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«Siiri cara, tanti saluti dal piano terra! Ci sono buone notizie per te! Il tuo bastone è stato ritrovato all’ospedale di Laakso.»
Per tutto l’inverno si era chiesta dove si fosse cacciato, ma non se n’era ancora comprato uno nuovo. Le avrebbe fatto comodo sul terreno bagnato e scivoloso. E ora la direttrice Sinikka Sundström le telefonava, più vispa del solito, ad annunciarle la buona novella. Neanche fosse stata una bambina, le disse che era stata proprio brava ad appiccicare l’etichetta con il suo nome. Ingegnoso! Grazie a quella erano riusciti a risalire al suo indirizzo. Siiri, per buona educazione, le chiese come fosse andata la sua vacanza. Non l’avesse mai fatto.
«Oh, assolutamente fantastica! Non puoi nemmeno immaginare che posto sia l’India, davvero meraviglioso. Molti turisti ci vanno solo per godersi gli hotel e le spiagge, e non fanno caso alla povertà che c’è, da strapparti il cuore. Io e Pertti siamo rimasti lì per tre settimane e siamo riusciti a immergerci completamente nei problemi del paese, in particolare in quelli dei bambini. Pensa un po’, Siiri, ci sono decine di migliaia di orfani, analfabeti e malati, bimbi dolcissimi la cui vista mi ha toccato così profondamente che ho deciso di aiutarli. Abbiamo messo in moto una raccolta fondi a favore dei bambini indiani. Parteciperai anche tu, vero Siiri cara?»
«Veramente a Natale ho già donato una bella somma per gli invalidi di guerra.»
«Certo, capisco, l’India potrà sembrarti lontana. Ma questi orfani non hanno nemmeno le scarpe. Aspettano il nostro aiuto, di noi che viviamo nell’abbondanza, ne hanno un bisogno assoluto. Si sa che in Finlandia oramai ci saranno sì e no solo un paio di eccentrici invalidi di guerra ancora in vita.»
«Certo, forse è proprio così.»
«Bene, magari potremmo riparlarne in un altro momento, con più calma. Ho tante foto splendide sugli orfanelli indiani, e quando le vedrai, anche tu ti lascerai intenerire. Ora ascolta, purtroppo devi andare tu a riprenderti il bastone, qui nessuno lo può fare. Lavoriamo tutti, anzi, il lavoro è così tanto che sono preoccupata per la salute dei miei dipendenti. Lavorare con gli anziani è faticoso, monotono e poco gratificante. Nessuno ci ringrazia. E anche lo stipendio è misero perché la nostra società non comprende il significato di questa professione. Per questo al giorno d’oggi è tanto difficile trovare personale per la residenza. Anche questa settimana siamo in pochi.»
Dopo essersi liberata della direttrice, Siiri si preparò per uscire. Cercò e tornò a cercare il pettine e lo specchio, li trovò, notò il mazzo di chiavi di Mika e pensò di metterlo nella borsa, ma non la trovava da nessuna parte. La vide sulla sedia del corridoio, dimenticò di pettinarsi, perse di vista gli occhiali da lettura che poi si accorse di avere in testa, pensò a dove fosse il suo bastone, e infine si ricordò che stava giusto andando a recuperarlo. Con la giacca addosso, abbassò l’interruttore della luce. Era pronta per uscire, quando sentì che qualcuno stava infilando la chiave nella serratura. Rimase immobile a guardare la porta che si apriva lentamente. Il corridoio era buio ma riuscì a vedere una cassetta degli attrezzi.
Non si meravigliò troppo, l’uomo che entrò dopo la cassetta era Erkki Hiukkanen, con la sua tuta da lavoro blu e il solito berretto calato in testa. Guardandosi alle spalle, Erkki s’infilò dentro di soppiatto, cercando a tentoni l’interruttore della luce. Ma si spaventò appena vide Siiri lì in piedi. Chiuse la porta, gettò a terra la cassetta e girò all’indietro il berretto. Dopo un istante cominciò a spiegare farfugliando di essere venuto per controllare lo scarico del bagno. A Siiri sembrava che lo scarico funzionasse alla perfezione, da sempre.
«Be’, li stiamo controllando tutti, ci sono stati dei reclami» mentì Erkki Hiukkanen e, malgrado dovesse uscire, Siiri lo lasciò entrare in bagno, ma non aveva nessuna voglia di starsene lì, con indosso la giacca invernale, a guardarlo frugare in quel buco.
Sul tram provò a ricordare quando era andata all’ospedale di Laakso. Come diamine ci era finito il suo bastone laggiù? Non poteva fare affidamento sulla memoria. Proprio il giorno prima era successo che la caporeparto fosse andata a prelevarla al tavolo da gioco, nel bel mezzo di una partita a canasta, per misurarle la pressione. Avrebbe potuto giurare di non avere mai concordato quell’intervento, che andava pure pagato a parte.
«Siiri, ora forse non ricordi, ma ci siamo messe d’accordo poco fa. Non ti preoccupare, capita a tutti di scordare qualcosa» aveva affermato Virpi. Poi l’aveva trascinata nel suo ufficio e aveva cominciato a farle domande sull’aritmia e su quanto desiderasse vivere. Dove voleva andare a parare?
«A dicembre sei andata all’ospedale Meilahti dal cardiologo, non ti ricordi?»
Quell’interrogatorio era spiacevole. In più, la pressione era normale, non bassa come al solito, e Siiri si era innervosita.
«Stai calma, non essere aggressiva» l’aveva rimproverata Virpi. Allora Siiri si era talmente arrabbiata che aveva detto «arrivederci e grazie» e se n’era andata nel suo appartamento. Che l’ambasciatore e Anna-Liisa continuassero pure la partita senza di lei, anche se le erano capitati due jolly. Ma era il giorno prima, o quello prima ancora? Meglio non pensarci. Scese alla fermata della vecchia dogana in piazza Töölö. Forse un giorno o forse mai l’avrebbe scoperto, come diceva sempre Irma. Si fermò un attimo a guardare il sole che brillava sulle pareti del palazzo Aura e s’incamminò lungo via Mannerheim, e poi su per la salita verso Laakso.
All’ospedale le ci volle un po’ prima di trovare qualcuno che le desse ascolto, quel posto le faceva fare confusione.
«Non so proprio come consigliarla su dove cercare il suo bastone. Ha controllato in rete?» disse la ragazza al banco informazioni.
«È lì che dovrei andare a prenderlo? E dov’è che si trova?» le chiese. La ragazza sembrò rendersi conto che Siiri non era in grado di cercare il suo bastone col computer. Le promise che se ne sarebbe occupata lei, nel frattempo poteva accomodarsi nella sala d’aspetto. Nell’attesa Siiri ricordò che, prima di Natale, Olavi era stato trasferito al reparto di lunga degenza, ma non le sembrava di essere andata lì a trovarlo. Non era stato invece in quella camera dell’Hilton con vista panoramica? Gli avevano portato lo spezzatino di maiale e si erano divertiti insieme leggendo il giornale.
La ragazza entrò in quel momento tenendo in mano il suo bastone.
«Il mio Cavalier Gastone torna sempre da me!» esclamò Siiri, esattamente come avrebbe fatto Irma, e l’impiegata sorrise gentile, tanto che Siiri osò chiederle come ci fosse finito, il suo bastone, in quell’ospedale.
«Perché non mi pare di essere venuta qui. Ma forse la memoria mi gioca brutti scherzi, ormai sono così vecchia.»
«È stato ritrovato tra le cose di un paziente» rispose, e Siiri capì subito.
«Olavi Raudanheimo! Ma certo, ho dimenticato il mio bastone da lui all’Hilton e ora è stato trasferito qui armi e bagagli. Non potrei andare a salutarlo? Mi sa dire in che reparto si trova?»
L’impiegata del punto informazioni restò per un attimo senza parole. Le disse poi che il signor Raudanheimo non si trovava più nell’ospedale.
«Oh, mamma mia! E dove l’hanno spostato questa volta?»
«Il signor Raudanheimo... lui... è venuto a mancare, si è addormentato, cioè... se n’è andato oggi.»
Disse che Olavi era morto di vecchiaia. Ma Siiri sapeva che la medicina finlandese, prima ancora che lei fosse nata, aveva eliminato la vecchiaia come possibile causa di decesso. Alla fine l’impiegata chiamò un’infermiera più anziana, una donna che sembrava avere vissuto una vita serena, la quale spiegò che non erano autorizzati a riferire a terzi dettagli precisi sulle ragioni del decesso dei pazienti.
«Posso però dirle che nelle ultime settimane il signor Raudanheimo si è rifiutato di mangiare, e aveva firmato di non voler essere alimentato artificialmente, cosa che ha creato un bel po’ di problemi e di riunioni qui tra il personale, ma che possiamo farci?»
L’infermiera la guardò in modo allusivo e Siiri capì cos’era successo. Aveva sentito di una cosa del genere anche in passato. Irma le aveva raccontato di una sua cugina, Sylvi. I figli l’avevano messa in un ospizio così tremendo che la donna aveva smesso di mangiare pur di uscire da lì.
«Capisci, per potersene andare, allo stesso modo della signora grassoccia della scala A» aveva detto Irma.
«Quella a cui hanno fatto troppa insulina, giusto?»
«Che stupidaggini! Assolutamente no, mia cugina non soffriva di diabete, nemmeno un po’. Si è suicidata facendo lo sciopero della fame, come Gandhi, ma ovviamente nessuno è accorso per fermarla perché, quando un vecchio muore, è un bene per tutti, così com’è stato un bene che Gandhi non sia morto, anche se, naturalmente, alla fine è morto lo stesso, ma non per lo sciopero della fame. Sylvi ha smesso di mangiare e, poiché già prima era uno stecchino, in ospedale è morta nel giro di due settimane. Per i vecchi, quando sono magri, è piuttosto semplice. Se poi ci si ricorda anche di non bere, si finisce subito a gambe per aria. E quando si ha una dichiarazione anticipata di trattamento in tasca, nessuno può venire a infilarti tubi per alimentarti a forza come se fossi una paperella.»