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Al centro di salute, il suo ennesimo nuovo “medico personale” la stava aspettando. Questa volta le era capitata una dottoressa talmente giovane che a Siiri venne spontaneo chiederle se fosse veramente un medico. Fu un grosso errore. La dottoressa si offese, e a quella reazione Siiri ricordò gli articoli che aveva letto sullo scandalo dei falsi dottori.
«Veniamo al punto» disse la dottoressa dopo un piccato riassunto sui suoi studi. Chiese a Siiri di togliersi la camicetta, le auscultò il torace con uno stetoscopio ghiacciato che per poco non le fece fermare il cuore, e le prescrisse un esame cardiaco urgente all’ospedale Meilahti. Evidentemente quell’attrezzo dava ai medici la stessa sicurezza che il misuratore di pressione dava agli infermieri.
«Posso far venire subito un’ambulanza» disse ancora la dottoressa alla fine della visita, ma Siiri lo ritenne eccessivo. La ringraziò cordialmente, soprattutto per l’auscultazione, e le assicurò che sarebbe andata al Meilahti con il primo tram.
All’ospedale aspettò due ore e mezzo prima di potersi sottoporre a quell’esame urgentissimo. Ebbe il tempo di leggere Topolino, di risolvere sette sudoku e d’imparare a memoria l’editoriale di una vecchia rivista dedicata alla salute sull’olivello spinoso e la secchezza delle mucose.
Lo specialista scoprì quello che Siiri sapeva già: soffriva di aritmia. Quel dottore tanto carino che parlava con voce fluida voleva che facesse altri esami e si impiantasse uno stimolatore cardiaco per regolare il battito. «E su che ritmo verrebbe sincronizzato? Spero non a tempo di valzer. C’è una canzone su un cuore ballerino, ma non sarebbe per niente facile camminare in tre tempi su due piedi» scherzò Siiri. Il medico restò serio.
«Possiamo impiantare un generatore di impulsi e degli elettrodi che regolino la frequenza. Procederemo con una chirurgia elettiva e microinvasiva. Potremmo anche inserire un dispositivo biotelemetrico. Tutte procedure standard, zero rischi.»
Siiri l’ascoltò attentamente e poi disse che aveva novantaquattro anni. Non avrebbe accettato di farsi installare alcun marchingegno in grado di allungare la vita.
«È un’operazione semplicissima, in anestesia locale. Il pacemaker si impianta sottopelle e gli elettrodi agiscono sul cuore attraverso una vena. Eliminerà i suoi spiacevoli disturbi e migliorerà la qualità della sua vita» spiegò il dottore.
«Ne è proprio sicuro? E quali sarebbero secondo lei le cose che rendono migliore la vita di un anziano?»
«Allora... in base agli studi sulle persone in età avanzata... insomma, una buona salute fisica è sempre il punto di partenza per una vita di qualità. Se trascurate, le aritmie cardiache possono essere estremamente pericolose.»
«Intende che nel peggiore dei casi potrei morire, giusto?» chiese Siiri che si sentiva forte e piena di energie. «Lei è ancora giovane e probabilmente non sa che la vecchiaia è per lo più noia. Le giornate trascorrono lente e non succede mai nulla. Amici e parenti sono morti e il cibo non ha più sapore. Alla televisione non c’è niente da guardare e se si legge gli occhi si affaticano. Viene sonno ma non si riesce a dormire, e quindi si finisce per restare svegli di notte e dormire di giorno. Ci sono malanni di ogni tipo, continuamente. Sono piccoli, però ci sono. Fare le cose più semplici richiede sempre più tempo ed è faticoso. Perfino tagliarsi le unghie dei piedi diventa un’impresa titanica. Prima di decidermi a intraprenderla cerco in tutti i modi di rimandarla, mi ci vuole una giornata intera.»
Il medico lanciò nervosamente un’occhiata all’orologio. Le disse che le avrebbe prescritto una pedicure. Con la ricetta, poteva richiedere un rimborso all’istituto di previdenza sociale. Le voltò le spalle e sprofondò nello schermo del computer.
«Ma per quel che riguarda il pacemaker» riprese, «come alcuni studi hanno dimostrato, questi piccoli interventi sono determinanti per la salute e assolutamente fondamentali per accrescere il benessere. Oltretutto prolungherà senza alcun dubbio la sua prospettiva di vita. In base alle nostre linee guida...»
«Ma allora è tutto chiaro» lo interruppe Siiri sollevata. «Impiantate lo stimolatore in qualcuno di più giovane, che sia magari in sovrappeso, o che si senta fin troppo bene e faccia l’errore di andare a fare jogging e rischi di lasciarci le penne. I miei figli sono morti. E anche il figlio del tipografo Reino. E molti altri. Noi vecchi, invece, se anche lo volessimo non riusciremmo a morire. Qualche volta nella residenza per anziani parliamo di cose del genere, di come voi medici forse non capite che morire è del tutto naturale. La vita finisce con la morte, e non c’è nulla di sensato nell’offrire a una della mia età più prospettiva di vita e proibirmi di mettere lo zucchero nel caffè. Non è un fallimento della medicina se una buona volta le persone muoiono di vecchiaia.»
Il dottore si voltò e la guardò.
«Ma lei è una persona dinamica e in buona salute, perché mai dovrebbe morire? Le nostre linee guida raccomandano che...»
«Perché tutti dobbiamo morire» ribadì Siiri, prendendo tra la sue mani ricoperte di rughe quella vigorosa dello specialista. Voleva fargli capire che linee guida, analisi e stimolatori non avrebbero mai cambiato questa verità.
«Un giorno anche lei morirà» disse poi. «E spero che in quel momento avrà un’età tale d’aver compreso cos’è la morte e non vi si opporrà. Forse finirà addirittura per aspettarla, come facciamo io e i miei amici del Lieto Tramonto. Se anche mettesse a ciascuno di noi uno stimolatore, non riuscirebbe in alcun modo a cambiare la nostra quotidianità. Perciò la ringrazio di cuore, ma l’unica cosa di cui ho bisogno è il certificato sull’aritmia e le sarei grata se me lo potesse spedire quando sarà pronto. Potrei averne due copie? Non mi serve altro, e spero che potrà prendersi cura dei giovani che non hanno nemmeno più la forza di lavorare. Guardi le infermiere, sono tutte così spossate che al Lieto Tramonto ci sentiamo piuttosto soli.»
Il dottore sembrò angustiato. Strappò via la mano dalla stretta amichevole di Siiri, si precipitò al lavandino, se la disinfettò, si strinse il nodo della cravatta, si raddrizzò il camice e si sedette nuovamente a fissare lo schermo del computer, come se quella macchina sapesse davvero qualcosa e potesse dargli la soluzione del problema. Quindi si raddrizzò, afferrò il dittafono e iniziò a mormorare, lanciando di tanto in tanto un’occhiata verso Siiri.
«...per il resto in buono stato per la sua età virgola la memoria funziona ed è attiva punto tuttavia rifiuta il pacemaker punto si rispetta la volontà della paziente tenendo conto dell’età molto avanzata.» Si interruppe e le chiese se oltre alle medicine per il cuore volesse anche degli psicofarmaci.
«Perché mai?» domandò lei, sinceramente sbalordita.
«Potrebbero aiutarla nella sua... situazione. Potrebbe tornarle il desiderio di vivere.»
Allora Siiri si alzò con l’impulso di prendere il dittafono. Avrebbe dettato a quel cretino la verità sulla vita e sulla morte. Ma poi si ricordò del suo cuore, fece un respiro profondo e gli rispose che non le serviva nessuna pillolina per tirarsi su. Non ne aveva avuto bisogno quando era morto suo marito, figuriamoci ora. Il medico non mollava.
«I sonniferi potrebbero comunque farle bene, ha detto che resta sveglia di notte. È del tutto inutile.»
Siiri cominciò a temere che non sarebbe uscita da quello studio senza una gran quantità di ricette. Sul giornale avevano scritto che l’ansia della propria inefficienza tormentava i dipendenti del settore socio-sanitario. I risultati ottenuti erano misurati in cifre: la protezione dei minori era la variabile che aveva più peso, e sempre più bambini venivano affidati in custodia. Poteva essere che un medico meritasse lo stipendio solo quando spediva la gente a farsi operare o la riempiva di ricette? Decise di chiederlo direttamente al dottore.
«Non è questo il punto» replicò lui seccato. «Provo solo ad aiutarla e a fare il mio lavoro nel miglior modo possibile.»
Siiri capì di essersi comportata male. Il suo mestiere era già abbastanza faticoso anche senza le difficoltà che lei gli stava procurando. Aveva tanto studiato per arrivare a prescrivere sonniferi agli anziani. Cosa sarebbe accaduto se tutti i pazienti avessero rifiutato farmaci e stimolatori cardiaci? Non era necessario che il dottore, alla sua età, sapesse com’era la vita dopo i novant’anni, e non era colpa sua se lei era vissuta così a lungo. Lo ringraziò per quello che aveva fatto per lei, lasciò lo studio e s’incamminò verso la fermata del tram. Era una così bella giornata d’inizio inverno che decise di proseguire un po’ a piedi verso il centro, anche solo per vedere il magnifico palazzo Aura, progettato da Erkko Virkkunen. Era ancora splendido, nonostante tempo addietro le finestre fossero state rovinate da un restauro.