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A giugno, Mika e Siiri andarono insieme alla stazione di polizia di Pasila per depositare un ricorso contro l’ammenda inflitta a Siiri. Furono tutti molto cortesi con loro, certamente perché con lei c’era Mika. Aveva lasciato a casa il suo inseparabile giubbotto di pelle e, treccina a parte, aveva un aspetto molto curato. Gli spiegarono che il pubblico ministero aveva riaperto il caso poiché erano emersi nuovi fatti. Era anche possibile che tutto finisse nelle mani del tribunale distrettuale.
«Che angoscia! Dovrò per forza andare a testimoniare?» chiese Siiri.
Per fortuna non doveva ancora prendere una decisione. Mika avrebbe potuto rappresentarla, lei era così anziana e lui il suo tutore. Per gli accertamenti ci sarebbe però voluto ancora tanto tempo. Il funzionario di polizia parlava come se temesse che Siiri potesse andarsene prima che si giungesse a discutere dell’incendio in tribunale.
«È di questo che avete paura? Che io muoia? Ma ormai si sa che non morirò mai. Lo dicono anche i giornali.»
«Allora non c’è da preoccuparsi» disse il funzionario. «Pensavo fosse meglio che lei conoscesse le nostre normali scadenze procedurali.»
«Scadenze procedurali! Che espressione bizzarra, una di quelle che divertivano Irma. Quasi come dispensattrezzaqualcosa.»
Siiri non voleva sapere di più sulle loro scadenze e il funzionario promise che si sarebbe occupato del ricorso insieme a Mika. Per lei era più importante riportare Irma a casa. Anna-Liisa svolazzava di qua e di là con Onni, non si scomodavano nemmeno più a giocare a carte, il che era strano. Dopotutto, il gioco era stata l’unica passione dell’ambasciatore, nella sua vita precedente. L’ultima volta Siiri aveva incrociato i piccioncini nell’atrio, stavano andando alla fiera dell’antiquariato.
«E a giugno andremo a Stoccolma a vedere la mostra Passioni al Museo Nazionale. Non è divertente?»
Siiri aveva chiesto, in modo un po’ troppo acido, se anche quel viaggio fosse una crociera gratuita per i veterani di guerra. Lei, comunque, non avrebbe certo avuto voglia di attraversare il mare per vedere dei quadri erotici, fosse o meno lo Stato a pagare.
Da allora aveva letto molti libri, ascoltato musica e giocato a solitario, ma ogni tanto sentiva il bisogno di fare quattro chiacchiere con qualcuno e di fare quelle cose divertenti che Irma s’inventava. Siiri era anche dimagrita. Non aveva voglia di scaldare solo per sé il pasticcio di fegato e riso o le frittelle di sanguinaccio, sbocconcellava un po’ di pane, qualche volta una banana e niente più.
Non le interessava conoscere i nuovi inquilini del Lieto Tramonto. Quelli se ne stavano per conto loro, come la signora Vuorinen, la sua nuova vicina, che doveva soffrire di dolori lancinanti. Tutte le notti strillava, più forte di Margit ai tempi d’oro. Eino era in pessime condizioni fisiche e fare da badante al marito l’aveva sfinita. Pregava ogni sera che morisse. Si era perfino informata su quanto costasse andare in Svizzera per le pillole dell’eutanasia ma, a quanto pareva, era talmente costoso che non potevano permetterselo.
Le ultime settimane di primavera erano state le più solitarie nella vita di Siiri. Per la prima volta aveva sentito di soffrire davvero la solitudine. Stare da soli aveva qualcosa di piacevole, ma quello che le stava succedendo era completamente diverso. Era sconfortante, opprimente, e talvolta la indeboliva tanto che al mattino faceva fatica a tirarsi su dal letto. Capitava che le ci volessero due ore prima che fosse vestita e pronta per uscire, talmente tutto era diventato noioso e pesante.
Tornando in città da Pasila inventò un giochino allegro. Propose a Mika di scendere dal tram alle fermate in cui si incrociavano almeno due linee.
«E poi bisogna sempre salire sul primo che arriva. Così il viaggio si trasforma in un’avventura!»
Mika non credeva che l’idea di Siiri potesse funzionare. Avrebbero girato in tondo senza arrivare mai da nessuna parte. Ma Siiri gli spiegò, da esperta, perché non sarebbe andata così.
«E arriveremo comunque in via Mannerheim, di questo puoi stare sicuro. Adesso scendiamo qui!»
A Pasila est, alla fermata del Ponte dell’Orologio, passarono dal 7 al 9, a Sörnäinen presero il 6 e a Hakaniemi l’1. Che splendito passatempo si era inventata!
«Forse non lo sai, ma ogni tram ha la sua atmosfera. Il 7 è imprevedibile, l’8 è malinconico. Il 4 è sicuro e per questo un po’ noioso. Il mio preferito è il 3, veloce e allegro. Eppure... questo qui, l’1, mi è un po’ estraneo. Non sembra anche a te un po’ antiquato?»
«Sei coraggiosa» disse Mika. Siiri non capì, forse si stava riferendo a quell’avventura sui tram. Ma lui iniziò a parlare dell’incendio e della condanna. Non credeva che quella donna avrebbe avuto la forza di lottare per ottenere giustizia, la sua posizione era delicata. C’era pur sempre la possibilità che il tribunale confermasse la sentenza, e magari l’inasprisse.
«Non ho nulla da perdere» rispose spensierata. Ma era proprio arrivato il momento di indagare su Mika. «Tu non parli molto della tua vita.»
Lui sedeva in silenzio e guardava fuori.
«Non so niente di te.»
Mika si sistemò sul sedile e in quello Siiri vide la svitata ben vestita dei trapianti d’organo che saliva sul loro stesso tram.
«Ho riflettuto e...» aveva cominciato a dire Mika, ma in quel momento la donna cominciò un discorso sulle scatole in polistirolo, su fegati e reni, sull’ex ministro di Giustizia Kai Korte e sull’ex primo ministro Paavo Lipponen, finendo con il prurito alle parti basse. Mika scoppiò a ridere, ma Siiri ciminciava ad annoiarsi di quelle sceneggiate, così, arrivati in piazza del Senato, scesero dall’1 e presero di nuovo il 3.
«Stavi dicendo qualcosa?» gli chiese mentre il tram svoltava in via Urho Kekkonen. Il conducente prendeva le curve con tale velocità che Siiri fu costretta ad afferrare Mika sottobraccio.
«È come stare al luna park di Linnanmäki» gridò, e Mika sorrise. «Cominciano a piacerti i tram?»
«Sì!» rispose lui.
Siiri guardò il suo grande e fascinoso angelo, che non ci stava sul sedile del tram.
«Senti un po’, in caffetteria hai detto che ho un cuore troppo grande e che la vita ti ha indurito. Cosa intendevi? Sei ancora giovane!»
«Ne ho viste e fatte di ogni tipo.»
E Mika iniziò a parlare, finalmente. Raccontò di come, già alle elementari, si era complicato l’esistenza bevendo birra e facendo a botte. Era stato messo in una classe per bambini difficili e aveva imparato a essere un duro. Suo padre era un importante dirigente, che aveva fatto alla mamma un brutto scherzo ed era sparito. Nemmeno lei aveva avuto la forza di stare dietro al figlio, se l’era dovuta cavare da solo. La prima cosa a cui si era appassionato erano le motociclette. E proprio grazie alle moto era riuscito a prendere in mano la sua vita, era entrato a far parte del club e si era iscritto alla scuola alberghiera. Aveva sempre avuto difficoltà a fidarsi degli altri, a eccezione di Tero, diventato per lui quasi un fratello minore.
Mentre raccontava era pacato, tranquillo, e non muoveva neppure più in aria le sue mani grandi.
«E insomma... è bello quando arriva qualcuno che non fa domande e ti accetta come sei.»
«Chi, io?»
«Proprio così!»
Mika le confidò di essersi meravigliato della sua fiducia, nessun altro ne aveva avuta in lui. L’aveva preso perfino come tutore, malgrado fosse un criminale. Siiri ripensò a quello che l’iguana isterica le aveva gridato nel suo appartamento, ma non volle rattristare Mika con quel racconto.
«Mi fido semplicemente del mio istinto. Con le persone ho sempre fatto così» affermò Siiri. «Intendo l’istinto vero, non quello strano sesto senso di cui parla Irma. Non penso che tu sia indurito dalla vita, anche se ti ha trattato male. Sei l’unico che ci ha offerto aiuto, a me e a Irma. Senza di te, ora saremmo tutte e due nel reparto, anzi no, io sarei in prigione.»
«Se finisci in gabbia, avviserò qualche amico. Si prenderanno cura di te.»
Risero. Era arrivato il momento di scendere, erano alla fermata dello stadio del ghiaccio. Mika doveva andare in un posto, per conto suo.
«Prima che te ne vada, posso chiederti ancora una cosa?»
Il sole gli brillava negli occhi azzurri. La luce era tanto accecante che fu costretto a strizzarli.
«Dimmi pure.»
«Ecco, ho pensato... Tu hai un gatto?»
Mika rise ancora. Secondo Siiri, lui era più un tipo da gatto che da cane e voleva sapere se aveva ragione, se poteva ancora fidarsi del suo istinto.
«Non ho né un gatto né un cane.»
«Ma cosa prenderesti più volentieri?»
«Un gatto, naturalmente» e sorrise di nuovo.
La salutò con un gesto della mano e si avviò a grandi passi, zaino in spalla, in direzione dello stadio. Siiri rimase a guardarlo, fino a quando non si rese conto che sembrava una stupida, a sorridere così da sola in mezzo alla strada. Allora camminò verso la fermata di via Mannerheim. Il 4 arrivò dopo poco, come al solito, e vi salì contenta e tranquilla, finché arrivò all’altezza dell’edificio Aura e le venne in mente Irma, quella paziente operata all’anca rimasta senza casa e abbandonata dai suoi cari tesorini, che fremeva per il suo esame di dimissione dal reparto di traumatologia.