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SIMON

Baz è in piedi davanti a uno specchio a figura intera e indossa – giuro su Merlino – un completo di seta a fiori, blu scuro con rose rosso sangue, e una camicia bianca. Anzi, rosa pallido. Da quando si mette addosso tutti questi fiori? E quand’è che i capelli gli sono diventati così lunghi? Ci deve aver messo sopra qualcosa e ora gli sfiorano il colletto in onde nere e folte.

«Dimmi che non fai sul serio» lo apostrofo io.

Mi guarda dallo specchio e inarca un sopracciglio.

«È perfetto» dice Shepard. «I vampiri sono decisamente sopra le righe.»

Baz sposta il suo sguardo diabolico su Shepard.

«No, è perfetto perché è perfetto» commento.

Se Shepard vedesse la casa di Baz saprebbe che i vampiri non sono gli unici a vivere una vita in stile gotico; lo stesso vale per i maghi assurdamente ricchi.

Baz non ha battuto ciglio, quando siamo entrati in questo hotel che pare ispirato al tema “E se Dracula aprisse un hotel senza doversi preoccupare di restare in incognito?”.

È tutto nero. Le pareti, l’arredamento. Tutto tranne la moquette, che è color vinaccia. O, meglio, sangue.

Appena entrata, Penelope ha rischiato di fare subito dietrofront. Il pezzo forte della hall è un grappolo di gabbie che pendono dal soffitto. Sono almeno una decina, tutte dipinte di nero e con dentro solo uccelli neri. Pappagalli neri e, che ne so, cacatua neri o roba del genere.

«Secondo te li tingono?» mi ha chiesto, strisciando lungo la parete per evitare le gabbie. (Ha la fobia degli uccelli dal quarto anno, quando il Tedio ci scagliò contro i corvi e quelli provarono a cavarci gli occhi.)

Ci siamo tenuti tutti a distanza dalla reception, mentre Baz si procurava la stanza. Non so se ha usato il denaro o la magia o se, semplicemente, i dipendenti lo hanno riconosciuto come uno di loro. Tutti quelli che lavorano qui sono pallidi e incredibilmente attraenti. Gli uomini in completo nero, e le donne in abito di pelle nera con inserti di pizzo. (Sono vampire? Sono tutti vampiri, qui? Dovrei essere in grado di capirlo, dato che vivo con uno di loro. Ma mi ci sono voluti anni di studio approfondito per sgamarlo.)

Perlomeno la nostra suite è un po’ più allegra. È nera, ma non dappertutto. Le pareti hanno il colore della nuova camicia di Baz (che i vampiri amino il rosa?), e i letti sono grigi. Tutto ciò che può essere di pelle lo è.

Siamo arrivati stamattina e abbiamo passato il resto della giornata a lavare via la sabbia dai capelli, schiacciare pisolini e ordinare il servizio in camera. Baz è uscito ed è tornato con questo abito, e con un cambio per me e Penelope. Era l’unica persona a cui Shepard avrebbe permesso di uscire.

«Las Vegas non può essere così pericolosa» dice Penny. «Ci abitano alcuni tra i maghi più famosi del mondo.» È sdraiata su uno dei letti e indossa un grazioso prendisole giallo… Baz dovrebbe sceglierle gli abiti più spesso. (Mentre non dovrebbe mai sceglierli a me. Mi ha portato una camicia tinta unita, manco lavorassi in banca.) Penelope sospira: «È il colmo. Sono arrivata fino a Las Vegas e non posso vedere Penn & Teller».

«Dai!» borbotta Baz. «Tanto era tutto esaurito.»

Gli occhi di Shepard si illuminano. «Penn & Teller

Baz finisce di aggiustarsi polsini e colletto e si scosta dallo specchio. È davvero perfetto. Se cercava un look assurdo – gothic pop star, probabilmente –, funziona eccome.

Penelope si alza a sedere e lo fissa con aria seria. «Allora, Basil, noi saremo qui in ascolto e tu terrai il telefono…»

«In tasca, Bunce» conclude lui. «Vi chiamerò prima di uscire. Sentirete tutto quanto.» È equipaggiato per le chiamate internazionali, adesso.

Pensarlo dentro una stanza piena zeppa di vampiri mi dà i brividi.

«Se cominciano a fare troppe domande…» continua Penny.

Subentra Shepard: «Cerca di essere più sincero che puoi. “Non sei della zona, ti trovi in vacanza, ti hanno detto che c’era un party”».

«Be’… è un piano decente, mi pare» approva lei. «E se non se la bevono…»

«Dai fuoco a tutti,» intervengo io «e ce la filiamo all’istante.»

Baz mi sorride. Il suo sguardo è dolce. Sarà ancora l’effetto della scorsa notte. Della nostra magia sul retro del furgone.

«Ripensandoci,» dico, mettendomi tra lui e la porta «perché non diamo subito fuoco a questo posto e non ce la filiamo adesso?»

Baz mi guarda come se dubitasse che io stia parlando sul serio. «E che facciamo con Agatha?»

Parlo sul serio, in effetti. «Magari questi vampiri non sanno nulla di lei. Potresti rischiare la vita per niente.»

«Andrà tutto bene, Snow. Abbi un minimo di fiducia in me.» Si aggiusta di nuovo i polsini. (A che serviranno mai i polsini se devi sistemarteli di continuo?) Poi tira fuori il telefono e digita un numero.

Il cellulare di Penny squilla e lei risponde senza dire una parola.

Baz infila di nuovo il telefono nella tasca della giacca. Poi mi aggira, apre la porta e allunga la mano perché gli consegni la chiave della stanza.

E se ne va.

Penny mi posa il braccio sulla spalla. «Se la caverà, Simon.» Mi guida verso uno dei letti e posa il cellulare al centro, in vivavoce.

Sentiamo il telefono di Baz sfregare contro la tasca mentre cammina…

Poi il tin dell’ascensore al piano…

Le porte che si aprono. Gente che parla, ride.

Pochi secondi dopo, un altro tin, gente che esce.

E poi l’ascensore che schizza all’ultimo piano dell’edificio. «Un minimo di fiducia» sussurra Baz.

Ancora un tin e le porte si aprono.

Baz si muove di nuovo. Il corridoio è silenzioso.

Bussa tre volte su qualcosa di massiccio.

Un eroe ribelle
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