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SIMON
Un cielo così blu non s’è mai visto.
Sono disteso a pancia in su sul pianale del furgone, con il sacco a pelo di Shepard come cuscino. Baz mi ha sistemato l’ala con la magia. Nell’ultima stazione di servizio mi ha comprato un modello taroccato di occhiali da sole e una cassa d’acqua. Ogni tanto lo vedo voltarsi a controllare.
Sto bene.
Sto benissimo.
Sotto questo cielo – un cielo così immenso non s’è mai visto – riesco quasi a credere che andrà tutto bene anche per noi. Io e lui. Ce la stiamo cavando, no? In linea di massima? Anche quando ci legano e ci sparano addosso.
Sì, ce la caviamo. Lui continua a toccarmi, e io lo lascio fare. Però non sento più quella scossa di pericolo come se il nostro rapporto fosse un edificio da cui devo fuggire prima che mi crolli addosso.
Adesso il tocco di Baz è piacevole.
(Toccare lui è sempre piacevole; sarebbe più semplice se potessi toccarlo di continuo. E baciarlo. Anziché essere baciato. Non so spiegare, ma è diverso. Baciare è naturale, mentre essere baciati provoca un senso di soffocamento. Anche se negli ultimi giorni non è più così. Ora è piacevole. Questo cielo è così grande. C’è così tanta aria.)
Shepard evita le grandi autostrade. In genere abbiamo la carreggiata tutta per noi. Mi metto seduto e, appoggiato alla sponda del cassone, guardo la terra passare dal verde al grigio al rosso.
L’America muta a ogni cambio di sguardo.
Trabocca in ogni direzione.
Non riesco a credere che lo Utah e l’Iowa facciano parte dello stesso Paese. Dello stesso pianeta, addirittura. Ecco come mi sento, come il primo uomo su Marte. Sono quasi contento che Baz non sia qui fuori con me e non mi veda a bocca spalancata.
Per lui qui c’è troppo caldo, troppa luce. E poi il vento e il frastuono sono incessanti. Sono semicotto e scorticato.
Però mi sento bene.
BAZ
Siamo in viaggio da quattro ore e Shepard dice che ce ne vorranno almeno altre otto. La Bunce vuole ricorrere alla magia per accelerare, ma temo che ci serviranno tutte le nostre scorte quando arriveremo a destinazione.
Shepard non fa che spingerci a parlare. Invano, però. Con me nessuno ci è mai riuscito, e la Bunce l’ha preso particolarmente in antipatia.
Non ci resta che guardare il paesaggio, che è sempre più deprimente. In America il verde non è verde. Abbiamo attraversato ogni genere di campo, ma nessuno è di quel verde brillante dei campi inglesi.
Ora di verde non ce n’è quasi più. È diventato tutto rosso e brullo.
Mi volto a guardare Simon. Gli ho dato la crema solare…
Non c’è più.
«Accosta» ordino a Shepard stringendogli il braccio. «Snow è sparito.»
Bunce si volta a guardare. «Dov’è andato?»
«Sarà caduto» dico. «Torna indietro.»
Penny si slaccia la cintura di sicurezza e si sporge dal finestrino, arrampicandosi per vedere meglio.
«Sta bene!» urla Shepard. «Torna dentro!» Mi dà una gomitata. «Così cade di sotto!»
La afferro per la vita.
«Eccolo lì, il vostro amico» dice Shepard, indicando il parabrezza. «Sta volando.»
Vedo l’ombra sull’asfalto davanti a noi: Simon ad ali spiegate, la coda a freccia lunga distesa dietro di lui.
«Quel pazzo» sussurro.