51
Irma si trovava splendidamente bene in quella camera con quattro letti nel reparto traumatologia dell’ospedale Kivelä, all’unità per la riabilitazione geriatrica. Adattarsi a un nuovo ospedale cominciava a essere per lei un’abitudine, aveva fatto conoscenza in fretta con le sue compagne di stanza. Quello era il suo quinto ricovero ed era la paziente più anziana della comitiva.
L’edificio dell’ospedale risaliva agli anni Trenta, ma successivamente erano state fatte numerose ristrutturazioni. L’atrio pareva progettato da un seguace di Alvar Aalto, per la sua larga scalinata e il pavimento in terracotta.
«Pensa che al piano terra ho trovato una parola di ventotto lettere» disse Siiri.
«Ma dai, e quale?»
«Era... aspetta, non me la ricordo più. Era una composizione assai complicata. Dispe... qualcosa.»
Irma era già in grado di muoversi con le proprie forze e, malgrado l’andatura fosse ancora lenta e insicura, con il girello riusciva a camminare abbastanza bene. Era tutta eccitata e propose di scendere per cercare la parola che Siiri aveva dimenticato.
«Nel frattempo possiamo prendere un caffè, la caffetteria è proprio accanto alle scale.»
Siiri l’aiutò a mettersi in piedi. Filò tutto abbastanza liscio, Irma era magra e leggera ed era tornata in forze come un tempo. Afferrò energicamente il girello e iniziò a sospingersi in avanti.
«È curioso, la testa e le gambe non seguono lo stesso ritmo. Ma cantare aiuta. Con la mia fisioterapista canto “per fare un tavolo, ci vuole il legno, per fare il legno, ci vuole l’albero...”, e abracadabra, le gambe si mettono subito in marcia. La cosa più importante è che io non finisca sulla carrozzella. Sarebbe atroce.»
Dalla stanza di Irma fino all’ascensore il tragitto era lungo e, una volta giù, ce n’era un altro uguale dall’ascensore alla caffetteria. Ma, tutto sommato, non avevano fretta. Su una parete, al piano terra, videro una targa di bronzo in cui si diceva che il presidente della Repubblica Risto Ryti aveva trascorso lì i suoi ultimi anni.
«In altre parole, è crepato qui. E questo sarebbe un grande onore per l’ospedale?» sbottò Irma. A fatica cominciò a girare con il suo girello. Dopo essere riuscita a voltarsi nella nuova direzione, sollevò lo sguardo verso la porta sul fondo, ed esultò.
«Dispensattrezzariospedaliero! Ecco la tua parola! Aspetta un attimo che conto.»
La rilesse forte, come se fosse una parola unica, canticchiando e ridendo, e la sua voce da ex soprano risuonò splendida in tutto l’ambiente. Si accorse che, accanto a quella porta, c’era l’ufficio assegnaprotesi, ma purtroppo lì di lettere ce n’erano solo quattordici.
Ammirarono l’atrio, quell’ospedale era davvero confortevole, fino a quel momento il più gradevole della città. Secondo Irma, le fisioterapiste del Kivelä erano più in gamba di quelle di Laakso, il cibo però era peggiore e i letti più stretti. Gli altri pazienti del suo reparto erano un gruppo assai vario. Molti si stavano riprendendo da brutti attacchi di ischemia e il loro comportamento era imprevedibile. Ce n’era uno che di notte si aggirava furtivamente per il piano, entrava nelle stanze delle donne, ne sceglieva una e si metteva vicino al suo letto. Tante avevano paura di lui, era poco piacevole svegliarsi in piena notte e vedere un perfetto estraneo in piedi accanto a te che ti fissava. Nella stanza di Irma c’era poi una tipa tutta suonata, diceva sconcezze e credeva che Irma fosse la tenutaria di un bordello.
«Anch’io ero così fuori di testa quando mi trovavo nel reparto d’isolamento?»
«Be’, pensavi che io fossi un’infermiera e mi davi ordini chiedendomi un sacco di cose stravaganti. Una volta mi hai esortato a sistemare il pranzo nello zaino e a controllare che avessimo con noi l’abbecedario.»
«Proprio come Kekkonen quando era ancora presidente della Repubblica! Oh, che ridere! Ma come hai fatto a sopportarmi quando ero in quello stato?»
«Certo che ti ho sopportato» rispose Siiri posando le tazze del caffè su un tavolino accanto alla parete. «Sapevo che non eri davvero svitata. Che dipendeva tutto dalle medicine.»
«Già, e questo ai miei tesorini non è passato nemmeno per l’anticamera del cervello.»
Si gustarono il loro caffè e Irma cominciò a parlare del suo desiderio di tornare a casa. Si chiamava per davvero percorso di dimissione e, per compierlo, bisognava fare diversi incontri con un gruppo chiamato team multidisciplinare, proprio come stava scritto negli opuscoli di Anna-Liisa. Ne facevano parte assistenti sociali, fisioterapisti, infermiere, ergoterapisti e delle tirocinanti prossime alla laurea, davvero deliziose. L’ergoterapeuta pareva essere una mansione simile alla maestra dei laboratori di manualità alla residenza per anziani, e quindi Irma aveva chiesto se, per tornare a casa, avrebbe dovuto fare un lavoretto, magari un coniglietto pasquale. Le ragazze però le avevano risposto che tutto sarebbe stato chiarito a tempo debito, e che la maestra di bricolage era un’occupazione completamente diversa da quella dell’ergoterapeuta.
Dopo un inizio promettente, il programma di riabilitazione e il percorso di dimissione si erano bloccati. Il personale non riusciva a mettersi in contatto con i parenti.
«Nessuno dei tesorini ha risposto al telefono! Che si vergognino, ingrate canaglie. Ho spiegato all’assistente sociale che la cosa dipende dal fatto che, quando chiamano dall’ospedale, l’apparecchio non segnala da dove arriva la telefonata. Voglio dire che sul display c’è scritto che a chiamare è un numero sconosciuto. I miei figli dicono che a telefonate del genere non bisogna rispondere, perché possono provenire da chissà chi e presumibilmente si tratta di offerte commerciali oppure di scocciatori. Anche se poi, ogni tanto, capitano pure delle buone occasioni. Quando ho ordinato una collana di libri, che poi ho regalato ai tesorini per Natale, mi hanno dato gratis un set di coltelli giapponesi e delle creme antirughe svizzere. Ma quell’assistente non mi ha creduto. Mamma mia, parliamo di qualcosa di più divertente. Dai, raccontami della primavera di felicità di Anna-Liisa!»
Anna-Liisa e l’ambasciatore, ultimamente noto come Onni, andavano ovunque mano nella mano e del girello non c’era più traccia. Lui raccontava lunghe storielle sulle sue avventure da diplomatico, lei l’ascoltava con le guance fiammeggianti, prendendo per buona ogni parola, anche se quei racconti per metà erano sciocchezze.
«Oh! Proprio Anna-Liisa, che è sempre stata una criticona!» strillò Irma, e rise così tanto che le andò di traverso il caffè. Siiri le diede dei colpetti sulla schiena, l’amica tossicchiò.
Ma non era tutto. La cosa più pazzesca del giovane amore del Lieto Tramonto era che i due piccioncini s’interrogavano a vicenda sulla declinazione dei pronomi interrogativi, sui quelli che richiedevano il dativo e sui laghi e fiumi finlandesi nel bel mezzo di una partita a carte. Durante il fine settimana precedente, avevano imparato a memoria, leggendolo ad alta voce, il listino prezzi della caffetteria della residenza ed erano dell’idea che fosse una cosa divertente. A Tallinn avevano ballato il fox-trot e il valzer e avevano fatto il bagno in una vasca d’acqua calda gorgogliante, completamente nudi, insieme a degli estranei veterani di guerra. A Siiri avevano portato come souvenir un telo di lino con dei cuoricini rosa e degli angioletti bianchi.
«Ecco per te un ricordino dell’allegra vacanza dei veterani, il telo dell’amore!»
Irma era sicura che Anna-Liisa e Onni avrebbero finito per sposarsi e fece giurare a Siiri di chiedere se potevano fare le damigelle d’onore. Avrebbero indossato abiti di pizzo identici e decorato i capelli con fiocchi di seta che promise di realizzare mentre si esercitava per l’esame di dimissione. Rise a crepapelle fino a farsela un po’ addosso. Ma non aveva importanza, all’ospedale mettevano a tutti il pannolone.
«Bisogna tenerlo per forza, è terribilmente scomodo e umiliante. Ma le infermiere non hanno il tempo di aiutare i pazienti ad andare in bagno. E per quanto io abbia giurato di sapermela cavare da sola, non mi hanno dato retta.»
Il cambio del pannolone avveniva tre volte al giorno ed era un gran lusso, perché all’ospedale di Malmi, come qualcuno aveva riferito, lo facevano solo due volte.
«Ieri a pranzo c’era una povera donna in pena perché aveva il pannolone pienissimo, ma le infermiere si sono limitate a dirle che quello pulito l’avrebbe avuto alle quattro. Come se si trattasse di un programma tv per cui vale la pena aspettare una giornata intera!»
Bevuto il caffè, Siiri la riaccompagnò nella sua stanza. L’avevano cercata per tutto il reparto, ma le infermiere non furono severe con i rimproveri, in fin dei conti la paziente era stata in grado di tornare a letto da sola. Siiri ne fu spaventata. Era stata lei a indurla a infrangere le regole, non sapeva che i pazienti potevano solo stare a letto e aspettare di riprendersi. Dopo quella breve scappatella, Irma era felice e si addormentò subito, appena coricata.
Tornando verso casa, Siiri era vigile e questo le permise di notare, in piedi in via Ruusulan, un uomo che le dava la schiena e assomigliava molto a Erkki Hiukkanen. Aveva gli stessi capelli spettinati e le spalle curve. Affrettò il passo e, inquieta, si accorse guardando nella vetrina di un ristorante che quel tale la stava seguendo. Fece in tempo ad attraversare via Mannerheim prima di lui, e il 4 arrivò mentre il semaforo per i pedoni era ancora rosso. Salì sul tram e lasciò il suo pedinatore a fissare la vetrina di un negozio di abiti da sposa.