PROLOGO

BAZ

Tra un’ora partiamo per l’aeroporto, sarà meglio che esca dalla doccia. Mi stiro, nella speranza che l’ultimo proiettile buchi la pelle della spalla e tintinni in terra.

Non voglio mai più sentirmi così, mai più. Mi rifiuto di saggiare i limiti di questo corpo, nemmeno se farlo può aiutarmi a comprendere ciò che sono.

Abbiamo trascorso l’ultimo giorno a dormire, mangiare e lanciarci incantesimi a vicenda. Agatha si è incollata a Penny come una bambina si incolla alla madre in metropolitana. Tornerà a casa con noi. «Solo per recuperare la bacchetta. Non è detto che resti» ci ha spiegato.

Quando esco dal bagno, la sua amica Ginger è venuta a prendere il cane, quel ridicolo spaniel che ho rubato a Londra. A quanto pare è lei ad aver presentato la Monamour ai vampiri NowNext, e ci è rimasta parecchio male per il loro silenzio.

«Josh non risponde nemmeno ai miei messaggi» dice.

«Vorresti che lo facesse? Ti ha abbandonato a Rancho Santa Fe.»

«Anche tu, Agatha!»

La Bunce è in piedi alle sue spalle, e con la pietra viola in mano si offre in silenzio di confonderla ricorrendo alla magia.

Agatha scuote la testa a entrambe. «Ti avevo detto che era una barba, Ginger! E poi me ne sono andata appena ho saputo che tu non c’eri.»

Ginger ha le lacrime agli occhi e un segno rosso lungo il labbro superiore. Mi accorgo solo dopo che sta bevendo succo di barbabietola. «Ero convinta che mi avrebbero permesso di salire di livello» si lamenta. «E invece non mi hanno neanche invitata all’after-party!»

«Non avrebbero potuto invitarti» commenta Agatha accarezzandole il braccio. «Tu sei troppo buona. Avresti capito quello che sono realmente e li avresti fatti sentire degli ipocriti.»

Ginger china il capo. «Sarà…»

«Non parlare più con Josh,» la istruisce Agatha «nemmeno se ti chiama.»

Sono abbastanza sicuro che non lo farà.

Ginger tira su con il naso. «Ci penserò.»

Perlustro il soggiorno con lo sguardo. «Dov’è Snow?»

«È andato in spiaggia poco fa» risponde la Bunce.

«Vado a chiamarlo. Dobbiamo andare.»

«Dagli un’aggiustatina alle…» Fa su e giù con i gomiti. «Se ne ha bisogno.»

Annuisco e tocco la bacchetta. È sotto la camicia, l’ho infilata nella cintura dei miei (scadenti, orribili) jeans. Sono fortunato ad averla ancora. E ad avere ancora il cellulare. Tutto il resto è andato.

Nessuno di noi ha mai chiamato a casa, fino a ora. Ma prima o poi dovremo parlare ai nostri genitori dell’accaduto, o almeno dei Next Blood. Lamb dice che ce ne sono altri. E Agatha è convinta che abbiano davvero un laboratorio nel deserto.

Vorrà dire qualcosa se nessuno di noi ha ancora suggerito di cercarlo. Nemmeno Simon.

Ha dormito per tutto il viaggio fino a San Diego. Credo abbia riportato delle lesioni interne, dopo la battaglia. La Bunce è convinta di averlo curato, ma appena arriviamo a casa lo portiamo comunque dal dottor Monamour, non si sa mai.

PENELOPE

L’amica di Agatha, Ginger, piange perché ha perso l’occasione di diventare uno schifo di vampira, e con lei Agatha è più gentile di quanto non lo sia mai stata con nessun altro. È per questo che non risponde ai miei messaggi? Perché non sono abbastanza idioti?

Sul balcone trovo Shepard. Da qui si vede l’oceano. E lui fissa lo schermo del telefono.

«Racconti tutto sul tuo blog?»

«No. Lo farò una volta a casa. Dal cellulare non riesco a scrivere.»

«Ah, ah, ah» replico, e guardo lo schermo. Sta cercando i biglietti dell’autobus per Las Vegas. «Shepard, no! Non ci pensare neanche!»

«Devo recuperare il mio furgone, Penelope.»

«Ce l’hanno i vampiri

«È in un parcheggio per sosta breve. Pago quarantatré dollari a notte.»

«Di pick-up ne trovi quanti ne vuoi, Shepard.»

«Sì.» Si stringe nelle spalle. «Ma quello sono autorizzato a guidarlo.»

Li vedo quando muove le spalle: i segni dei canini sotto il colletto della giacca. Proprio come ha detto Baz.

«Ehi» dico, mentre sfilo dal reggiseno la mia ametista. (Sono felicissima di custodirla nuovamente al di fuori del mio tratto intestinale. Oh, Circe mia, quello sì che è stato un compito ingrato.) «Fammi vedere quel morso.»

«Sto bene. Risparmia la tua magia» mi dice.

«La magia non si può risparmiare come si fa con gli spiccioli» replico.

«Ah, no?» Ecco di nuovo quell’esasperante luccichio negli occhi.

«No. Forza. Avremmo dovuto farlo ieri.»

Avvicina la sedia alla mia e io gli scosto il colletto. Vedo le croste in corrispondenza dei due fori incisi dai canini, e poi i lividi prodotti dagli altri denti del vampiro. Non riesco a fare a meno di rabbrividire. «Ti preoccupa l’idea che possano averti…»

«Trasformato?» dice Shepard, completando la mia domanda. «No. Non mi sento particolarmente assetato di sangue. E… e comunque, no. Non sono preoccupato.»

Sollevo la gemma sopra la pelle ferita e scandisco: «Come nuova!».

Quando ritraggo la mano, le croste sono ancora lì. Guardo dubbiosa la ferita. «Shepard… sei immune alla magia, per caso?»

«No» replica lui e, incuriosito, si passa le dita sulle croste. «Immune, no.»

Mi appoggio allo schienale. «Baz dice che un vampiro ti ha morso e poi si è sentito male.»

Shepard guarda il mare. «Magari era allergico.»

«Pensavo ti piacessero le risposte dirette, Shepard.»

Lui mi guarda come se provasse dolore e il morso del vampiro non c’entrasse niente. «Infatti.»

Mi allontano ancora di più. «Che cosa sei tu?»

Shepard si gira del tutto verso di me. «Io sono quello che vedi, Penelope. Un Parlatore, un Sanguinante, un Normale.»

«E…»

«E sono anche un po’… un tantino…» Deglutisce. «Maledetto, ecco.»

Questa non me l’aspettavo proprio. Non so neanche che cosa voglia dire. «Sei maledetto

Si strofina gli occhi sotto le lenti. «Sì, io… Josh il vampiro high-tech non avrebbe potuto reclamare la mia anima perché, a voler essere precisi, appartiene a qualcun altro.»

«E a chi

«Nessuno che conosci. Mi auguro. Un demone. Una specie, insomma. Ti direi anche il suo nome, ma ho paura che spunti di colpo. Io…» È in imbarazzo. Come se fosse stato colto in fallo. Si sfila lentamente il giubbotto di jeans…

Ha le braccia coperte di tortuosi tatuaggi neri. Rune e numeri. Spine.

«Shepard

«Piuttosto goth, non trovi? Non è l’inchiostro che avrei scelto, però… Io avrei preferito una citazione da Vonnegut, ma sono un po’ inflazionate, pare…»

«Com’è successo?»

Abbassa lo sguardo. «Oh, sai… la classica storia di chi si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Cerchio di evocazione. Mezzanotte. E poi… una serie di fraintendimenti e differenze culturali.»

Sto ancora fissando i segni della maledizione. Gli premo la gemma sulla carne. «Via, via, macchia dannata, va’ via!»

Il sortilegio mi saetta lungo il braccio e poi sembra tornare indietro. Ritraggo la mano come se avessi preso la scossa, e la gemma cade a terra. Il pavimento è di legno, e finisce proprio sul bordo di una delle assi. Shepard la raccoglie con cautela e me la porge. «Ti ringrazio» mi dice. «Ma non credo esista un modo per annullare la mia maledizione. Certe magie su di me funzionano, ma non sono mai capaci di cambiare il mio destino…»

Stringo l’ametista nel pugno e premo la mano sul suo collo.

«Penelope» mi dice, afferrandomi il polso.

«Guarisci presto!» scandisco. Sento che il sortilegio ha effetto. Lo sente anche Shepard. Dondola un po’ la testa all’indietro e mi stringe il polso.

Io ritraggo la mano. Il morso del vampiro va già meglio, mi pare. Bene.

Mi stringe ancora il polso.

«Shepard, tu non tornerai a Las Vegas.»

«Ma il mio…»

«Se nomini ancora una volta il furgone ti trasformo in una rana.» Tiro via la mano. «Una rana maledetta da un demone.»

«Devo tornare a casa.»

«No.» Incrocio le braccia sul petto. «Tu vieni a Londra con noi. Ti porto da mia madre e ti faccio curare.»

«Apprezzo l’offerta, ma… questa situazione va oltre la mag…»

«Niente va oltre la magia!»

Shepard serra la bocca di colpo, segno che ha smesso di discutere, spero.

Mi alzo e accenno a tornare dentro. Della serie “il caso è chiuso”. «Insomma. So che pensi di sapere tutto quello che c’è da sapere sul mondo della magia, ma quel mondo non lo conosco neanche io, che sono più sveglia di te e lo studio da una vita.»

«Non posso permettermi il biglietto aereo, Penelope.»

«A questo penso io.»

«Non ho il passaporto.»

«Oh, uomini di poca fede.»

«È una formula magica?»

Mi fermo davanti alla porta scorrevole e fisso il suo riflesso nel vetro. «Vieni a Londra e lo scoprirai.»

SIMON

L’Oceano Pacifico è più caldo dell’Atlantico.

Almeno in questo tratto.

Sono seduto sulla sabbia, senza stivali e con i jeans arrotolati. Si sono bagnati lo stesso. Penny me li asciugherà. Mi copre di incantesimi da quando siamo usciti dalla Zona Silente… in parte sono venuto qui proprio per darle un po’ di tregua. E per fare ordine nella mia testa.

Avevo quest’idea dell’America…

Che avrei ritrovato me stesso qui.

Ecco perché la gente sale su una decappottabile e si mette in viaggio senza una mappa. La promessa è quella. Che davanti a un paesaggio che non riconosci, finalmente capirai te stesso.

Forse ha funzionato.

Mi sono innamorato del sole e del cielo blu… poi l’America mi ha trascinato al suo interno, scalciante e insanguinato. Non c’è un solo test che io abbia superato. Sono caduto. Sono caduto in basso. Mi sono rialzato e ho ripreso a respirare solo grazie agli incantesimi di qualcun altro.

Devo smetterla di fingermi una specie di supereroe. Lo sono stato – davvero – ma ora non lo sono più. Non appartengo allo stesso mondo dei maghi e dei vampiri. Non è questa la mia storia.

Il dottor Monamour si è detto convinto di riuscire a togliermi ali e coda, appena sarò pronto. Almeno potrei proseguire gli studi o trovarmi un lavoro… credo che mi troverò un lavoro, piuttosto. Per mantenermi da solo. Pagare l’affitto.

È una prospettiva allettante.

Una prospettiva… merda, sto piangendo. È una prospettiva terribile ma decorosa.

C’è un’onda che avanza verso di me. Certe nascono impetuose e poi perdono forza prima di raggiungere la riva.

Questa non ha il minimo cedimento.

BAZ

Simon è seduto sulla spiaggia, come il protagonista di un video musicale. Maglietta bianca, jeans arrotolati. In pieno sole.

C’è un’onda che va verso di lui; deve averla vista, ma non si sposta finché non gli sommerge le gambe. Inclina la testa all’indietro. Ho l’impressione che sorrida.

Mi levo scarpe e calzini e li lascio su una roccia, poi lo raggiungo. Quando la mia ombra lo sfiora, alza la testa e, con un occhio chiuso per proteggersi dal sole, mi saluta. «Ehi.»

Gli sorrido. «Ehi.»

Arriva un’altra onda. Io salto all’indietro per evitarla e Simon ride. Si infrange poco distante.

Decido di sedermi con lui sulla sabbia, vorrà dire che mi asciugherò con un incantesimo. Mi sistemo alle sue spalle, un po’ più indietro.

Simon si volta e mi guarda. «Ah, aspetta» mi dice, come se si fosse appena ricordato di una cosa. Poi distende il busto all’indietro per infilare la mano in tasca e ne estrae un involto di seta celeste.

«È il foulard di mia madre!» E allungo il braccio.

Gli scivola tra le dita mentre glielo sfilo di mano. «Scusa» mi dice. «Avevo dimenticato di averlo in tasca.»

«Pensavo di averlo lasciato in albergo.»

«Infatti.»

Lo piego con cura. Snow mi osserva per un istante e poi distoglie lo sguardo.

«Allora, adesso puoi dire di aver attraversato tutta l’America.»

«Non proprio.» Avvolge le braccia attorno alle ginocchia. «Siamo partiti dal centro, e io sono rimasto in stato comatoso dal Nevada alla California.»

«Non ti sei perso niente.»

Piega il busto in avanti e china la testa. «Volevo vedere quegli alberi secolari, le sequoie.»

«Saranno ancora qui, quando tornerai.»

Scrolla il capo. «Non tornerò. Semmai mi mandi una cartolina.»

«Io? Non credo che dopo quest’esperienza lascerò più Camberwell. Forse per fare visita ai miei genitori per Natale. Deciderò a dicembre.»

Simon si volta a guardarmi. Così com’è seduto adesso, con la faccia inclinata, sembra un bambino. Sembra il Tedio. «Non sei costretto a partire con noi, sai.»

«Come?»

Fissa di nuovo il mare. «Ti ho visto… con Lamb. Vi ho sentiti.»

«Snow.»

«Lui ti farebbe restare.»

«In un hotel in stile glam-rock a Las Vegas? No, grazie.» È la cosa sbagliata da dire. Tutto il discorso di Simon è partito male. È la conversazione sbagliata.

Alza le mani al cielo per la frustrazione. «Io c’ero, Baz! Tu… tu eri nel tuo mondo.»

«Mi sforzavo di esserlo.»

«Tu sei come loro! E Lamb potrebbe mostrarti come esserlo ancora di più; non dovresti più cercare risposte nei libri. Li abbiamo letti dal primo all’ultimo, Baz. Tutto quello che i maghi sanno dei vampiri è come ucciderli!»

«Una conoscenza che ho recentemente messo in pratica.»

Simon grugnisce e si volta a guardarmi, la gamba adagiata sulla sabbia. «Non dovresti più nasconderti, Baz!»

«Dovrò sempre nascondermi! Proprio come te!»

«Perché non vuoi ammettere che saresti più felice qui?»

Alzo la voce: «Perché non vuoi ammettere che non sarei mai felice lontano da te?».

Si sposta di colpo, come se lo avessi preso a schiaffi.

«Simon…» mormoro.

Aspetto che capisca. Che finalmente si arrenda all’evidenza.

O che almeno mi dica che ho superato il test.

Invece scuote la testa. «Baz…» dice con un filo di voce.

«Baz!» sentiamo gridare.

Penelope sta correndo verso di noi. È senza fiato. Ci alziamo entrambi appena la vediamo in faccia. La prendo per le spalle. «Cosa? Cosa c’è?»

Ha il terrore riflesso nel castano degli occhi. «Baz, ci sono guai a Watford. Dobbiamo tornare… subito

Un eroe ribelle
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