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La Pasqua finlandese era già di per sé una festività malinconica. Ma quella fu particolarmente triste. Il giovedì santo l’appartamento di Irma venne sgomberato. Degli estoni giunsero di primo mattino e iniziarono a trasferire le sue cose in un camion in cortile. Sul posto non c’era nessuno dei suoi tesorini, solo quegli stranieri che a stento parlavano in finlandese. Siiri non riuscì a capire cosa stesse succedendo. Era possibile che stessero portando la roba di Irma in un magazzino. Il venerdì santo, quegli stessi traslocatori trasportarono nell’appartamento di Irma dei tavoli in legno di ciliegio e degli orrendi mobiletti neri porta tv.

«Perché mai nell’abitazione di Irma Lännenleimu sono state portate le cose di un estraneo?» domandò Siiri alla caporeparto che masticava la sua gomma nel corridoio della scala A. Senza batter ciglio, Virpi si lasciò andare a un fiume di bugie dove si distinguevano concetti come demenza aggravata, prolungato ricovero ospedaliero, posto letto del reparto d’isolamento riservato grazie a un permesso eccezionale, lunghe liste di attesa per gli appartamenti in affitto e tempi duri.

«Qui non possiamo aspettare che pazienti cronici di novantadue anni abbiano guarigioni miracolose» concluse. E non ricordava il nome del nuovo residente.

Siiri telefonò decine di volte a Tuula, l’unica figlia di Irma messa al mondo di proposito. Quando le rispose, accennò a un centro sciistico in Giappone, dove a mezzogiorno era già notte. La telefonata non diede buon esito.

«Abitare in una residenza per anziani non è uno sfizio, come certamente saprai» le spiegò sbadigliando, e mentre proseguiva con il suo discorso, Siiri capì che cosa fosse successo. «La caporeparto mi ha suggerito di agire in questo modo. Si è gentilmente occupata di tutto. Io non sarei certo riuscita a trovare il tempo.»

«Posso chiedere dove sono state portate le sue cose?»

«Le sue cose? Ma era solo ciarpame. I nostri ragazzi sono andati lì a vedere e nessuno ha voluto nulla, frullatori elettrici e anticaglie varie. Per giunta, una delle inquiline rimbambite della struttura è piombata lì a urlare sciocchezze senza capo né coda. L’unico oggetto di valore era il televisore, ma nessuno se n’è interessato. L’avresti voluto tu? Per praticità abbiamo messo tutto all’asta tramite una ditta consigliata dalla caporeparto, ma a malapena ne tireremo fuori qualche soldo.»

Siiri non voleva passare la Pasqua al Lieto Tramonto. I nuovi residenti erano impegnati in lavoretti nella sala ricreativa, facevano ornamenti dorati con piume e rotoli di carta igienica. Alla mensa, per la seconda settimana di seguito, offrivano il mämmi, il tipico dolce pasquale molliccio e di colore scuro, che si adattava perfettamente ai denti degli anziani e non andava mai a male. A Siiri non piaceva, ma per Irma era una bontà. Ci aggiungeva sempre zucchero a cucchiaiate. Faceva un bel buco al centro, così che ci stessero più zucchero e più crema.

Il sabato santo Siiri comprò da Altalepa una vaschetta di mämmi, un chilo di zucchero e un bricchetto di crema, e andò all’ospedale di Laakso. Sui davanzali delle finestre c’erano dei coniglietti di plastica.

«Ma niente mämmi! Solo la solita composta di frutta, ti rendi conto? Oh cielo, tu sì che sei un tesoro, e mi hai portato del vero mämmi. E un chilo di zucchero! Siiri, sei un amore!»

«Al negozio di alimentari non lo vendono in confezioni piccole, ma lo finirai in poco tempo. Potresti metterlo anche sulle gallette, così scrocchieranno per bene sotto i denti.»

Irma riuscì a ottenere da un’immigrata finita a fare l’infermiera una ciotola e un cucchiaio e mangiò contenta il suo mämmi, per quanto quella scodellina paresse piuttosto un contenitore sterile per la raccolta delle feci. Ne offrì un po’ anche all’infermiera, la quale però, appena vide che la donna si metteva in bocca cucchiaiate di quel composto dal colore e dalla consistenza sospetti, non poté credere ai suoi occhi e scappò via.

«Mmmm» fece Irma con soddisfazione. Era di ottimo umore. Siiri non osò rivelarle che cosa avessero fatto al suo appartamento, anche se avrebbe dovuto. Irma le raccontò che la riabilitazione procedeva alla svelta, che il giorno prima aveva compiuto tre passi senza supporto e aveva conosciuto due graziose fisioterapiste.

«Sono russe, davvero deliziose. Una ha una figlia di due anni che si chiama Irina. Non è anche il nome di tua figlia? Quella che si è fatta suora. Perché non ne parli mai? Dovremmo farci suore anche noi... Come mai non ci abbiamo pensato prima?!»

Sembrò che Irma parlasse sul serio. Cominciò subito a figurarsi i lati positivi della vita monacale. La badessa non avrebbe potuto essere più malvagia di Virpi. Nel convento non ci sarebbero stati uomini e non c’era il pericolo di essere abbracciate in ascensore o palpeggiate mentre facevano la fila per l’acqua. Per Anna-Liisa ovviamente sarebbe stato complicato, aveva intrapreso una nuova vita. E soprattutto, in un convento tutto sarebbe stato gratis.

«Risparmieremmo migliaia di euro ogni mese e potremmo comprare capre e mucche fino a riempire l’Africa!»

«È vero» disse Siiri e, terrorizzata, pensò che il convento potesse davvero diventare la loro unica alternativa. «Allora forse dovrei diventare credente.»

«Sì, ma è facile. È una cosa da niente. Nessuno metterà in dubbio la tua fede ora che sei agli ultimi cento metri dal traguardo. Dirai semplicemente di essere giunta alla conclusione che, tutto sommato, qualcosa di eterno esiste, che la vita non può essere tutta qui. Ovviamente potrei farti da madrina per la cresima, sarà uno spasso. Per il convento c’è un esame di ammissione?»

Siiri riuscì a far cessare le sue fantasticherie parlandole di Mika. E poiché Irma era in un certo stato d’animo, ebbe quella che si potrebbe definire un’illuminazione, afferrando all’improvviso chi fosse Mika.

«Il nostro arcangelo! Il tassista che vuole essere calvo e che ci ha fatto mangiare quel cibo stranissimo nel ristorante di plastica Kämp. Perché non mi hai parlato prima di lui?»

Irma aveva ancora giornate con fasi molto alterne. Siiri decise di sfruttare quel lampo di lucidità raccontandole quello che Mika aveva recentemente scoperto. Più di tutto le interessò la faccenda della nomina a tutore. Le venne da ridere, tutore faceva rima con protettore e ricordò anche che in passato in ogni paese c’era un ritardato mentale che veniva messo sotto tutela.

«Persino nel Barbiere di Siviglia di Rossini ce n’è uno! Rosina è affidata al dottor Bartolo, non è vero? Mika è il tuo Bartolo? Quel dottore, si sa, era una vera e propria testa di rapa e voleva solo sposarsi con la ragazza. Ah, ma anche in questo caso potrebbe succedere la stessa cosa! È chiaro, Mika vuole sposarti.»

Alla fine ritornò al punto di partenza. Era contenta per la decisione di Siiri e Anna-Liisa ma era felice che la cosa non la riguardasse: lei aveva una grande famiglia e molti parenti, diversamente da Siiri, i cui figli erano letteramente scoppiati di salute o fuggiti dal mondo chiudendosi in convento.

«Se non altro, non avrò bisogno di sottopormi alla tutela del primo che passa.»

«I miei eredi comunque non intendono spartirsi le mie cose mentre sono ancora in vita» le sfuggì, e Irma si fece molto seria.

Siiri fu quindi costretta a raccontarle dell’appartamento, dei traslocatori estoni, del camion e del mercatino delle pulci. Cercò di farlo sembrare un discorso confuso e impreciso, ripetendo varie volte che il nuovo inquilino non si era ancora trasferito e che lei non sapeva se nell’abitazione sarebbe effettivamente andato a vivere qualcuno. In un certo senso era vero, Virpi aveva parlato solo di lunghe code senza menzionare alcun nuovo affittuario. Ma Irma capì tutto fin troppo bene, anche ciò che Siiri non aveva detto. Nei diversi letti d’ospedale aveva avuto tempo per meditare, ed era giunta alla conclusione che, probabilmente, per i suoi meravigliosi tesorini lei non era molto importante.

«Naturalmente è colpa mia. Forse sono una di quelle nonne rompipalle. Cattiva madre e nonna fastidiosa, una seccatura per tutti.»

Iniziò a piangere mentre raccontava come avesse pian piano capito che nessuno si rallegrava per la sua presenza, non era di alcuna utilità né per i figli né per i nipoti. Era chiaro che aspettavano solo che crepasse e si togliesse di torno. Per loro era stato un sollievo quando era diventata un vegetale demente: potevano dimenticarla senza soffrire di sensi di colpa.

«Non vedono l’ora di prendersi il mio frullino. Valgo quanto un vecchio frullino elettrico, ti rendi conto? Ce l’ho avuto per oltre trent’anni, è solo un ferro vecchio, anche se è un Philips.»

«C’è da dire che tua nipote sembrava volere anche i gioielli, quelli sono senza dubbio di valore» provò a consolarla Siiri, ma nulla più la faceva ridere.

«Nessuno, tranne te e Anna-Liisa, è venuto a trovarmi in ospedale. Ai miei tesorini non passerebbe per la testa di venire a farmi contenta con del mämmi, non hanno nemmeno mai notato che ne vado matta. Vanno al Cairo e in Giappone, e anche in vacanza sono terribilmente occupati, ma ovviamente è una scusa. Se si ha il tempo di andare dall’altra parte del mondo e di prendersi cura dei cavalli, credo che ce ne sia anche per venire in ospedale a dirmi che sono diventata una senzatetto. Oh, se solo morissi ora, all’istante, sarebbe la cosa migliore che potrei fare per i miei tesorini.»

Siiri non l’aveva mai sentita così amareggiata. Le sue parole erano sincere e perciò tanto più tremende. Cominciò a pensare che la sua vita in realtà non fosse poi così male, almeno non le toccava rimuginare sul fatto che nessuno si ricordasse di lei. Abbracciò Irma, che era dimagrita e diventata singolarmente piccola, le asciugò le lacrime con un fazzoletto di pizzo e provò a consolarla. La solitudine faceva parte della vecchiaia, non c’era nulla da fare. Anche quegli anziani che si tenevano sempre occupati e che ogni giorno incontravano gente, si sentivano soli. Era sbagliato stare accanto al telefono ad amareggiarsi perché nessuno chiamava. I figli e i nipoti vivevano la loro vita ed era giusto che fosse così. Ognuno doveva inventarsi la propria, anche i vecchi, e in particolare Siiri e Irma, perché erano ancora in grado di ricavare piacere da un sacco di cose.

«Potresti trasferirti nel mio bilocale. In fin dei conti, insieme ci divertiamo» le propose Siiri, e Irma tornò a sorridere. Disse che Siiri russava, che si sentiva perfino attraverso le pareti e nessun tappo per le orecchie poteva silenziare quel baccano. Si soffiò rumorosamente il naso con il fazzoletto dell’amica, se lo mise dentro la manica come se fosse il suo e spiegò che a lei non veniva il muco: quello era solo liquido causato dall’allergia. Dopo aver tirato un profondo sospiro, volle sapere di più sulla storia d’amore tra Anna-Liisa e l’ambasciatore. E quando Siiri le raccontò della crociera a Tallinn organizzata per le mogli dei veterani di guerra, per il troppo ridere le venne mal di pancia.