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«Qui di notte c’è più silenzio che al camposanto» disse Anna-Liisa, mentre, dopo pranzo, bevevano il caffè da Siiri.

Siiri non aveva chiuso occhio, tanta era la preoccupazione che aveva provato per lei. La ronda però era andata bene, e nonostante le poche ore di sonno nessuna delle due si sentiva stanca. Il Piano era entrato nel vivo e presto si sarebbero trovate nel pieno dell’azione.

«Negli uffici non c’è nessuno. A essere illuminato è solo il reparto d’isolamento, ma mi è parso che l’infermiera dormisse.»

Anna-Liisa aveva fatto un disegno accurato e un elenco delle telecamere di sicurezza tra la scala A e il reparto. Ce n’erano diverse. Ordinò a Siiri di portare con sé un buon equipaggiamento, torcia e coltellino, e magari uno zaino.

«Io ce l’ho sempre un coltellino nella borsa» aggiunse Anna-Liisa, ma Siiri non riusciva a capire quale ne fosse l’utilità al Lieto Tramonto, nel cuore della notte. E poi un affare simile mica ce l’aveva.

«E un coltello da cucina, va bene lo stesso? Però non è più molto affilato. E comunque lo zaino non me lo porto. Non sono mica una scout.»

«Ti darò il mio coltellino.»

«Ma così non ce l’avrai più con te. Riuscirai a dormire, senza?» chiese Siiri per scherzare un po’, riuscendo a strappare un sorriso all’amica.

Anna-Liisa nel frattempo aveva tirato fuori dalla borsetta un coltellino con il manico di betulla, e lo aveva solennemente posato sul tavolo, neanche fosse una reliquia del maresciallo Mannerheim. Sebbene vecchio, usurato e privo di custodia, era pericolosamente affilato. Di certo quella lama aveva una storia lunga e interessante, ma Siiri non osò chiedere nulla. In quel momento Anna-Liisa era tutta presa dal Piano e intenta a leggere dai propri appunti, con gli occhiali da lettura calati sul naso.

«Il corridoio che va dall’atrio alla porta del reparto d’isolamento non è lungo quanto credevo. L’ho percorso tutto in settantatré passi. E dalla porta dell’ufficio di Sinikka Sundström al tavolo da gioco sono ben trentuno passi, ho misurato anche quello. Cioè, appena trentuno. È un po’ preoccupante, in pratica è a portata di orecchio.» Sollevò lo sguardo dai fogli, vi posò sopra gli occhiali e raddrizzò la schiena. «Secondo te, quanto ci metterà Irma a tornare in sé dal momento in cui non prenderà più le medicine? Hai controllato che nel suo appartamento sia tutto a posto?»

Siiri non ci era più andata dopo che Mika l’aveva messo in ordine. Pensava fosse meglio compiere un passaggio alla volta. Oltretutto in quella faccenda c’era qualcosa che la turbava. Non riusciva a capire perché mai la casa di Irma fosse stata messa a soqquadro in quel modo. Era un pensiero fastidioso, che aveva inutilmente provato a togliersi dalla testa. Chi ci era andato, e perché?

«Qualcuno del personale» disse Anna-Liisa come se la questione fosse una verità assodata, verificata dalla polizia. «Cercavano delle prove per poter trattenere Irma nel reparto dei dementi.»

Siiri si soffermò a riflettere sul raccoglitore verde, che inizialmente non si trovava da nessuna parte e che poi era spuntato in mezzo alla baraonda delle cose di Irma.

«Chiaro come il sole» borbottò Anna-Liisa. «Prima se lo sono portati via, poi l’hanno restituito per occultare le loro tracce.»

«Occultare le tracce? Secondo me a casa di Irma di tracce ce n’erano proprio parecchie!»

«Ma non ce ne sono più, Mika l’ha sistemata da cima a fondo. Ci avevi pensato? Perché il tuo angelo aveva così tanta fretta di pulire le impronte di qualcun altro? Chissà, magari era stato lui ad andarci? In fondo, sin dall’inizio, è stata un’idea sua quella d’introdursi in quell’appartamento. E per la precisione, allora lui aveva già le chiavi del Lieto Tramonto. Hai notato quanti barattoli di pillole si è infilato in tasca? Di quell’uomo non mi fido. Per essere un normale tassista è troppo informato su quello che accade qui.»

Anna-Liisa era elettrizzata. Di solito non perdeva mai il suo aplomb, ma in quel momento aveva le guance incandescenti e le tremava la voce. Siiri era senza parole, non si aspettava quella ricostruzione dei fatti. Il ragionamento dell’amica era terribilmente razionale. Aveva creduto che anche lei considerasse Mika una persona buona, desiderosa di aiutarle.

«E sentiamo, per quale motivo ci dovrebbe aiutare? Due nonnine come noi, vecchie e squattrinate» insistette. Siiri agitata si guardò le mani, che si strinsero in un pugno.

«Io... immaginavo che fosse nostro amico e... che noi... un po’ come se avessimo un nemico comune, poiché quell’aiuto cuoco impiccato era suo amico e in un certo modo... in un certo senso, l’intera faccenda probabilmente è collegata a... a Tero, non credi anche tu?»

Anna-Liisa non disse nulla. Forse rifletteva. Nel suo tentativo di difendere Mika, Siiri non era stata convincente, era tutto così vago. Come avevano potuto lei e Irma fidarsi di quel tassista sconosciuto, tanto da andare a pranzo con lui? Siiri lo aveva perfino invitato a casa sua, quell’estraneo che aveva un giubbotto con su un teschio. Adesso sì che avevano proprio bisogno di Irma!

«No, è Irma ad aver bisogno di noi. Dobbiamo fare tutto da sole, Siiri Kettunen.»