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L’abete di Natale spelacchiato aveva già perso tutti i suoi aghi quando Siiri finalmente mise il naso fuori dall’appartamento. L’albero era stato messo al posto del tavolo da gioco, e l’ambasciatore era molto contrariato.
«E adesso dove mi metto a fare il mio solitario?» chiese stizzito, ma nessuno reagì, eccetto Margit Partanen che subito spinse via il marito in gran fretta prima che cominciasse a dire oscenità.
Eino Partanen soffriva del morbo di Parkinson, e probabilmente anche di Alzheimer e di grave demenza senile. Ma poiché Margit sapeva che razza di luogo orribile fosse il reparto d’isolamento, era diventata la sua badante personale. Poteva sembrare una soluzione singolare, ma lei era contenta di ricevere ogni mese centocinquanta euro sul suo conto per le cure che prodigava al marito, ventiquattr’ore su ventiquattro, settimana dopo settimana. In verità veniva pagata perché nessuna delle infermiere dovesse perder tempo a occuparsi di lui. Eino stava sulla sedia a rotelle e per la maggior parte del tempo era confuso e, se apriva bocca, diceva sconcezze che mettevano in imbarazzo la moglie. La malattia comunque non gli aveva portato via tutte le forze: gli inquilini della scala A potevano ancora sentire distintamente i sospiri della coppietta.
Anna-Liisa sedeva accanto al tavolino del caffè. Siiri per una volta fu felice che ci fosse, perché aveva bisogno di parlare con qualcuno. Anna-Liisa l’ascoltò senza battere ciglio, con le mani appoggiate sul suo deambulatore rosso marca Rebel.
«Piangi senza motivo. Irma non è morta» disse. «Perlomeno non ancora. Tutto a suo tempo.»
«Ascoltami, penso che sia stata portata anche lei nel reparto d’isolamento» riuscì a dire finalmente Siiri. Quel pensiero le era passato per la testa tante e tante volte, senza però che riuscisse a formularlo con chiarezza. Ogni tanto credeva di avere le paranoie, ma più di tutto temeva di avere ragione.
Anna-Liisa non disse nulla, e secondo Siiri era buon segno. Se avesse subito cominciato a pontificare, non avrebbe avuto lo spazio per riflettere, avrebbe di nuovo parlato tanto per parlare e per far vedere che lei sapeva comunque tutto meglio.
«Sì, è certamente così» disse infine Anna-Liisa, ripiegando il tovagliolo in triangolini sempre più piccoli, come faceva anche con le buste di plastica. Aveva curiose abitudini di cui andava particolarmente orgogliosa.
«Il tipografo Reino è stato rinchiuso nel reparto per dementi quando ha raccontato a tutti del terribile caso di Raudanheimo. Anche Olavi sarebbe ancora lì se suo figlio non lo avesse salvato, portandolo al Meilahti. Irma ha scritto troppi reclami, sempre molto circostanziati e, peggio ancora, negli ultimi tempi ne ha presentato uno che riguarda la caporeparto, protestando perché ti aveva lasciata distesa a terra priva di sensi. Ed è stata punita con l’isolamento.»
Anna-Liisa aveva formulato il suo ragionamento con chiarezza, soppesando e scegliendo le parole con attenzione. Quello che aveva detto era spaventoso, ma Siiri si sentì sollevata nel sentire qualcun altro esporre in maniera così lucida ciò che lei stessa aveva temuto, senza però riuscire a credere che potesse essere davvero così. Quindi, forse non stava impazzendo.
«Non so più cosa pensare» disse Siiri. «Virpi ha dichiarato che Irma è paranoica. È uno dei sintomi della demenza. Ma potrebbe dire lo stesso di chiunque le metta i bastoni tra le ruote.»
«Il sintomo è la demenza, non la paranoia» spiegò Anna-Liisa. «Irma aveva chiesto di visionare la sua documentazione medica, non è così? Ma non l’ha avuta. Virpi non ha voluto consegnargliela» aggiunse dopo una pausa di riflessone.
Anche Siiri ci aveva pensato ed era arrivata più o meno alla stessa conclusione. Ma l’aveva tenuta per sé. Probabilmente qualcuno aveva falsificato la cartella perché il trasferimento nel reparto d’isolamento risultasse essere la decisione giusta.
«Temo che presto finirò anch’io lì dentro, sospetto di tutto e di tutti. Cosa possiamo fare?»
Anna-Liisa non disse nulla, ma ora la sua pausa di riflessione fu talmente lunga che Siiri iniziò a perdere le speranze. Anche lei sembrava perplessa e impotente. Caddero in un rassegnato silenzio, con lo sguardo fisso nel vuoto. Sul tavolo svolazzava un angioletto di carta, da dietro l’abete arrivavano il brontolio dell’ambasciatore e il fruscio delle carte da gioco. Più in lontananza risuonava la musica per la riabilitazione dell’istruttrice Jenni. Alla tv dei bambini arrostivano gamberoni.
E poi accadde qualcosa di meraviglioso. Siiri sollevò gli occhi dall’angelo di carta e vide una cosa che aveva ormai dimenticato e che, in quel momento, le apparve come la soluzione di tutto.