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Siiri aveva preso posto nel tram numero 6. Stavano percorrendo via Häme nella pioggia di gennaio e lei ammirava le case intorno al parco Alli Trygg, quando un gruppo di bambini dell’asilo salì in vettura. Era troppo timida per attaccare discorso, ma ascoltò quello che i bambini dicevano agli altri passeggeri. Stavano andando al Kapsäkki.

«Cosa c’entra la valigia?» chiese stupita una signora.

«Ma no, Kapsäkki è il nome di un teatro: significa valigia, ma non è mica una valigia vera!» spiegò una bimba con la testa piena di treccine, e tutti scoppiarono a ridere.

I bambini scesero alla fermata di via Lautatarhan, ma quando le porte si richiusero la bimba tutta trecce si ritrovò da sola sul tram. La piccolina era spaventata e poiché nessuno muoveva un dito, Siiri le si avvicinò, la prese per mano e le promise di aiutarla, anche se non sapeva bene come. Forse la cosa migliore era accompagnarla fino al teatro. La bambina si tranquillizzò, quella vecchina sconosciuta l’avrebbe salvata, qualunque cosa fosse accaduto. Siiri si presentò e le chiese come si chiamava.

«Julia. Julia Omppupomppu. Ho quattro anni.»

Sollevò tre dita. Siiri le chiese anche il nome della mamma. Se non fosse riuscita a raggiungere la comitiva dell’asilo avrebbe potuto cercare di mettersi in contatto con lei. Pensò a dove poteva trovare un telefono, ma non le venne in mente niente. I telefoni pubblici non c’erano più nemmeno nei ristoranti.

«Ma è ovvio, la mamma si chiama Mamma Omppupomppu» rispose nel frattempo la piccola. Quel cognome era inventato e le speranze di Siiri di poterla rintracciare svanirono.

La bambina le disse che all’asilo c’erano due Siiri. Poi volle sapere come si chiamava la sua di mamma e quanti anni avesse. E dopo aver fatto entrare quella nuova amica nel proprio mondo, attaccò vivace a parlare delle cose che fanno parte della vita di una bimba di quattro anni.

«Oggi è giovedì e il giovedì è giorno di gita. Il lunedì si gioca, ed era ieri. Con la mamma siamo state in Thailandia, per due settimane, ecco perché ho queste bellissime treccine. A casa abbiamo un insetto stecco perché la mamma è allergica agli animali veri, ai gatti, ai cani, ai porcellini d’India, ai gerbilli, ai conigli, ma non ai serpenti. Io però non lo voglio un serpente in casa.»

Scesero alla fermata successiva e camminarono verso il Kapsäkki. Era davvero un teatro, esattamente come aveva detto Julia. Probabilmente allora era vera anche la storia dell’insetto stecco, o qualunque cosa fosse. Un’insegnante stava in piedi davanti all’edificio. Parlava concitata al cellulare. Appena le vide, corse loro incontro e strappò via la mano di Julia da quella di Siiri.

«Dov’eri finita? Stavamo quasi per chiamare la polizia! Sei davvero impossibile, con te ci sono sempre guai. Tutti gli altri sono già seduti in sala.»

La donna sgridò la bambina come avrebbe fatto un’infermiera del Lieto Tramonto e non si accorse nemmeno di Siiri, che improvvisamente si ritrovò da sola, per strada, senza sapere dove andare. Era finita a Vallila o era già a Sörnäinen? Un attimo prima era successo qualcosa o si era immaginata tutto?

Attraversò la strada per raggiungere la fermata e saltò sul primo tram in arrivo. Era il 6. Irma le mancava. Aveva nostalgia della sua risata e dei discorsi sconclusionati. Per un attimo le parve di risentire la sua voce allegra e il tintinnio dei braccialetti. Nelle narici avvertì persino il suo profumo leggermente dolciastro. Le salirono le lacrime agli occhi, respirava a fatica. Come aveva potuto pensare talvolta che fosse pesante? In quel momento avrebbe ascoltato sette volte di fila il racconto della mensola che si staccava dal muro e di suo marito che gridava «dannazione». Oppure era «diavolo»? Anche lei cominciava a fare confusione su tutto.

Superata la stazione della metro di Sörnäinen, Siiri sussultò alla vista di palazzo Ebeneser, l’eccentrica costruzione in stile art déco progettata da Wiivi Lönn. Aveva cambiato tram? Il 6 non passava per via Helsinki. Eppure, era assolutamente certa di aver preso proprio il 6 davanti al teatro. Ma era già passato tanto tempo. Oppure no? Sentì un nodo in gola al pensiero di quanta confusione aveva in testa. Forse aveva blaterato ad alta voce senza nemmemo rendersene conto. Se non altro la borsa era al sicuro lì con lei, e il borsellino al suo posto nella tasca interna con la cerniera lampo. Ma chissà dov’era finito il bastone, forse non lo aveva portato con sé. Avrebbe voluto chiedere aiuto come quella bambina di quattro anni, magari qualcuno l’avrebbe riportata a casa tenendola per mano, invece si alzò per chiedere al conducente cosa fosse successo. Quello non era il percorso del 6. L’uomo era sigillato nella cabina di guida e si rifiutò di risponderle. Siiri bussò e ribussò finché lui non gridò: «Si compri il biglietto con il cellulare!»

Siiri barcollò lungo il vagone e si accasciò sul sedile riservato agli invalidi. Di solito non lo usava, c’erano sempre anziani in condizioni peggiori delle sue. Si sentì mancare, le orecchie sibilavano. Percepì una grandissima stanchezza. Di certo dipendeva tutto dalla fame. Forse non aveva mangiato niente dopo colazione, ma non poteva esserne sicura. Fuori non c’era più luce e non riusciva a capire che ora fosse. In quel periodo dell’anno era più o meno sempre buio. Guardò l’orologio ma senza occhiali non distingueva le lancette e non aveva la forza di tirarli fuori dalla borsa.

Una donna dall’aspetto gentile le si avvicinò e si chinò per parlarle. La conosceva?

«Questo è il tram numero 8, è partito da Arabianranta ed è diretto a Jätkäsaari. Ha il biglietto?»

Jätkäsaari era un nome davvero brutto per un quartiere, faceva pensare più a una prigione o a un campo militare. Siiri non sapeva neppure dove si trovasse. Arabianranta e Jätkäsaari. Dovevano essere due bei postacci. E cosa ci andava a fare, a Jätkäsaari, un’anziana signora perbene come lei?

La donna la guardò con aria preoccupata e iniziò a parlarle sempre più forte.

«RICORDA IL SUO NOME? SA CHE GIORNO DELLA SETTIMANA È OGGI?»

Le tornò in mente la sua amica Julia Omppupomppu e le venne da ridere. La bambina non sapeva il proprio cognome né distingueva ieri da domani. E ora, quella donna gentile le stava facendo le domande che lei stessa, poco prima, aveva rivolto a una bambina di quattro anni.

«Oggi è giovedì, giorno di gita, e il mio nome è bis-bis-bisnonna Omppupomppu. Se permette, scendo qui alla fermata del nuovo Teatro dell’Opera. Grazie per il suo interessamento.»

La donna proseguì sull’8 e Siiri se ne tornò a casa a riposare. Ma il Lieto Tramonto non era casa, solo una soluzione pratica per coloro che non erano ancora morti.

«Aspettando il crematorio» diceva sempre il tipografo Reino. E ora se n’era andato anche lui, l’uomo del bacio in ascensore a Irma, quello che diceva sconcezze e secondo cui Siiri era la ragazza più carina della residenza. L’ambasciatore aveva raccontato della sua morte al tavolo da gioco, nel bel mezzo di una partita a canasta. Aveva preso atto, con una certa indifferenza, che il suo vecchio amico del cuore non c’era più, neben, über, unter, vor, zwischen. In fin dei conti, la morte era l’unica via d’uscita dal reparto d’isolamento, aveva osservato Anna-Liisa.