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Un paio di settimane dopo essere stata dal medico, Siiri ricevette per posta il certificato sulla sua aritmia cardiaca, due ricette e un documento che spiegava per filo e per segno perché alla vigile paziete di novantaquattro anni non sarebbe stato impiantato un pacemaker. Le piacque in particolar modo la frase “per la sua età sembra essere in sé”. Molto gentilmente il medico aveva inviato il documento in doppia copia e Siiri andò subito da Irma per mostrarle quel che aveva messo a segno a supporto del suo reclamo. Non era un certificato sul suo stato di salute generale, ma comunque qualcosa di concreto. Le parole di un esperto avrebbero sicuramente accelerato l’esame del suo caso da parte della direzione della Fondazione amorevoli cure per gli anziani.

Irma però non le aprì. Siiri sapeva che era in casa, il concerto per pianoforte di Mozart risuonava dall’interno ad alto volume. Per fortuna si erano scambiate le chiavi di riserva. In fin dei conti, poteva capitare di dimenticare la borsa da qualche parte o di chiudere la porta lasciando dentro le chiavi. Erkki addebitava venticinque euro per aprirla e loro si rifiutavano di pagare una tale somma a quel lavativo. Virpi ed Erkki abitavano in un grande appartamento all’ultimo piano della residenza. Non era certo un grosso disturbo scendere per aprire la porta di casa a un anziano. Molti inquilini se ne andavano in giro con le chiavi appese al collo, come gli scolaretti negli anni Settanta. Lo faceva anche Anna-Liisa, ma Siiri era dell’idea che una donna adulta dovesse tenerle in borsa. Dov’era la sua? Proprio in quel momento si accorse di averla dimenticata sul tavolo della cucina nel suo appartamento. E se non aveva nemmeno le sue chiavi, figuriamoci quelle di Irma! Non restava che bussare e gridare. Dovette picchiare a lungo, dando anche un po’ di calci, prima che Mozart s’interrompesse e Irma venisse ad aprire.

«Accidenti! Perché fai tutto questo baccano? Sei andata fuori di testa?»

Un po’ in imbarazzo, Siiri le raccontò della borsa e Irma la invitò a prendere del caffè con un cono gelato che teneva in freezer. Siiri sedette sulla vecchia poltrona a fiori e le mostrò il certificato e gli altri documenti.

«Di che reclamo parli?» le chiese Irma, e di nuovo Siiri fu assalita da un profondo turbamento. Le tremavano le mani e tentò d’infilare i fogli nella busta. Non sapeva dove appoggiarli. Di solito l’appartamento di Irma era ordinato, ora però sul tavolo c’era molta confusione. L’amica mangiava soddisfatta il suo cono alla marmellata di rovo artico e guardava Siiri senza dire una parola.

«Irma... ti sei mai preoccupata per la tua memoria?» chiese finalmente Siiri, trovando il coraggio di iniziare una conversazione che tante volte aveva ripetuto nella sua mente. Voleva sapere se Irma si rendeva conto di essere, di tanto in tanto, molto confusa. Si erano sempre confidate con sincerità e sarebbe stato così anche su quell’argomento.

«Su, non cominciare» rispose Irma, agitando in aria una mano come se uno sciame di moccocacche le stesse ronzando intorno. «Può succedere a chiunque di dimenticare una borsa, anche a una più giovane di me. Piuttosto, comincio a preoccuparmi seriamente per i movimenti di Virpi. Mi spia. Perché sei seduta al mio posto?»

Siiri si alzò dalla poltrona e si spostò senza dire nulla sul divano. Ripensò a quante volte avevano riso insieme di Veikko. Il marito di Irma considerava sacri la propria poltrona e il proprio posto a tavola, e se un malcapitato per sbaglio vi si sedeva, non riusciva a trattenersi e lo faceva alzare. La luce gialla della lampada illuminava il viso di Irma che parlava a voce bassa, guardandosi intorno sospettosa. Disse di aver strappato via i cavi delle telecamere di sorveglianza e di aver staccato anche il telefono, visto che le chiamate venivano ascoltate negli uffici al piano terra. Aggiunse che le erano stati rubati importanti documenti. Ecco perché sul tavolo c’era quel cumulo di cartelline.

«Tutti i certificati medici erano in ordine in un raccoglitore verde. E ora me l’hanno rubato.»

Siiri si mise a controllare i raccoglitori: non ce n’era nemmeno uno di quel colore. Passò a rovistare sulla libreria. I libri di Eeva Joenpelto occupavano quasi un metro dello scaffale, il doppio di quelli dei Mumin, e poi c’erano Singer, Lindgren, Lagerlöf, e alcuni volumi nuovi, tutti in ordine alfabetico per autore, oltre a due mensole di album di fotografie. Esaminate anche quelle, Siiri cercò tra le carte sul tavolino del telefono, ma non trovò né certificati medici né raccoglitori verdi.

Irma mangiò un secondo cono gelato, poi si alzò, aprì l’armadio della camera da letto e vi frugò dentro. Dopo un attimo tirò fuori la testa dal mobile e chiese: «Che cosa stiamo cercando, esattamente?»

«Che cosa cerchiamo?» la rimproverò Siiri. «Siamo qui a perder tempo a controllare dappertutto, solo perché ti sei messa in testa un sacco di stupidaggini e sei convinta che qualcuno abbia rubato le tue carte! Mi vuoi spiegare perché pensi di avere bisogno del raccoglitore verde? Almeno questo te lo ricordi? Sì, proprio quello dove ci sono le vecchie ricette, i certificati, la cartella clinica e tutto il resto.»

«Ah già, quello. Guarda! Qui c’è qualcosa d’interessante. Mesi fa ho chiesto a Virpi di poter visionare la mia documentazione medica e altro materiale sul mio conto, ma si è rifiutata di mostrarmela. Non è strano? Avrò pure il diritto di leggere quello che è stato scritto su di me, i referti e roba del genere. Qui stanno accadendo cose così strane che ho cominciato ad avere paura di tutto.»

Avevano rubato il raccoglitore verde perché c’era qualcosa di losco nella sua documentazione medica, informazioni false sul suo conto e diagnosi fasulle. Irma era molto agitata, teneva ancora una gamba dentro l’armadio e stringeva tra le mani due paia di pantaloni di seta. Siiri la fece sedere sulla sua poltrona, le versò un bicchiere di vino rosso, ripose i pantaloni nell’armadio e notò che ce n’erano almeno una ventina dello stesso tipo.

Irma si scolò il grande bicchiere di vino quasi in un sorso e si accasciò sfinita. Parlava a fatica, Siiri riusciva a capire solo che voleva andare a dormire, malgrado fossero appena le tre del pomeriggio. L’aiutò a mettersi a letto e controllò che avesse preso le medicine. Sul comodino c’erano due portapillole pieni di compresse. Erano tantissime, molte di più di quelle che avevano contato con Mika al ristorante Kämp. Irma le mandava giù diligentemente e anche quel giorno aveva già svuotato gli scomparti del mattino e del mezzodì. Perché diamine una donna di novantadue anni sana come un pesce aveva bisogno di così tanti farmaci?