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«Siiri? Siiri chi?» chiese l’infermiera all’ingresso del reparto d’isolamento. Sul cartellino che portava appuntato al petto si leggeva Yuing Pauk Pulkkinen. Siiri spiegò di essere lì per fare visita a Irma Lännenleimu e per due volte ripeté di avere un permesso richiesto dalla figlia, quella concepita di proposito, che alla fine la direttrice Sinikka Sundström aveva concesso.
«Irma? Irma chi?» domandò l’infermiera. Possibile, si chiese Siiri, che la demenza l’avesse contagiata? Yuing Pauk Pulkkinen disse che era lì solo di passaggio, non conosceva i pazienti.
«Siamo tutti di passaggio» constatò Siiri, ma l’infermiera non capì.
Entrarono in una specie di saletta d’attesa. L’infermiera non smetteva di parlare. Le raccontò del lavoro precario, delle urgenze, del pessimo salario e del grave alcolismo di suo marito. Poi passarono in un’altra stanza, con le pareti di vetro, la guardiola che le infermiere usavano per riposare, o forse un ufficio, e Yuing Pauk Pulkkinen iniziò a scartabellare tra i fogli sul tavolo. Trovò la cartella di Irma e indicò a Siiri la stanza.
Nel reparto d’isolamento l’illuminazione era accecante e l’arredamento era quello di un ufficio statale. Il tanfo dei disinfettanti, dell’urina e della cera per pavimenti era pungente, Siiri faceva fatica a respirare.
«Cosa significa “concepita di proposito”?» chiese l’infermiera mentre avanzavano lungo la corsia.
Tutte le porte erano chiuse, da un paio di stanze provenivano delle grida. Il corridoio terminava con una sauna in disuso e proprio lì accanto c’era la stanza di Irma. L’infermiera se ne andò e Siiri, titubante, entrò in quella piccola camera che aveva su una parete l’immagine del Vesuvio e una finestra che si affacciava su un edificio di cemento. Dentro c’erano due donne, una era a letto mentre l’altra, con la testa reclinata sul petto, era legata a una sedia a rotelle. Con timore, Siiri si avvicinò alla donna seduta, che non mostrò alcuna reazione quando lei le sfiorò la mano. Stava abbandonata sulla sedia con uno sguardo vitreo, aveva residui di cibo sul petto e sembrava stranamente grassa, anzi gonfia. I capelli erano sporchi, in disordine, e dal mento le spuntavano lunghi peli. Che immagine triste. Al collo Siiri notò un filo di perle che le era familiare e capì che quell’essere miserando era la sua cara amica Irma Lännenleimu. Un brivido freddo le trafisse il corpo, irrigidendole gli arti e i pensieri. Siiri non riusciva più a muovere le mani, rimase così, ferma con gli occhi fissi su quella sconosciuta che aveva dinanzi. Proprio Irma, così attenta all’igiene personale, sempre in abiti eleganti perfino nei giorni feriali! Ora indossava i panni di un’estranea, spessi pantaloni verdi di felpa e una maglietta su cui si leggeva a caratteri scintillanti “I’m sexy”.
«Tic tac, tic tac, tic tac» le sussurrò all’orecchio dolcemente. Ma Irma non reagì, rimase a fissare il muro. A Siiri venne da piangere, avrebbe voluto urlare e buttarsi a terra, ma dovette controllarsi. Si lasciò cadere seduta sul letto, le prese la mano, la strinse con la forza della disperazione e intanto le accarezzava la guancia. Era così morbida, come quella di un bambino.
«Mi porti in Carelia?» chiese l’altra nonnina, vestita con una salopette e legata al letto con una specie di imbracatura. Guardò Siiri con i suoi piccoli occhi scuri. «Cantiamo?»
Siiri fu sorpresa accorgendosi di essere osservata, ma cantare le pareva una buona idea. Sorrise, prese un profondo respiro e cantò, all’inizio un po’ timidamente, l’antico motivo popolare Sulle colline della Carelia. Poi, per la gioia della nonnina, intonò con maggiore vivacità Cucù, cucù, da lontano fa cucù e infine, per Irma, la canzoncina Ah, mio caro August. Quella canzone Irma l’aveva eseguita alla prova di canto della scuola elementare. Aveva preso un voto basso. Nonostante fosse stata brava, la maestra aveva giudicato indecente la sua canzone. Via i pantaloni, via la camicia, via i calzini, via le scarpe, ah, mio caro August, togliti tutto! Era la storia di un ubriacone che, durante la guerra, una notte aveva perso i sensi. Preso per morto, viene gettato in una fossa comune, e al mattino si sveglia nudo e pazzo. Certo, era stata una scelta inusuale da parte di una bambina, ma all’epoca la canticchiavano tutti, senza porsi troppe domande.
Quando Siiri arrivò al punto in cui August si era svegliato nudo, Irma riprese vita.
«Via i pantaloni, via i pantaloni» provò a intonare, ma proprio in quel momento l’infermiera Yuing Pauk Pulkkinen apparve sulla soglia.
«Teniamo su i pantaloni. Non si va al bagno, ci sono i pannoloni» gridò all’orecchio di Irma. Siiri capì che quell’urlo aveva fatto male all’amica, tanto da farla infuriare. Irma scoppiò a piangere e a gridare e, quando l’infermiera l’afferrò con tutte e due le mani, gliene morse una. Yuing Pauk Pulkkinen prima tirò via la mano, poi gridò anche lei. Siiri osservava sconvolta, non riconosceva Irma in quell’essere rabbioso né poteva capire cosa stesse accadendo.
Irma aveva ripreso a cantare Caro August come se fosse una dichiarazione politica, così forte che la sua voce si trasformò in uno strano grugnito. L’altra nonnina si mise a pregare ad alta voce e Yuing Pauk Pulkkinen corse via a medicarsi. Non appena l’infermiera se ne fu andata, Irma si calmò e ricominciò la canzone dal principio, piano piano, con la sua bella voce. Sorrideva senza guardare da nessuna parte e pareva contenta.
«...via i pantaloni, via i calzini, via la camicia, via le scarpe, ah mio caro...»
Siiri era così presa a osservare Irma, quella donna ormai estranea di cui non riusciva a cogliere i pensieri, che non si accorse che l’infermiera era rientrata nella stanza. Yuing Pauk Pulkkinen si avvicinò a Irma, si chinò alle sue spalle, le abbassò l’elastico dei pantaloni e con un colpo da professionista le infilò un ago nel didietro. Tutto avvenne con una rapidità e un’efficacia straordinarie. Irma scoppiò in un pianto da far spezzare il cuore. Anche Siiri si ritrovò a gridare furibonda, a balbettare il nome di Irma, l’abbracciò disperata e la sentì farsi poco a poco inerte, la testa cadde all’indietro e gli occhi le si chiusero. L’infermiera non stette certo a guardare. Afferrò Siiri con entrambe le mani e le ordinò di andarsene immediatamente per non causare altri disordini.
Intanto la preghiera dell’altra nonnina era talmente cresciuta di tono che sembrava la voce di un’esaltata. Risuonava in tutto il corridoio mentre l’infermiera trascinava via Siiri strattonandola per una mano come una bambina capricciosa dell’asilo. La porta del reparto fu sbattuta con violenza alle sue spalle. Quel rumore le rimase a lungo nelle orecchie, tanto a lungo che ogni suono intorno a lei si tramutò in un rimbombo indistinto. Non riusciva a capire dove si trovava. Barcollava tutta sola lungo un corridoio all’esterno del reparto, affannata e confusa, fino a che lentamente riprese coscienza di sé. Capì di essere uscita da un terribile incubo, che però non era un sogno.