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Siiri avanzava in pantofole verso il reparto d’isolamento. Era stata Anna-Liisa a suggerirle di indossarle per non fare rumore. Le sembrò che l’ascensore facesse un chiasso terribile, da svegliare l’intera città. Con il cuore che le batteva forte, camminò lungo il corridoio verso il salottino e si meravigliò di come quel luogo così familiare apparisse di notte diverso. Non c’erano anziani seduti e assopiti, nessuno che leggesse il giornale. Qualcuno aveva dimenticato il girello al centro della sala, mentre il mazzo di carte dell’ambasciatore giaceva sul tavolo verde in attesa dei giocatori.
Come un automa, Siiri proseguì nel corridoio della scala B, in fondo al quale, alla distanza di settantatré passi, come aveva contato Anna-Liisa, c’era la porta chiusa a chiave del reparto d’isolamento. Dopo il cinquantesimo però si confuse nel conteggio, il passo dell’amica era evidentemente più lungo del suo. Nel corridoio, le luci creavano un’atmosfera spettrale. Teneva in mano la torcia, del tutto inutile, chissà perché Anna-Liisa ne aveva avuto bisogno. Forse per frugare negli armadietti e negli angoli?
Provò a individuare le telecamere di sicurezza indicate da Anna-Liisa, e intanto si domandava come potesse un povero diavolo, per lavoro, stare lì a guardarla dallo schermo di un monitor. Si fermò all’altezza di un dispositivo e lo ispezionò. Era rotondo, con una piccola calotta di vetro, pareva una lampada. Non avrebbe mai immaginato che si trattasse di uno strumento di sorveglianza se Anna-Liisa non avesse tenuto una mini conferenza sulle telecamere spia e non le avesse spiegato che al giorno d’oggi si trovano ovunque, anche nei taxi.
«Tic tac, tic tac, tic tac» mormorò e, per sicurezza, puntò la torcia su quel congegno. Così, se era una telecamera, non l’avrebbe ripresa. Si sentì molto astuta. Nel corridoio contò in tutto tre telecamere, mimetizzate da grandi sporgenze sul soffitto. Notò anche un aggeggio che poteva essere un allarme antincendio o un condizionatore. Tutto sommato, quel sopralluogo notturno era abbastanza divertente.
Avvicinandosi al reparto d’isolamento, sentì dei fiochi lamenti. Qualcuno di quei disgraziati chiamava aiuto invano, senza nemmeno sapere se fosse giorno o notte. Non le sembrava la voce di Irma, anche se non poteva esserne certa poiché, quando aveva avuto quell’attacco di collera verso l’infermiera, la sua voce era diventata del tutto irriconoscibile. Quello che Siiri sentiva, però, era un gemito molto debole.
Spense la torcia e per un attimo sostò dinanzi alla porta del reparto. Guardò la giovane infermiera che, dietro al vetro, dormiva sulla sedia a dondolo tenendo in grembo un orsacchiotto azzurro. Il reparto era disseminato di quei peluche per bambini, chissà perché. Forse erano proprio destinati alle infermiere. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra del corridoio e, per un istante, ebbe l’impressione che qualcuno corresse nel cortile coperto di neve. Le voci che provenivano dall’interno cominciavano a distinguersi con più chiarezza. Sembrava che a gridare fossero in molti. Perché l’infermiera non si svegliava?
Aveva perso il conto del tempo. Non sapeva più da quanto si trovasse davanti all’entrata del reparto d’isolamento, ma fu richiamata alla realtà dal fumo che scorse al di là della porta. Avvertì un odore pungente, veniva dal corridoio in cui si trovavano le camere dei pazienti, dove c’era l’infermiera che dormiva con il suo orsetto. L’adrenalina che scorreva nelle vene di Siiri si trasformò in terrore confuso.
«Al fuoco! Aiuto! Al fuoco!» gridò forte, senza pensare che non avrebbe dovuto trovarsi lì, di notte, a ficcare il naso. Ma nonostante battesse sulla porta a piene mani, l’infermiera non si svegliava. Sempre più allarmata, Siiri si sentiva impotente e non sapeva cosa fare. Il fumo si addensava attorno all’infermiera quando improvvisamente ricordò che aveva con sé le chiavi di Mika.
«Meno male che anch’io ho quel sesto senso» mormorò tra sé, e prese a cercare il mazzo nella borsa. Le tremavano le mani e la lampo della tasca laterale s’inceppò. Per aprirla la strappò, tirò fuori la chiave e la infilò con tutte e due le mani nella serratura. Temeva che l’antifurto si mettesse a suonare, ma il pensiero di Irma tra le fiamme la spingeva ad aprire quella porta. L’odore acre del fumo aleggiava nel corridoio, le bruciò gli occhi e la fece tossire. Raccolse tutto il suo coraggio ed entrò. Avrebbe voluto correre subito nella camera di Irma, ma per prima cosa cercò di scuotere l’infermiera per svegliarla. Dalle stanze si sentivano i pazienti invocare aiuto. Pareva che il fumo provenisse dal fondo del corridoio. La ragazza trasalì svegliandosi e si spaventò talmente che iniziò a strillare per la paura.
«Su, calmati» la tranquillizzò, come se fosse una bambina. «C’è un incendio, dobbiamo darci da fare. Chiama i pompieri mentre io vado a dare un’occhiata ai pazienti.»
«Un incendio? Dove? Chi devo chiamare?»
«Il numero delle emergenze, il 112. Di’ il tuo nome e che c’è un incendio, e poi dai l’indirizzo preciso.»
«E qual è l’indirizzo di questo posto? Come faccio a saperlo? Dov’è il telefono?»
Siiri accompagnò la giovane isterica nella guardiola delle infermiere, le scrisse su un bigliettino le informazioni necessarie e partì alla ricerca di Irma. Si sentiva stranamente calma, come se sapesse precisamente in che modo agire. Accese la torcia, aveva fatto bene a portarla con sé: senza, non avrebbe visto nulla. Nel corridoio c’era già molto fumo e, quando arrivò in fondo, si accorse che le fiamme provenivano dalla sauna. Doveva portare Irma fuori da lì alla svelta. Si precipitò nella sua stanza, dove regnava una pace assoluta. Le due donne dormivano profondamente e, cosa strana, c’era poco fumo. Erano entrambe legate ai letti. Prese il coltellino, per fortuna Anna-Liisa aveva insistito, e riuscì a tagliare le cinghie.
«Mi porti in Carelia? Cantiamo?» chiese la nonnina, mentre Irma continuava a dormire. Provò a svegliarla, le pizzicò i lobi delle orecchie, la scosse per le spalle. In lontananza sentiva le grida degli altri pazienti e, terrorizzata, si domandò come avrebbe potuto occuparsi di tutti coloro che avevano bisogno di soccorso. Si precipitò, con il coltellino in mano, a vedere quale fosse la situazione nelle altre stanze. Forse sarebbe riuscita a liberare anche il resto dei vecchietti. Nel senso letterale del termine! Tutto quello poteva dare il la a una vera rivoluzione!
Nella stanza a fianco c’erano due anziani che chiedevano aiuto. Per tranquillizzare la donna, mentì dicendole che non c’era nulla di cui preoccuparsi e intanto tagliava le cinghie. Nel primo letto cedettero facilmente, ma con quelle del secondo fu più dura e si ferì a un dito. E proprio mentre si stava succhiando il pollice per bloccare il sangue, nella stanza si materializzarono due pompieri. Sembravano sconcertati.
«Finalmente!» esclamò, mentre continuava a tagliare le cinghie, incurante del sangue che imbrattava le lenzuola.
Uno dei due uomini teneva in mano un’accetta. Senza dire una parola, con mossa esperta, afferrarono Siiri.
«Non c’è nulla di cui preoccuparsi... dev’essersi svegliata per il fumo... usciamo fuori con calma... su, dia a me il coltellino...»
La trascinarono fuori dalla stanza provando a tranquillizzarla, malgrado lei non ne avesse alcun bisogno. In quella catastrofe, aveva mantenuto i nervi saldi. Si rifiutò di consegnare il coltello, e intanto i due uomini parlavano tra loro pensando che non fosse in grado di capire niente.
«Ce ne sono parecchi di questi piscialetto?»
«Hanno detto quattordici.»
«Allora ce la caveremo in fretta.»
«Sì. Lascia pure che la nonna si tenga il suo arnese. È un piano solo e ci sono da trasportare pesi leggeri. Alcuni forse ce la fanno a camminare da soli, come questa qui.»
Siiri rimase in silenzio. Pensò che fosse più facile far finta di essere demente piuttosto che spiegare perché si trovava nel reparto d’isolamento con un coltello in mano alle tre di notte. Chiese ai pompieri di salvare per primi gli anziani in fondo al corridoio, Irma e la sua compagna, il fuoco avvampava nella sauna dietro la parete della loro stanza. Gli uomini la mollarono e se ne andarono per la loro strada.
Nel salottino l’atmosfera era del tutto cambiata rispetto a poco prima. Pompieri, paramedici e poliziotti correvano avanti e indietro, impartivano ordini a gran voce e i walkie-talkie scoppiettavano. Virpi ed Erkki stavano in piedi accanto alla parete, Virpi indossava una camicia da notte traslucida, Erkki invece aveva fatto in tempo a mettersi la giacca e gli stivali. L’infermiera svegliata per l’incendio era ancora sotto shock e Virpi la stava rimproverando.
«Ho visto qualcuno correre là fuori» provò a dire Siiri a un uomo in divisa. «Bisognerebbe controllare che qualche paziente non sia rimasto intrappolato.»
«Siiri Kettunen! Che diamine ci fai qui?»
Un paio di passi svelti e Virpi le si piazzò davanti. La caporeparto cercò di spingerla verso il suo appartamento, ma Siiri voleva rimanere a controllare la situazione, assicurarsi che i pazienti non corressero più pericolo. A Virpi non interessava niente del tipo che lei aveva visto correre in cortile.
«Grazie, faccio da sola» ribatté mentre la caporeparto la spingeva verso l’ascensore.
«Che orrore! Hai la mano che sanguina!» strillò voltando la testa dall’altra parte.
Siiri non si sarebbe mossa da lì, non prima di essere sicura che Irma stesse bene e fosse stata portata lontano dalle fiamme. Virpi camminava avanti e indietro, inveiva contro Siiri e la povera infermiera che frignava con l’orsacchiotto sotto braccio.
«Tu non hai il permesso di circolare qui, di notte, da sola!» le gridò Virpi.
«Perché, serve forse un lasciapassare per muoversi qui dentro?» domandò Siiri con aria di sfida. La caporepato continuava a sbraitare, gocce di saliva schizzavano dalla sua bocca e la gomma da masticare volò per terra.
«Senti un po’. Non faccio che vederti in giro tutto il giorno a tormentare gli altri e combinare guai. E ora addirittura l’incendio. Comunicherò i tuoi dati alla polizia, dovrai rispondere dei danni che hai provocato al Lieto Tramonto. E non illuderti che la vecchiaia sia un’attenuante, che ti permetta di fare qualsiasi cosa ti passi per la testa. Sparisci! I pazienti del reparto d’isolamento non sono affar tuo, capito?!»
Siiri dovette sedersi per riprendere fiato. Premette sulla ferita con un fazzoletto che aveva trovato in fondo alla borsa. Erkki si accasciò sul divano accanto a lei, i pompieri gli avevano detto di togliersi di torno. Era sconvolto, incapace di rendersi utile in qualche modo. Se ne stava lì con lo sguardo fisso e lo si sarebbe potuto scambiare per uno dei pazienti del reparto, che nel frattempo venivano portati con le sedie a rotelle nell’atrio e poi trasferiti in barella sulle ambulanze. Sotto gli stivali, la neve, sciogliendosi, aveva formato due larghe pozzanghere sul pavimento.
Dopo aver aspettato a lungo, finalmente Siiri vide Irma che veniva accompagnata sull’ambulanza insieme all’ultimo gruppo. Camminava da sola, piegata in avanti, e procedeva a passi lenti, barcollando. Era sorretta da due pompieri che gentilmente l’aiutarono a salire. Venne fatta sdraiare sul lettino, poi le porte si chiusero e il veicolo partì con calma, senza sirene né luci, come un carro funebre sul sagrato di una chiesa.
Quando l’ambulanza era ormai scomparsa nel buio della notte, Siiri rimase a guardare il cortile deserto, senza un solo pensiero in testa. Pian piano anche il brusio all’interno cessò. Poliziotti e pompieri raccolsero la propria roba e se ne andarono rapidamente per far fronte a chissà quale altra emergenza. La giovane infermiera, con voce tremolante, chiamò un taxi e tornò a casa a dormire, mentre Virpi si ritirava nel proprio ufficio. Erano rimasti solo Siiri ed Erkki, fianco a fianco sul divano. Dalla ferita al pollice non usciva più sangue. Siiri mise il fazzoletto macchiato e il coltellino nella borsa e si alzò.
«Ora me ne vado anch’io. Magari riesco ancora a prendere sonno» disse, e s’incamminò verso il suo appartamento.
Non le interessava sapere quali danni l’incendio avesse provocato, né se Erkki si stesse riprendendo dallo shock. L’importante era che Irma fosse fuori dal reparto d’isolamento. Era lo scopo del loro Piano, anche se mai avrebbero potuto immaginare di raggiungerlo in quel modo.