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Quell’uomo robusto era lì davanti a Siiri e Anna-Liisa e le guardava con i suoi gentili occhi azzurri. Porse loro una stella di Natale.
«Buon Natale!» disse. «O forse dovrei dire un buon anno felice, visto che il Natale è già passato.»
«Mika Korhonen!» esclamò Siiri come se l’arcangelo Gabriele fosse sceso dal cielo. Ed era proprio così che lo vedeva, nessun altro sarebbe stato in grado di aiutarle a uscire da quel pasticcio che, di settimana in settimana, si faceva sempre più ingarbugliato.
Siiri si lasciò andare e abbracciò il suo amico: in quel momento sentiva il bisogno di essere stritolata da quel giubbotto di pelle. Aveva un odore inebriante e le sembrò più rassicurante di tutti i suoi ricordi d’infanzia.
«Basta dire “buon anno”, “felice” è di troppo» lo corresse Anna-Liisa, e Siiri si accorse di non avere ancora fatto le presentazioni.
«Lei è la mia amica Anna-Liisa Petäjä» disse a Mika che allungò la mano vigorosa.
«Professoresa di lingua finlandese, dottoressa in lettere, molto lieta di conoscerla, signor Korhonen.»
Anna-Liisa strinse la mano di Mika compiaciuta per la sua solida presa.
«Sì, okay, mi chiami pure Mika. E dov’è quell’altra signora allegra? Ho una piantina anche per lei. Adesso si trovano a poco prezzo.»
«Le stelle di Natale sono velenose» lo mise in guardia Anna-Liisa, e Siiri invitò lei e Mika a spostarsi nel suo appartamento. Le sembrava che così sarebbero stati più al sicuro. Non si poteva mai sapere se, tra quelli che andavano in giro con il capo ciondolante, ce ne fosse uno sano di mente che andava a spifferare tutto. Dio santo, quanto era diventata paranoica!
Durante il tragitto verso l’appartamento di Siiri, Mika si guardava attorno incuriosito. Ogni tanto annusava l’aria con una smorfia: nella residenza dovevano esserci odori strani per chi veniva da fuori, un misto di disinfettanti e secrezioni a cui ormai i residenti si erano rassegnati. Siiri aprì la porta e, dispiaciuta per non aver rassettato dopo la colazione, si affrettò a mettere in ordine e a ripulire il tavolo. Anna-Liisa non era mai andata da lei prima d’allora e perciò ispezionò entusiasta la casa. Lasciò il suo girello davanti alla libreria, che esaminò con cenni di approvazione nonostante vi fossero solo i libri preferiti di Siiri, e quelli più recenti. Trasferendosi alla residenza per anziani ne aveva ceduta la maggior parte a un rivenditore di libri usati. Il libraio era pronto a darle in cambio qualche centinaia di euro, ma i soldi non le interessavano. Chi esercitava quel mestiere faceva un’opera di beneficenza, salvando i libri e i loro messaggi.
Mika guardò le fotografie del marito e dei figli di Siiri appese alle pareti, sbirciò in camera da letto e si sedette sul divano, che sembrava ancora più piccolo dopo che lui ne aveva occupata la metà. Era uno strano sofà, basso e arcuato, proveniente dalla collezione Stockmann, che Siiri si portava dietro fin dagli anni Trenta. «Vi vanno caffè tè e me?» chiese Siiri ai suoi ospiti, posando le stelle di Natale sul tavolo. Con Irma dicevano sempre così. Mika rise stupito e Anna-Liisa cominciò a spiegare che si trattava di un gioco di parole.
«Già, cose dei nostri giorni» disse Mika tamburellando sul tavolo. Anna-Liisa aggrottò le sopracciglia con un’aria seria.
«Intendi dire che i giovani di oggi usano ancora giochi di parole?»
Siiri si intromise nella discussione a voce alta per catturare l’attenzione di Mika e Anna-Liisa. Era meglio lasciar perdere giochi e gergo giovanile e parlare invece di Irma. Raccontò tutto. Cartelle cliniche, amnesie, assopimenti improvvisi, aumento dei farmaci, apatia... e poi la scomparsa del raccoglitore verde, lo strano pacchetto, i reclami, l’attacco di rabbia di Virpi e di quando era stata lasciata, svenuta, sul pavimento. Anna-Liisa correggeva, precisava e contestualizzava ogni volta che ne aveva l’occasione.
«Al giorno d’oggi non usa molto portare la sottoveste nei giorni feriali» osservò quando Siiri disse di aver intravisto quella di Virpi Hiukkanen.
Mika ascoltava, senza fare domande. Dopo essere riuscita a tirare fuori tutte quelle cose inquietanti che si era tenuta dentro fino ad allora, Siiri si sentì sollevata, se non addirittura leggera. Anche Anna-Liisa era piena d’energia. Richiamò alla mente tutto quello che ricordava sull’abuso ai danni di Olavi Raudanheimo e riferì nel dettaglio che idea si fossero fatte di quella vicenda.
«Subito dopo, il tipografo Reino è stato rinchiuso nel reparto d’isolamento, però mi sfugge dove si trovi adesso Olavi. Tu lo sai, Siiri?»
Siiri aveva completamente dimenticato la camera con vista panoramica di Olavi all’Hilton! Erano successe così tante cose, non riusciva più a tenere a mente tutto. In quel giorno piovoso di fine dicembre perfino Tero e Pasi le sembravano lontanissimi. Eppure fino a poco tempo prima tutto il Lieto Tramonto si era interrogato sul loro destino, e Siiri era convinta che non avrebbe mai superato il dolore per la morte improvvisa del giovane cuoco.
«In uno dei suoi momenti di lucidità, Irma non aveva forse raccontato che Olavi era stato trasferito nel reparto lunga degenza dell’ospedale di Laakso?» chiese Anna-Liisa, dopo aver scavato per un attimo nella sua memoria.
Sì, poteva essere. E comunque, sembrava che tutti si fossero ormai dimenticati di sentire la mancanza del tipografo Reino. Nemmeno l’ambasciatore aveva più detto una parola su di lui. Siiri era preoccupata che Mika potesse farsi un quadro molto confuso della situazione – Reino, Olavi, l’ambasciatore – e che le giudicasse delle nonnine rincitrullite. Ma il tassista non fece intendere niente di simile, volle soltanto sapere il nome e il numero di telefono del figlio di Raudanheimo.
«Peccato, non ce l’abbiamo» disse Siiri. «Non abbiamo neppure il tuo, di numero.»
Mika le lanciò un’occhiata veloce senza però commentare quell’appunto. Si creò una situazione imbarazzante, che Anna-Liisa risolse suggerendo che Irma potesse avere i contatti del figlio di Olavi. Era lei la più interessata alla denuncia che stava preparando, e quando era ancora in sé investigava continuamente.
«Aveva l’abitudine di scrivere nomi e numeri per lei importanti su post-it gialli che poi attaccava alle pareti o agli sportelli dei mobili. Chissà, magari potremmo trovare qualcosa.»
«Andiamo a vedere» suggerì Mika. «Avete le chiavi, no?»
Siiri e Anna-Liisa erano preoccupate, pensavano che non fosse lecito introdursi nell’abitazione di qualcun altro. Mika le convinse: ci andavano per aiutare Irma, e alla fine Siiri acconsentì.
Quando videro come era ridotto l’appartamento, le due donne rimasero scioccate. Irma aveva molte cose, ma le teneva sempre in ordine. Ora il caos era terribile, proprio come se qualcuno prima di loro fosse andato a rovistare. Persino gli sportelli dei mobili della cucina erano aperti. Gli alimenti disidratati e le confezioni di farina, che Irma accumulava nell’eventualità di tempi difficili, erano sparsi sul mobile del lavello, le medicine sul divano e sui tavolini, alla rinfusa. Solo i post-it gialli di Irma sembravano non essere stati toccati. Erano appiccicati alle pareti, agli specchi e alle porte. Su tutti si leggeva: “ricorda di comprare gelato e whisky”.
«Già, come se potesse dimenticare proprio quelli» bofonchiò Anna-Liisa tra sé, cercando di superare lo sgomento.
«Qui qualcuno cercava qualcosa» affermò Mika. Esaminò i barattoli di farmaci di Irma, e a Siiri sembrò di vedere che se ne infilasse qualcuno nella tasca del gilet di pelle.
«E qualcosa ha anche restituito» disse Anna-Liisa, sollevando da terra il raccoglitore verde.
Mika lo prese, lo sfogliò velocemente e lo ficcò nello zaino. Ora doveva andare via, ma sarebbe ritornato la domenica per dare una sistemata a quell’appartamento. Che pensiero gentile da parte sua.