avuto abbastanza e, per fuggire da quelle malelingue, si era trasferita a Helsinki.
Siiri la osservò, e solo allora si accorse di quanto fosse magra, alta, esile, e al contempo infondesse rispetto. Fino a quel momento non aveva mai pensato alla sua fragilità, era così energica e colta. Anche la sua voce era vivace, non certo quella di una debole vecchietta. E ora veniva fuori che non era nemmeno una zitella inacidita, era stata sposata almeno due volte!
«Questo Petäjä era il tuo secondo marito?»
«Esatto. Il primo studiava medicina quando è iniziata la Guerra d’inverno russo-finlandese. Ci siamo sposati in fretta e furia prima che partisse per il fronte, in un certo senso ci faceva sentire al sicuro» disse con una smorfia e sospirò.
«È caduto all’inizio del conflitto. Per un proiettile al ginocchio, pensa un po’! Organizzare i soccorsi era difficile, c’erano così tanti feriti, una situazione disperata. Ma tu lo sai bene cos’è il fronte, non ci sei stata anche tu durante la guerra?»
Anna-Liisa doveva essere una pacifista incallita. Per poco non andò su tutte le furie quando Siiri, presa dai ricordi, parlò della morte da eroi. Con uno sguardo allibito le domandò che mai ci fosse di eroico nel morire dissanguati in mezzo a un bosco per una ferita da niente. Secondo lei, la cosa peggiore dell’eroismo era che i caduti non potevano nemmeno essere pianti. Certo, anche lei aveva camminato a testa alta, come se ritrovarsi vedova a ventun anni fosse un grande onore. Non aveva mai versato una lacrima, neppure quando era da sola, malgrado all’epoca avesse pensato di non avere nella sua vita più alcuna speranza.
«E ora che ho novant’anni, ho cominciato a sognare quest’uomo e mi accorgo che lo piango ancora, nonostante non ricordi nemmeno che faccia avesse. Succede anche a te, che ricordi lontani riaffiorino a sorpresa, ora che sei così anziana? Nel senso che, pur non volendo, finisci per pensarci per forza?»
Siiri pensò al suo fratello più piccolo, Voitto, caduto nell’estate della Guerra di continuazione. Non aveva potuto piangere la sua morte. Di Voitto non si parlava, ma la sua foto in uniforme militare nel giorno del diploma era stata incorniciata e messa sul pianoforte per ricordare quel dolore messo a tacere. Ma Siiri aveva sentito sua madre gemere di notte, di nascosto. Non aveva molti ricordi di suo fratello. Si divertiva a prenderla in giro, e una volta aveva fracassato di proposito, con un calcio, la testa della sua bella bambola, l’unica che aveva. Dopo, l’aveva guardata dritto negli occhi ridendo. L’aveva fatto intenzionalmente, con sfrontatezza. Non lo sognava, però. Da qualche tempo era sua madre a tornarle alla mente, una donna molto difficile. Aveva creduto che il suo rapporto con lei fosse risolto ma, a novantaquattro anni, la mamma aveva iniziato a ossessionarla nei suoi sogni.
«Non è un po’ strano?»
«Non si può vivere così a lungo» dichiarò Anna-Liisa, dopo aver riflettuto un istante. «Ma eccoci qui, vittime dell’aerobica in un gerontocomio. In passato non ho mai fatto ginnastica. È un passatempo, qualcosa da fare in questi anni in cui non c’è più uno scopo, nell’attesa che tutto finisca. Ma la vita riserva sempre sorprese, fino alla fine, anche a noi ultranovantenni. Chi mai avrebbe immaginato che io e te saremmo diventate amiche? Dieci anni fa non sapevamo nulla l’una dell’altra. Oppure che Irma si sarebbe ritrovata nel reparto d’isolamento, o che il tuo cuore avrebbe ceduto sul più bello?»
«Sul più bello? Anna-Liisa, ho novantaquattro anni! E il mio cuore non ha ceduto.»
«Ma sei a letto da quasi una settimana. Oggi sono almeno riuscita a farti lavare i capelli. In ogni modo, penso che dovremmo darci da fare per riportare Irma a casa, ovunque si trovi adesso.»
Anna-Liisa aveva ragione, di nuovo. Ma a quel punto interruppe il suo fiume di parole, raccolse le sue cose e scese per partecipare alla lezione di coro, anche se in canto, a scuola, aveva sempre preso la sufficienza per il rotto della cuffia e cantare era per lei un comportamento primitivo.
Rimasta sola, Siiri si alzò dal letto e, dopo tanti giorni, si vestì per bene. Entrò in cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare e, sul mobile del lavandino, trovò il portapillole pieno zeppo di compresse. Lo guardò turbata e vuotò il contenuto sulla mano. Virpi dunque si riferiva a quello quando le aveva ordinato di prendere le sue medicine. Prima però non aveva un portapillole, era sicura di non averlo mai avuto. Il terrore che la colse le fece tremare le mani e quell’affare ricadde sul gocciolatoio. Era lei la prossima residente scomoda da trasferire nel reparto isolamento?