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Sull’ascensore della scala A era stato affisso un avviso. La caporeparto era in congedo di malattia fino a data da stabilirsi. Questa notizia diede il la a un interminabile chiacchiericcio, in mensa, al tavolo da gioco, e durante i test sulla memoria. Per la malattia di Virpi, ognuno aveva la propria spiegazione. La maggioranza credeva che il suo altruistico operato per migliorare le condizioni degli anziani alla fine l’avesse sfinita. C’era anche chi sosteneva si fosse ammalata di un cancro al seno, che progrediva in modo aggressivo. Solo Siiri sapeva che Virpi Hiukkanen aveva avuto un crollo nervoso.
«La colpa è tua» le disse allegramente Irma.
A farle visita c’era anche Anna-Liisa. L’ambasciatore era andato in città a occuparsi di certe misteriose faccende. Anna-Liisa si mise a fare il resoconto dei pettegolezzi scatenati dalla malattia della caporeparto.
«Ma non ho detto a nessuno qual è stato il tuo ruolo, Siiri.»
Irma era tornata di ottimo umore. L’esame era andato bene. Aveva dovuto far bollire dell’acqua nella cucina di prova dell’ergoterapeuta, e il suo sesto senso le aveva suggerito anche di spegnere la piastra del fornello dopo aver tolto la pentola. I mariti di Siiri e Irma non avrebbero mai superato un test del genere, neanche nel pieno delle loro facoltà. L’esame non avrebbe dovuto essere uguale per gli uomini e per le donne. Dai maschi della loro generazione non ci si poteva aspettare troppo in cucina.
«I miei tesorini sono dell’idea che io non sappia più cavarmela da sola. Per precauzione dovrei andare a rinchiudermi in un istituto, preferibilmente in un ospizio comunale, così l’attesa del crematorio non diventerebbe per loro troppo costosa. A causa dei tanti impegni di lavoro, non sono potuti venire all’incontro, e perciò li hanno intervistati a distanza.»
«Questa te la sei inventata» disse Anna-Liisa.
Invece era tutto vero. C’era un questionario per i parenti più prossimi dei pazienti, quando erano troppo occupati con i loro cavalli e non potevano andare in ospedale di persona.
«Ah, ecco. Io pensavo che intendessi parenti a distanza, e in fondo anche questa formula andrebbe bene per i tuoi tesorini.»
Riguardo alla questione abitativa di Irma, la dichiarazione del team per le dimissioni era di fondamentale importanza. Se le avessero assegnato un cattivo punteggio, vale a dire il più alto, sarebbe stata mandata in un istituto insieme ai pazienti con disturbi mentali. Era quello che speravano i suoi figli, perché in quel caso il Comune si sarebbe fatto carico delle spese. Ma poiché avevano certificato che era in buono stato di salute, il problema era proprio che non aveva un alloggio.
«Già, e quale delle due alternative è la peggiore?» chiese Irma. Non voleva andare in un ospizio o in un reparto per dementi, e in Finlandia un’ex ausiliaria di guerra di novantadue anni non poteva certo essere messa per strada a chiedere l’elemosina.
«Attenzione gente! Potreste incontrarmi in divisa da ausiliaria sul viale davanti all’Altalepa, mentre canto la canzoncina di August insieme a quel bel romeno con la fisarmonica e una tazza vuota per terra. La mia divisa è nell’armadio, forse mi sta ancora dopo questo tour ospedaliero. Ah già, ma non ci sarà più. I miei tesorini hanno di certo venduto pure quella al mercatino delle pulci.»
«Ho pensato che...» cominciò Anna-Liisa in tono solenne, interrompendo il flusso di pensieri di Irma.
«Sì, cosa?» chiese Irma.
«Ho pensato che, se io mi trasferissi nell’appartamento di Onni – lui ha tre stanze e cucina alla scala C – allora tu potresti prendere il mio.»
Era proprio un’idea grandiosa. Solo un attimo per metabolizzarla, e si resero conto di quanto fosse meravigliosa.
«E l’ambasciatore, voglio dire il tuo Onni, ne è al corrente?» chiese Siiri.
Tutta contenta Anna-Liisa rispose che, originariamente, l’idea era stata sua ma che la questione si doveva in un certo senso ancora chiarire. Poi passò a parlare del tempo, perché stava soffocando dal caldo, come tutti del resto. Era già estate inoltrata e la gran calura era fastidiosa per gli anziani. Dentro faceva ancora più caldo che fuori ed era difficile trovare abiti adatti, perché una signora di novantaquattro anni non poteva mica andarsene in giro con le spalle scoperte. Alcuni morivano per il gran caldo, e anche Siiri doveva ricordarsi di bere a sufficienza. Sarebbe stato imbarazzante morire per disidratazione nel paese dei mille laghi.
«Come preferireste morire?» chiese Irma.
«Attacco cardiaco, è ovvio» immaginò Anna-Liisa, e Irma raccontò di una sua cugina che, proprio dopo aver fatto la doccia, essersi spalmata la crema, essersi messa a letto per leggere una rivista e aver messo su le Variazioni Goldberg di Bach, aveva avuto un infarto. I suoi figli l’avevano trovata che era una rosa.
«Ma per noi è troppo tardi per pensare a queste cose» aggiunse. «Saremmo dovute morire prima che tutti gli altri arrivassero a desiderarlo. Prima che svuotassero le nostre case e distribuissero la nostra roba ai poveri.»
Mostrò una busta in cui erano raccolti i risultati del suo percorso di dimissione, c’erano molti documenti. C’era scritto che era una persona molto vitale e, nel programma di valutazione, le avevano prescritto l’aiuto di un’infermiera a domicilio tre volte al giorno. Anche se in realtà il domicilio le mancava.
«Una povera infermiera dovrà venire a portarmi cibo e medicine. Se fa in tempo, mi lava anche il sederino, e nei giorni di festa potrei addirittura fare la doccia con lei.»
Era stata messa in lista per gli ospizi cittadini ma, secondo l’assistente sociale, con poche speranze, viste le sue buone condizioni e il reddito troppo alto. L’avrebbero sistemata provvisoriamente nel reparto lungodegenza del Suursuo, a meno che non si fosse verificato un miracolo.
«Lì ci sono già stata una volta! Ora il carosello degli ospedali inizierà daccapo?»
Siiri ammirava la sua capacità di non perdere il buon umore neanche in quella circostanza. Irma non si lamentava mai del suo destino. Chiese che le leggessero i necrologi, volle sapere di tutti quelli che erano morti mentre lei era ricoverata nel reparto d’isolamento e se la spassava nei vari ospedali della capitale. Siiri elencò Olavi, il tipografo Reino, la dama col cappellino e altri al cui funerale non erano andate. A divertire Irma fu soprattutto il racconto del ricevimento di commemorazione della dama col cappellino al ristorante Ukko-Munkki. Poi il sesto senso le riportò alla mente qualcosa che aveva già dimenticato.
«Anna-Liisa, parlavi sul serio quando dicevi che potresti trasferirti dall’ambasciatore e lasciare a me il tuo appartamento?»
Anna-Liisa annuì e sembrò seria. Aveva già valutato la cosa in maniera piuttosto approfondita.
«Ci sono però delle complicazioni» spiegò, lisciando la coperta di quel letto d’ospedale che non stava piegata come lei voleva. «Al Lieto Tramonto la convivenza non è ammessa.»
Anna-Liisa e l’ambasciatore avrebbero dovuto essere marito e moglie per poter abitare sotto lo stesso tetto.
«E qual è il problema? Sposatevi!» propose Irma.
«È quello che abbiamo pensato anche noi» disse Anna-Liisa sempre molto seria, nonostante Irma e Siiri fossero elettrizzate al pensiero. «Ma il passato di Onni complica la questione.»
«Oh, che cosa eccitante! È anche lui un fuorilegge, come me?» domandò Siiri, e con Irma risero tanto che sembrava non potessero smettere più, proprio come le due adolescenti che una volta avevano incontrato su un tram. Anna-Liisa conteneva a stento la sua irritazione, e un po’ alla volta si calmarono per ascoltare le rivelazioni sui trascorsi di Onni.
L’ambasciatore non era un criminale, ma un ex impiegato del ministero degli Esteri con un’importante carriera diplomatica alle spalle, aveva abitato in molti paesi, alcuni dei quali non esistevano più, come la Jugoslavia. La madre dei suoi figli, tutti residenti all’estero, era morta da molto tempo. Lui si era risposato e aveva divorziato almeno due volte, sempre all’estero, e ora avevano scoperto che in Finlandia venivano riconosciuti solo i divorzi finlandesi.
«Quindi, è un vedovo di novant’anni con almeno due mogli e una fidanzata? Questo sì che è un risultato notevole!» disse Irma, raccontando subito di una sua cugina che aveva tre fratelli e dodici cognate. Chissà se al Lieto Tramonto permettevano le convivenze lesbiche ufficializzate.
«In quel caso, Siiri e io potremmo trasferirci nel grande appartamento dell’ambasciatore.»
Onni aveva cominciato a mettere ordine nei suoi documenti. In qualità di diplomatico e massone, era abituato che le cose si sistemassero con un paio di telefonate e un bonifico bancario. Regolarizzare i suoi divorzi si era però rivelato straordinariamente laborioso. Anna-Liisa temeva che, andando a rovistare nel suo passato, si sarebbero potuti trovare altri scandali.
«Altri scandali? Ma che sciocchezze dici?» si sbalordì Irma.
Per scandali Anna-Liisa intendeva figli, soprattutto illegittimi, anche se Irma e Siiri non capivano come un’eventuale mandria di figli potesse sconvolgere la vita della loro amica.
«I figli vogliono l’eredità» spiegò pazientemente Anna-Liisa. «E se sono davvero avidi, come in genere sono, impediranno la nostra unione, perché avranno paura che io metta le mani sui beni di Onni. Dopotutto, è molto ricco.»
Anna-Liisa pronunciò quest’ultima frase a voce bassa, chinandosi verso Siiri e Irma, tant’è che per un pelo le loro teste non cozzarono. Anna-Liisa immaginava che tutti al Lieto Tramonto, ed evidentemente anche nel reparto di traumatologia dell’ospedale Kivelä, fossero invidiosi di loro, del loro amore e dei loro soldi. Irma le suggerì di stendere un accordo prematrimoniale, così gli eventuali figli non avrebbero avuto nulla da temere da lei.
«L’ho proposto, ma Onni non è d’accordo» sospirò. «Vuole trattare equamente tutte le sue consorti. E poiché con le precedenti non ha fatto un contratto simile, non ammette di farlo nemmeno con me. Confida nel fatto che le mogli muoiano prima. Ma, per quanto ne so, tranne la prima, le altre sono ancora vive.»
«Questo sì che è divertente, potreste invitarle tutte al matrimonio!» esclamò Irma mettendosi di nuovo a ridere. «Mi prometti che saremo noi le damigelle d’onore?»
Anna-Liisa sorrise abbassando lo sguardo come una giovane sposa, senza rispondere alla richiesta di Irma. Solo dopo averla lasciata nel suo letto a riposare, mentre lei e Siiri camminavano verso la fermata del tram lungo via Sibelius, improvvisamente disse: «Non ci sarà nessuna cerimonia di nozze. Si farà tutto in municipio.»