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SIMON
Che io sia dannato, sventrato e poi squartato, cazzo, se me ne sto lì a guardare mentre un caprone dallo sguardo indemoniato palpeggia il mio ragazzo.
Baz ha provato a usare le parole per tirarci fuori da questo pasticcio, ma non poteva funzionare: queste creature sono venute in cerca di sangue, l’hanno detto apertamente. E poi ho la sensazione che si vogliano prendere tutto quello che abbiamo, ottenere da noi ogni informazione possibile e poi impalare le nostre teste.
Hanno buone possibilità di riuscirci. Siamo tutti e tre fuori gioco. Penny e Baz senza la loro magia sono impediti e limitati. Baz è forse l’essere più potente tra i presenti. Ma ragiona da mago, non da vampiro. Senza bacchetta, non combatte, usa le parole. Be’, con le parole non usciremo mai da questa situazione.
Non sappiamo nemmeno con chi abbiamo a che fare; cos’è, una banda o un esercito? Nessuno di noi sa un bel niente delle creature magiche americane. Non so nemmeno quale animale sia quello con il fucile… un tasso?
L’Arcimago ha sempre detto che l’America rappresenta una costante minaccia al mondo degli arcimaghi. L’America è decentralizzata, disorganizzata e priva di precise leggi magiche. I maghi neanche si parlano, se non sono imparentati. Ognuno fa per sé.
«Individualisti e terroristi» diceva l’Arcimago. «Nessun senso di appartenenza a una comunità, niente obiettivi comuni. Per metà usano la magia per lavare i piatti, per l’altra vivono come sultani debosciati.
«Io do la colpa al vernacolo. Completamente instabile! È ancora troppo in divenire! Il loro dialetto è come un fiume privato delle sue anse naturali e delle sue secche: i loro incantesimi cessano di funzionare prima ancora che ne acquisiscano la padronanza.
«Il mio cuore è sempre dalla parte dei ribelli, Simon, in ogni lotta. Ma l’America è un esperimento fallito. Un Paese caotico in cui i maghi hanno perso ogni consapevolezza di sé. E vivono alle spalle dei Normali come parassiti… come creature oscure.»
L’Arcimago uscirebbe di testa se sapesse che sono venuto qui. Se fosse vivo, intendo.
Quel demone caprino aveva le mani nelle tasche di Baz. Non appena il tasso mi ha levato gli occhi di dosso, ho fatto fuori la capra con la bacchetta di Baz. (Forse se avessi sempre usato la mia bacchetta in questo modo avrei avuto più fortuna.) O almeno credo di averlo fatto fuori. Non so se i demoni caprini hanno la trachea.
Baz si è scagliato sul tasso che teneva impegnata Penny. Avrebbe potuto spezzarlo a metà come un KitKat, segnando la sua fine. Solo che per qualche ragione non l’ha fatto.
Sto per pensarci io quando qualcos’altro mi balza sulla schiena. Un mostro femmineo dalle mani roventi. Ormai è una zuffa in piena regola, l’unica soluzione che c’era fin dall’inizio. Mi alzo in volo sulla creatura dalle mani incandescenti e la sferzo più volte con la coda. Desideroso di avere qualcosa con cui colpirla.
Non vedo Penny… dov’è andata?
E perché non ci hanno ancora sparato? In America pure i bambini hanno accesso alle armi. Di sicuro anche altre di queste creature oscure saranno armate.
Sento accendersi un motore e getto lo sguardo alle mie spalle: è il furgone grigio. Dev’essere il Normale che se la fila. Baz lo sta inseguendo. Lascialo andare, Baz, abbiamo problemi più gravi da affrontare.
Rifilo un calcio in bocca a Mani Roventi. Vorrei avere gli stivali con la punta d’acciaio. Mi guardo intorno in cerca di Penny…
Ah. Ecco la sparatoria che aspettavo.