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Sul finire della primavera, Siiri ricevette una lettera da parte del registro centrale giudiziario di Hämeenlinna. Guardò la busta con sgomento e, in un primo momento, non ebbe il coraggio di aprirla. Non aveva la più pallida idea di che ufficio fosse, ma si ricordò che in quella cittadina c’era il carcere femminile. Aveva trovato la lettera nella cassetta proprio mentre stava uscendo per andare con Anna-Liisa a fare la loro solita passeggiatina post-lettura, e quindi a far visita a Irma in ospedale. Avevano finalmente terminato Arcipelago Gulag di Aleksandr Solženicyn e sentiva il bisogno di riposare un attimo prima di uscire. Anna-Liisa di certo la stava già aspettando, era sempre puntuale, ma quella stupida lettera l’aveva paralizzata. Decise di aprirla, strappò con l’indice la parte superiore della busta e si fece male al dito. Provò a leggerla, ma non ci capì nulla. Lanciò un’occhiata all’orologio, era tardissimo. L’infilò con tutta la busta nella borsa e corse da Anna-Liisa.
Una volta sul tram, se n’era già dimenticata. Raccontò invece di temere che Erkki la seguisse. L’amica non la prese sul serio, era su di giri e si mise a chiacchierare su ogni sorta di sciocchezza.
«Crede tu faccia parte della banda criminale di Mika e ha deciso di scoprire come stanno le cose. Oppure intende farti fuori, o forse addirittura rapirti. Magari è venuto a sapere che sei una ricca ereditiera e ambisce ai tuoi soldi. Può anche darsi che tu abbia uno zio d’America senza prole, no?»
Solo quando si sedettero con Irma alla caffetteria dell’ospedale, all’ombra di quelle grandi scale, si ricordò del registro giudiziario e tirò fuori la lettera.
«Da Hämeenlinna? Un invito per la galera?» disse Irma scherzando, ma Anna-Liisa la corresse perché il famoso carcere nel castello di Häme era stato ora trasformato in un museo.
Siiri lesse la lettera per ben due volte e il cervello le andò in tilt. Sabotaggio e vandalismo, responsabilità penale e una richiesta di risarcimento danni che teneva conto delle attenuanti per l’età avanzata dell’individuo.
«Intendono la tua età!» disse Irma. «Adesso sei diventata una criminale?»
La polizia e le autorità incaricate dei soccorsi avevano concluso che l’incendio al Lieto Tramonto fosse un atto di vandalismo e sabotaggio. La denuncia presentata dall’ambasciatore contro Erkki Hiukkanen non aveva portato a nulla, se non a fare di Siiri la colpevole. Probabilmente lo sfogo nella stanza dell’ispettore Kettunen aveva solo peggiorato la situazione. La polizia, invece di investigare sulle attività degli Hiukkanen, aveva tagliato corto sull’intera vicenda, facendo ricadere la colpa su di lei. Era inoltre stato stupido, nell’ufficio di polizia, mostrarsi nel pieno delle proprie facoltà mentali, elencando i presidenti della Finlandia e illustrando il sistema di calcolo del pin. Adesso non aveva altre attenuanti fuorché l’età.
«Finalmente l’età conta qualcosa» disse Irma compiaciuta.
Lei aveva buone ragioni per essere allegra. Era entrata in confidenza con alcune infermiere e aveva ottenuto dall’ospedale l’esenzione per l’uso obbligatorio del pannolone, e prese a raccontare storie sui figli di quelle brave ragazze. A quel punto Siiri le chiese gentilmente di concentrarsi per un attimo sulla lettera del registro giudiziario, il contenuto le era ancora poco chiaro.
Il pubblico ministero aveva confermato il giudizio sommario emesso dalla polizia. Per atto vandalico non aggravato, Siiri era condannata a pagare una sanzione basata sul suo reddito giornaliero. Quaranta giorni di ammenda. L’attività del dipartimento di giustizia era simile a quella della sanità. Punizioni e ricette erano scritte senza alcuna traccia di un giudice o di un medico. E da dov’era venuto fuori il pubblico ministero? Siiri aveva parlato unicamente con l’ispettore Kettunen, e il suo nome su quei fogli non c’era. Nel rapporto spuntava invece quello del suo tutore, Mika Korhonen.
«Perché mai incendiare un reparto non è “aggravato”? A me sembra grave, no?» si meravigliò Irma, ed esaminò la lettera con cura.
«È un termine giuridico» spiegò Anna-Liisa. «L’atto poteva essere o “lieve” o “aggravato”. Siiri deve ritenersi fortunata. Inoltre, il vandalismo è un crimine meno grave del sabotaggio, reato più spesso imputato a chi appicca un incedio.»
«Come fai a sapere tutte queste cose?» chiese Irma stupita.
Anna-Liisa finse di non aver sentito la domanda. Stava esaminando una scheda allegata alla lettera che trattava della detenzione. Era possibile convertire l’ammenda in un periodo di reclusione. Tre giorni di ammenda corrispondevano a uno in cella. Anna-Liisa fece un rapido calcolo mentale, per cui la multa di Siiri equivaleva a tredici giorni e un terzo in carcere.
«Non sembra male, potrebbe addirittura risultare interessante!» s’infervorò Irma, e propose di andare in prigione al posto suo, visto che era una vagabonda senzatetto, ma Siiri non aveva la forza di partecipare al suo entusiasmo. Si sentiva molto debole e sarebbe volentieri rimasta in ospedale come paziente.
«Quanto devo pagare?» chiese spossata ad Anna-Liisa, che sembrava essere la meglio informata sul suo destino.
«Dipende dal tuo reddito netto. Qui c’è una spiegazione» aggiunse. Quantificare la sanzione era assai complicato perché dal reddito bisognava prima scalare qualcosa e poi dividere la somma per qualcos’altro. Un po’ come per il codice pin.
«C’è un numero a cui si può telefonare?» domandò perplessa Siiri.
Nella lettera erano indicati solo un indirizzo Internet e il nome di Mika Korhonen. Adesso ci sarebbe proprio stato bisogno di un tutore, ma il loro era svanito nel nulla dopo essere riuscito a indirizzare l’attenzione delle autorità sull’assistente sociale Pasi. Irma provò a ravvivare l’atmosfera raccontando del suo pecorso di dimissione. Aveva ricevuto dal suo team multidisciplinare, tutto al femminile, l’invito per una consultazione che avrebbe avuto luogo anche se nessuno dei parenti si fosse presentato. Infermiere e fisioterapiste l’avevano allenata assiduamente per quella grande prova che riteneva sarebbe stata in grado di superare facilmente.
«Il mio ego si è gonfiato a tal punto che mi fischia la testa. Riconosco le dita dei piedi, quelle delle mani e anche le reni, senza che la tirocinante mi debba toccare. E chi avrebbe mai immaginato che la mia ergoterapeuta avesse qui in ospedale una piccola casetta per giocare?»
Per poter essere dimessa, avrebbe dovuto preparare la colazione in una cucina adibita alle prove. Una vera sfida per una casalinga mamma di sei figli. Avevano progettato di sorprendere l’ergoterapeuta preparando uova in camicia e soufflé al formaggio.
«E poi magari farai la doccia sotto gli occhi della commissione! Chissà se l’esaminatore è maschio?» chiese Anna-Liisa esuberante.