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Quel sabato i vecchietti più vispi del Lieto Tramonto andarono al funerale di Tero Lehtinen in tram. L’ambasciatore prese il taxi e la dama col cappellino andò con lui, ma nessuno ebbe niente da ridire. Le gambe dell’ambasciatore funzionavano benissimo, era però abituato a spostarsi a spese altrui e a bere vino gratis e, su questo erano tutti d’accordo, a novant’anni non avrebbe certo rinunciato ai suoi vezzi. E poi, Irma lo sapeva, era anche massone.
«Quelli lì hanno i loro medici che li riforniscono di pillole e buoni per i taxi senza farne richiesta. Altro che i nostri dottori dell’ambulatorio che cambiano di continuo!» disse Irma mentre aspettavano il tram sul viale di Munkkiniemi. Per cambiare dal 4 all’8 dovettero poi camminare da via Mannerheim a via Helsinki, e alla nuova coppia rientrata dalla Spagna la cosa non piacque affatto. Si lamentarono entrambi perché al semaforo si sprecava tempo prezioso. La più polemica e irritabile era la moglie, che si chiamava proprio Margit, Margit Partanen. Era una donna impettita e robusta che si ostinava a tingersi i capelli di nero nonostante non la ringiovanissero affatto.
«Biglietti, prego» chiese la giovane controllora non appena il tram numero 8 si mise in moto verso via Runeberg. I Partanen non li avevano e a nulla servì che Margit si fosse messa a parlare in tedesco. Finirono per pagare cara la loro gita al funerale e la donna concluse che era tutta colpa di Siiri, era stata lei a volersi spostare con i mezzi pubblici.
«Al tuo ci andrai gratis» disse Irma per alleggerire l’atmosfera.
«Certo che no» la corresse subito Anna-Liisa. «Il defunto deve lasciare agli eredi i soldi per le esequie. Non sta bene far pagare agli altri la festa. Proprio per questo io ho un’assicurazione sulla vita.»
«Sì, ce l’ho anch’io!» strillò Siiri assumendo un attimo dopo un’espressione terrorizzata. Avere una polizza sulla vita era rassicurante, ma mentre avanzavano su via Mechelinin si era improvvisamente ricordata che la sua sarebbe scaduta al compimento dei novantacinque anni. «Significa che, se non muoio presto, i soldi del mio premio andranno perduti.»
«Allora datti una mossa!» disse Irma tornando con la mente a quando, da bambine, avevano visto costruire quegli edifici in mattoni di Töölö. A quei tempi, non si erano stupite che le donne dovessero trasportare sulla schiena carichi pesanti lungo pericolosi ponteggi. Tic tac, tic tac, tic tac.
«Visto che non ci sarò, io mi rifiuto di risparmiare per il mio funerale» sentenziò Margit riprendendo la conversazione ormai conclusa. «Mettimi pure in una bara di cartone» aggiunse rivolta al marito, intento a guardare dal finestrino quei nuovi, bizzarri condomini che somigliavano a cubi smontabili.
«Certo che ci sarai al tuo funerale» disse Irma. «Lì, nella bara di cartone!»
«Non ti scopo da secoli» borbottò tra sé e sé Eino. Tutti gli ospiti della scala A sapevano che questo era falso. Quasi ogni pomeriggio si sorbivano i gridolini di Margit che, non sentendoci bene, non si rendeva conto del chiasso che faceva. Nonostante avesse l’apparecchio acustico, non aveva neppure afferrato il borbottio del marito sul tram. Quegli affari non funzionavano mai. Ai vecchi lo mettevano solo per far capire agli altri che erano sordi. Se davvero avessero voluto che quel coso fosse di una qualche utilità, allora, come si fa con i bambini, anche ai vecchi l’avrebbero applicato a entrambe le orecchie.
«Ma perché gli occhiali bisogna pagarseli da sé mentre l’apparecchio acustico lo passa lo Stato?» chiese Irma, ma nessuno era in grado di rispondere.
Arrivarono in tempo e lasciarono le giacche nell’ingresso angusto, dove si era creato una sorta di ingorgo. Le persone si spingevano e, spacchettando i fiori, non sapevano dove buttare la carta. Il sagrestano era un tipo simpatico, con la barba. Conosceva Irma e, proprio come un portiere d’altri tempi, accompagnò la comitiva all’interno, conducendola a una buona posizione. La cappella era luminosa, c’era spazio, era di giuste dimensioni. Il posto migliore per assistere al funerale, per esperienza, era da cercare al centro, sul lato sinistro della bara, non troppo vicino né troppo lontano. Da lì si vedevano i parenti e il pastore e si sentiva tutto, anche se le parole delle persone che posavano i fiori finivano sempre per confondersi in un mormorio poco comprensibile. Siiri e Irma non si capacitavano di come in Finlandia, dove in genere non era considerata buona cosa mostrare le proprie emozioni, ci fosse l’usanza di aprire il proprio cuore dinanzi a tutti e parlare del defunto. Secondo Anna-Liisa si trattava di un passo importante nell’elaborazione del lutto. Sui nastri delle composizioni floreali per Tero si leggevano stramberie di ogni tipo.
«Gli angeli di Finlandia ti ringrazia» lesse un uomo, alto e prestante dal suo bouquet.
«Ti ringraziano» corresse Anna-Liisa.
Quell’uomo robusto indossava un giubbotto di pelle non proprio adatto a un funerale. In realtà, di persone con un giubbotto dello stesso tipo ce n’erano diverse. Siiri lo guardò incuriosita, perché aveva avuto il coraggio di parlare di angeli accanto alla bara. Se un angelo esisteva, allora quello era Tero Lehtinen, con le sue fossette sulle guance e i capelli lunghi.
«Farsi pelare va di moda?» chiese Irma a Siiri con voce inutilmente alta. «Quell’uomo non è calvo di natura.»
«Oggi anche i giovani vogliono essere pelati» sussurrò Siiri e l’amica replicò alla velocità della luce: «Già, a meno che non vogliano lo chignon.»
Si misero a ridere ma subito dopo provarono imbarazzo perché era davvero inappropriato ridacchiare in quel modo al funerale di un uomo giovane.
Quando fu il turno della comitiva di avvicinarsi alla bara, ebbe inizio una vera e propria complicata manovra. I bastoni stridevano sul pavimento, Siiri perse il suo cuscino, i girelli s’incastrarono tra le panche e l’apparecchio acustico di Margit cominciò a fischiare, cosa di cui lei ovviamente non si accorse. L’uomo degli angeli le aiutò, liberò il girello di Anna-Liisa e sollevò da terra il cuscino di Siiri.
«Mille grazie» gli disse Siiri e, un po’ a disagio, prese il suo cuscino.
«Di nulla» le rispose lui, guardandola con un bel paio di dolci occhi azzurri. «Davero un bel cuscino!»
«I residenti della casa per anziani Villa del Lieto Tramonto ringraziano il loro cuoco Tero per i quotidiani momenti di piacere» lesse l’ambasciatore con la sua voce tremolante da tenore, facendo sembrare l’espressione “momenti di piacere” così sconveniente che parte degli ospiti dovette trattenere il riso invece delle lacrime. Irma diede un colpetto con il gomito a Margit e le fece segno di occuparsi del suo apparecchio sibilante. Margit lo tolse e, allarmata, lo gettò nella borsetta, dove continuò a fischiare per tutto il tempo della funzione facendo a gara con il russare della dama col cappellino.
La direttrice e la caporeparto non c’erano, e quindi non poterono vedere con quanta emozione i residenti di Villa del Lieto Tramonto avevano partecipato al lutto delle persone vicine a Tero. Una grande delusione fu anche l’assenza dell’assistente sociale Pasi.
Al ricevimento di commemorazione decisero di non partecipare. Così, quando la bara fu portata nell’auto, Irma s’incamminò risoluta verso la madre di Tero, si presentò e prese a parlare del più e del meno. Purtroppo non riuscì a strapparle nulla di interessante, la donna era troppo sconvolta dal dolore e dai tranquillanti.
«Perché l’ha fatto, perché l’ha fatto?» farfugliava piangendo.