50
BAZ
Oggi per poco non chiamavo mio padre.
Mi sono svegliato nel bagno (Penny e Simon si sono presi il letto, Shepard ha dormito sul divano), pensando al Normale della notte scorsa, a quanto sono stato vicino a morderlo… forse anche a ucciderlo.
Uccido tutto quello che bevo.
Ho sempre pensato che sia più sicuro così. Se lasciassi in vita gli animali, potrebbero fare la mia stessa fine. (Un vampiro può trasformare un ratto? O un cervo? O un cane? Preferisco non scoprirlo.)
Quando ho sete, non è una vera e propria decisione, la mia. Bevo finché non ce n’è più. Non ho mai provato a smettere.
Non ho mai assaggiato sangue umano, prima d’ora. Di opportunità a basso rischio ne ho avute, certo; giocando a calcio, per esempio, lì c’è sangue dappertutto… e poi una volta ho rotto il naso di Simon con la fronte e il suo sangue mi è praticamente finito in bocca.
Ma quella è una soglia che non ho mai voluto oltrepassare. È come se le alternative fossero solo due: o dichiarare di non avere mai assaggiato sangue umano oppure ammettere di averlo fatto. E quando l’hai fatto, che importa se è successo con una persona o con cinquanta?
E se poi un solo assaggio non fosse sufficiente? Se non riuscissi a smettere di pensarci? (Già adesso non smetto un attimo di pensarci.)
In quel caso che succederebbe? Quali alternative mi rimarrebbero? A quanto ho capito, omicidio di massa o conversione di massa.
Ma ci sta che non abbia capito un bel niente.
Secondo Shepard, i vampiri odiano trasformare le persone, sanno limitarsi a dei “sorsetti”.
Potrei chiamare mio padre, ho pensato mentre ero lì disteso nella vasca vuota. Così fingerebbe che io non sia affatto un vampiro, e potrei fingerlo anch’io. Sarebbe un tale sollievo.
Solo che ha bussato di nuovo la Bunce. È entrata in bagno e mi ha sommerso con una pioggia di false banconote da cento dollari. «Comprati qualcosa da metterti per il tuo appuntamento vampiresco» mi ha detto. «Muoviti. Devo fare pipì.»
Così sono qui che passeggio per la Strip, entro ed esco dai casinò per vedere cosa offrono. Ovunque ci sono boutique di lusso. Però non ho capito chi faccia acquisti in questi negozi: nessun turista veste Gucci. Forse l’intera strada è appannaggio dei vampiri…
Compro altri due completi, dei vestiti per il viaggio e qualche cambio per Simon; poi vedo un abito che starebbe bene alla Bunce, ma non hanno la sua taglia. Lo compro lo stesso, possiamo sempre modificarlo con un incantesimo.
Sto rubando.
È da quando abbiamo lasciato Omaha che non paghiamo più niente per davvero.
Chissà se le banconote spariranno già nella cassa o durante il tragitto verso la banca. Questo simpatico commesso ci rimetterà il posto? Riusciranno a risalire a me, a noi? Ha importanza?
Per mio padre sarebbe una vergogna.
Lo sarebbe davvero, o invece capirebbe? Che direbbe se lo chiamassi adesso? Si precipiterebbe qui per aiutarci?
No.
Mi richiamerebbe a casa.
“Lascia che ci pensino i genitori di Agatha Monamour a tirarla fuori dal pasticcio in cui si è cacciata. Non puoi farti invischiare in cose del genere, Basilton… con persone del genere. Tu sei… insomma, sei vulnerabile. È già abbastanza un guaio che sia rispuntato quel Nicodemus Ebb. Non è certo il caso che qualcun altro si metta a fare domande su di te.”
Zia Fiona potrebbe ascoltarmi, invece.
D’istinto è a lei che telefono. Proprio quando sono davanti a Prada, vicino a un gigantesco vaso ornamentale.
Solo che non risponde.
Pazienza. Tanto che cosa potrebbe fare? Di certo non arriverebbe mai prima delle due di questo pomeriggio.
Torno al Katherine Hotel carico di pacchi. Un giovane pallido mi tiene aperta la porta. Sto giusto per entrare quando vedo qualcosa di azzurro che rotola verso di me sospinto dal vento: il foulard di mia madre.
Poso le buste per afferrarlo.
In camera trovo la Bunce e il Normale impegnati in una seduta spiritica. Sono seduti sul letto e si tengono per mano, tra di loro una candela che fluttua nell’aria.
«Scusate l’interruzione» dico.
La Bunce si lascia ricadere sui cuscini, frustrata. Shepard prende al volo la candela prima che tocchi il letto.
«È lo stesso» mi dice lei. «Tanto non funziona. Ovunque sia, Agatha è troppo lontana perché i miei incantesimi la raggiungano.»
La Bunce non accenna all’altra possibilità, perciò evito anch’io.
«Dov’è Snow?» domando. Quando stamani sono uscito dormiva ancora.
Penelope prende il cellulare. «Ha detto che aveva bisogno di una boccata d’aria fresca. E io ho risposto che avrebbe dovuto lasciare lo Stato per trovarla…»
«Gli hai permesso di uscire da solo?»
«Non sono il suo angelo custode, Baz.»
«Certo che lo sei, diamine! È quello il tuo compito, Bunce.»
«Non sono riuscita a fermarlo!»
«Questa città brulica di vampiri, Penelope. È un pericolo per qualunque creatura che sanguini.»
«Motivo per cui ho trascorso le ultime ventiquattr’ore in questa stanza d’albergo. Ma tu conosci Simon, si comporta ancora come se avesse una bomba atomica assicurata al torace.»
«E tu la prossima volta legalo al letto. Ricorri a un: “Fermo lì”.»
«Tienitele per te, le tue pratiche sessuali, Basil.»
La porta della camera si spalanca. Io punto la bacchetta e la Bunce allunga il pugno.
È Simon.
Si è tagliato i capelli…
Entra e fissa imbarazzato il pavimento. Ha i capelli corti ai lati, come li ha sempre avuti… ma il parrucchiere glieli ha lasciati lunghi in alto. Una cascata di riccioli ancora più abbondante e più dorata che mai, dopo tutti questi giorni al sole.
Il taglio gli è costato più del suo intero guardaroba.
«Come stai bene» commenta la Bunce. «Sei un uomo nuovo.»
Lui si stringe nelle spalle. «Siamo pronti?» Poi si rivolge a me: «Hai caricato il telefono?».
Prendo un taxi fino al ristorante, mentre loro mi seguono con il furgone di Shepard. Non voglio essere visto in compagnia di nessuno.
Mi sono messo uno dei completi nuovi, prima di uscire. Nero, stavolta, con una camicia a fiori oro e viola. (Evidentemente la Bunce non è l’unica a non voler rinunciare al colore di Watford.) «Vai in un centro commerciale» ha detto Simon. «Non sarai un po’ troppo elegante?»
«Ottima scelta» ha commentato Shepard, squadrandomi dalla testa ai piedi.
Ha di nuovo ragione: appena entro nel ristorante, trovo Lamb che mi aspetta all’ingresso con un paio di occhiali da sole e un abito a tre pezzi. Color Tiffany. Detta così sa di pacchiano, ma non lo è per niente. È un look curato e originale.
«C’è da aspettare,» mi comunica «c’è sempre da aspettare.» Solleva gli occhiali. «Sbaglio o sei… colorito?»
Inarco un sopracciglio, la mossa che uso quando voglio fare il fico ma non ho niente di fico da dire.
La circospezione con cui mi trattava ieri sera è sparita. Lamb sembra voler ripartire da zero e ritrova la nonchalance con cui si era presentato. Così riparto da zero anch’io. (So essere spiritoso, so fingere che non m’importi di niente… l’atteggiamento neutrale mi si addice.)
Un’inserviente ci accompagna al tavolo. È un locale senza pretese sia fuori sia dentro. «Se permetti ordino io» dice Lamb aprendo il menù. «La thum ka noon è superba.»
Ordina cinque o sei piatti senza nemmeno preoccuparsi di tradurmeli. Poi si appoggia allo schienale e sorride. Ieri sera mi sono fidato di quel sorriso.
«Allora…» attacca «Baz.» Lascia riecheggiare il mio nome nell’aria. «È il diminutivo di cosa?»
«Barry» rispondo. Che è vero. Per alcuni. (Ho promesso alla Bunce di mentire a tutti i costi, oggi.)
«Baz ti si addice» Gli brillano di nuovo gli occhi, come se avesse un interruttore per farli luccicare a comando. Subisco ancora il suo fascino. «Perché vuoi sapere dei Next Blood, Baz, sentiamo…»
«Te l’ho già detto, hanno preso una persona che conosco.»
«Dove?»
«Non lo so.»
«E perché?»
«Non so neanche questo.»
«Che cosa sai, allora?» mi chiede. Tiene gli occhiali sulla testa e una ciocca di capelli gli ricade sugli occhi.
«So che era in ritiro con i Next Blood. Non aveva idea di cosa fossero esattamente. E poi è scomparsa.»
«Quindi non li stai cercando perché sei intenzionato ad arruolarti…»
Mi appoggio allo schienale della sedia. Sono rimasto finora in tensione senza rendermene conto. «Cosa? No.»
«Perché loro sono nostri nemici, Baz.» Gli occhi di Lamb sorridono ancora, ma è un sorriso triste, all’ingiù.
«Nemici di chi?» domando. «Dei vampiri di Las Vegas?»
Si lecca il labbro inferiore e fa una smorfia. «Ti prego di non usare quel termine. E nemmeno quel tono da “rivendicazione”, dai nell’occhio.»
«Nemici di chi?» chiedo di nuovo. A voce più bassa.
«Nostri. Della nostra confraternita, qui e da qualunque altra parte.»
«Lamb, io non capisco…»
Affila lo sguardo. «Sto cominciando a pensare che tu non capisca sul serio. Mi stai mentendo su… su quasi tutto, ma davvero non sai di cosa parli.»
«In Inghilterra è tutto diverso, siamo tagliati fuori… credevo che avessi capito.»
«Certo.»
Veniamo interrotti. Un cameriere ci serve la prima portata, del maiale croccante che sfrigola ancora.
Succede immediatamente, e chissà perché non me l’aspettavo (il maiale è il peggiore, i giorni in cui servivano il bacon a Watford mi capitava di dover uscire dal refettorio): mi spuntano le zanne.
Lamb sta mettendo nel mio piatto un po’ di carne. «I Next Blood» mi dice. «Sono loro a chiamarsi così, a proposito…» Poi alza lo sguardo e ammutolisce. Diventa serissimo. «Baz.»
Se n’è accorto, ovvio. Tengo la bocca chiusa. (A lui non sono spuntati i canini? Staranno per spuntargli, no?) Mi guarda, scioccato. E impensierito.
«Fai un bel respiro» mormora.
Io obbedisco, ma è anche peggio. Sento pizzicare il setto nasale e ho la bocca piena di saliva. Devo fare uno sforzo per non digrignare i denti.
Lamb mi allontana il piatto con naturalezza, come se volesse fare un po’ di spazio tra noi.
«Guardami» mi dice a voce bassa.
Obbedisco e incrocio il suo sguardo.
«Respira» mi ordina.
Obbedisco ancora.
«Questa è una reazione animale» mi spiega. «Ma tu non sei un animale.»
Non ha battuto ciglio. Annuisco.
«Tu sei un uomo, Baz. Hai tu il controllo, non la tua sete. Tu non prendi quello che vuoi quando vuoi. L’ho visto… ieri sera non eri nemmeno tentato.»
Il cameriere posa un altro piatto sul tavolo. Pollo. Latte di cocco. Curry.
«Come fai a controllarti?» domanda Lamb. «Quando hai sete e hai davanti un cuore che batte, intendo?»
«Io…»
«Non aprire la bocca.»
Serro le labbra.
«Pensaci…» mi dice. «Pensa a quello che fai per controllarti.»
Annuisco.
«Adesso prendi tu il comando, Baz. Sai bene che sensazione ti danno le zanne quando ti bucano le gengive.»
Annuisco di nuovo. Mi viene da piangere.
«Immagina di ritrarle. Sentile ritrarsi.»
Chiudo gli occhi e faccio ciondolare la testa in avanti. È difficile immaginare le zanne ritrarsi, quando mi occupano tutta la bocca. Non ho mai impedito ai miei denti di spuntare. Ma ci ho mai provato veramente? La mia strategia in genere è fatta di sotterfugi e isolamento. L’imperativo è non permettere a nessuno di vedermi mangiare. Mai.
Lamb posa la sua bella mano sulla mia, sopra il tavolo. «Ritraile, Baz. Falle tornare dentro. Puoi farcela.»
Allora ci provo, ci provo sul serio. Inspiro. Infilo la lingua in gola. Tiro dentro lo stomaco e scavo le guance. Stringo i pugni.
E sento le zanne… scattare.
Ci riprovo e, finalmente, rientrano nelle gengive. (Non so dove vadano esattamente; scommetto che Lamb me lo saprebbe dire.) Lo fisso. Devo avere lo sguardo folle.
Lui mi sorride e mi mostra i denti perfettamente normali, anche se un po’ troppo bianchi, forse.
A quel punto ritrae la mano e, di nuovo, riempie il mio piatto. Ora sul tavolo ci sono tre vassoi fumanti. «Ce la puoi fare» mi dice in tono calmo, fissando il cibo invece di me.
Mi posa davanti il piatto ricolmo. Io respiro a fondo, intimando ai miei denti di restare dove sono. Poi li sento scendere e subito li ritraggo.
E così faccio per tutto il pranzo. Finalmente torno a masticare come quando ero bambino, senza niente di extra in bocca. Niente che possa accidentalmente ferirmi l’interno delle labbra. Ho la mascella che mi trema per lo sforzo.
Nessuno di noi due parla più. Lamb non sembra neanche fare caso a me. Quando incrocio il suo sguardo, però, dopo che il cameriere mi ha portato via il piatto vuoto, ho l’impressione che sia raggiante. Sorride, ma ha gli occhi tristi.
«Quanti anni hai, Baz» mi chiede.
Non ho una risposta pronta. «Venti.»
«Certo, e io ne ho trentaquattro. Quanti ne hai veramente?»
Guardo le luci, il soffitto insonorizzato. «Venti.»
Lo sento espirare.
«Certo» ripete. «Parliamo dei Next Blood.»
Il ristorante è quasi vuoto. Il cameriere ci ha portato caffè con cardamomo e latte condensato. Lamb ha cambiato di nuovo personalità. Non è più il fascinoso amante di Las Vegas che ho conosciuto alla festa. Né lo spaventoso vampiro che ho visto fuori, al buio. Ora è più silenzioso, serissimo, quasi cortese.
«Spegni il telefono e mettilo sul tavolo» mi ordina.
Infilo la mano in tasca… pregando che Simon non stia per esplodere. Lo spengo e lo poso sul tavolo. Lamb nemmeno lo guarda. Non so se sospetti qualcosa o se stia solo prendendo delle precauzioni. Posa il suo cellulare accanto al mio.
«I Next Blood,» mi spiega «sono fisicamente simili a noi, ma culturalmente molto diversi. Sono un gruppo di uomini e donne facoltosi, in prevalenza uomini, che hanno scoperto il nostro modo di vivere… O meglio…» Non riesce a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. «Si comportano come se lo avessero scoperto. E poi hanno deciso di adottarlo. Hanno scovato i nostri confratelli e hanno preteso di essere trasformati. Non è nostra abitudine trasformare le persone a richiesta.» Mi guarda negli occhi. «Come ben sai, però, è probabile che uno di noi abbia ceduto a qualche ricatto o si sia fatto convincere. Così ha trasformato uno degli infedeli che, a sua volta, ha trasformato gli altri. E via di seguito…»
È nauseato. «Per i Next Blood essere uno di noi è un po’ come far parte di un circolo. Tipo il Rotary, per intenderci. Hanno pure un consiglio di amministrazione che valuta i nuovi membri.» Lamb liquida il tutto con un gesto, come se stentasse a crederci. Poi la sua voce si fa un po’ più acuta. «È come ricevere l’approvazione dell’assemblea condominiale. Interpretano il nostro stile di vita come un’estensione del loro successo… come se si fossero guadagnati la vita imperitura e, con essa, il diritto di condividerla. Solo nell’ultimo anno, a San Francisco hanno raddoppiato il numero dei nostri confratelli.»
Resto inorridito. E Lamb approva la mia reazione.
«Non ce n’è uno che prenda in considerazione tradizioni e costumi sociali. Mica si chiedono perché abbiamo impiegato millenni a costruire un percorso alternativo. No, loro sono la nuova ondata, il sangue nuovo, sono i Next Blood. Alla Storia non pensano proprio, impegnati come sono a curare il cancro e a reinventare internet.»
Si leva gli occhiali dalla testa e li posa sul tavolo.
«Minacciano la nostra sicurezza e la nostra libertà, Baz. Che cosa succederà quando i Sanguinanti si renderanno conto che nella Silicon Valley nessuno sta invecchiando? E, a quel punto, ne esisteranno ancora di Sanguinanti in grado di accorgersene?»
«E che mi dici dei…» balbetto. «Che mi dici degli arcimaghi?»
«Quei maghi ti stanno proprio a cuore, eh!»
Mi stringo nelle spalle.
«Be’, te l’ho detto, i Parlanti per lo più ci ignorano. Sembrano anche ignorarsi a vicenda, a dire il vero; non sono nemmeno sicuro che sappiano quello che sta succedendo. Anche se di certo lo scopriranno, quando i Next Blood avranno raggiunto il loro scopo. Il loro prossimo obiettivo è acquisire la magia.»
«La magia non si può acquisire» replico. «Con la magia ci si nasce.»
Lamb alza di nuovo gli occhi al cielo. «I Next Blood la vedono come una sfida genetica. Sono dei codardi, si stanno già iniettando sangue placentare, lo facevano ancora prima di essere trasformati!»
Mi si accosta. «Per me è questa la cosa peggiore. Non bevono nemmeno, Baz: si fanno le trasfusioni. Non toccano niente che non sia stato prima testato, congelato e immagazzinato. Ho sentito che hanno iniziato la pastorizzazione…» Il tono è meno dolce, adesso. Gli occhi scintillano come acciaio. Mi sorride con disprezzo, quasi fossi…
Impreco. «Tu mi credi uno di loro!»
Lamb abbassa il mento. È una provocazione.
Scoppio a ridere e non mi fermo più. «Per sette serpenti!» esclamo senza fiato. «Per otto serpenti… e un drago!»
«Che fai, tergiversi?» mi chiede. «O sei isterico? Conosci i termini del nostro accordo, la punizione è severa…»
«Lamb, no! Sono sfortunato, ignaro e inesperto, ma non sono quello.»
Lui riduce gli occhi a due fessure.
Mi alzo. «Vieni a fare un giro con me?»
Lo vedo appena entro. Un negozio di animali. Nello stesso centro commerciale del ristorante. So che Simon e Penny mi stanno guardando. Spero che notino la mano con il pollice alzato. (Il loro segnale idiota per dire che “va tutto bene”.)
Compro un coniglio. Dico al negoziante che ne possiedo già un altro e quindi ho dimestichezza con i conigli. Poi giro l’angolo con Lamb e mi piazzo dietro un bidone.
«Potrebbero vederti» mi dice. «È pieno giorno.» Ha capito il mio gioco appena siamo entrati nel negozio. Mi guarda con disgusto, ma anche con un po’ di curiosità. Un tempo dividevo la stanza con quell’espressione.
«Coprimi» dico.
Lamb si avvicina.
Spezzo il collo del coniglio e lo prosciugo fino in fondo. (Non verso neanche una goccia né sul suo pelo bianco né sui miei polsini.) Poi lo getto nel bidone.
Lamb è scandalizzato al massimo. «Oh, Baz» dice, sgomento. «Non c’è da stupirsi che tu sia così pallido. Sei malnutrito.»
Rido. «Almeno non sono uno di loro.»
«No» replica, inarcando un sopracciglio. «Sei un bambino affamato che proviene da una nazione oppressa e che ha appena imparato a conoscersi. Ma non sei uno di loro, no.»
Lamb mi sta ancora nascondendo, mi tiene confinato tra il muro e il bidone. Sento il sangue del coniglio affluirmi alle guance. Le zanne non si sono ancora ritratte del tutto.
La sua vicinanza mette in luce la mia superiorità in altezza.
«Aiutami» mormoro. «Dimmi dove trovarli. Hanno preso una persona a cui tengo molto.»