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BAZ
Adesso dovrei essere sconvolto.
Sul sedile posteriore, la Bunce è un relitto, scossa da ondate di sensi di colpa, paura e sconcerto. E ci credo! Appena arriveremo a casa, i nostri genitori ci taglieranno la lingua. Come minimo saremo processati di fronte alla Congrega. Su questo non c’è dubbio. E succederà non appena metteremo di nuovo piede sul suolo britannico.
Adesso però non siamo sul suolo britannico, giusto?
E Simon Snow non ha genitori.
La sua euforia è contagiosa. Più che contagiosa, ammaliante, direi.
Sento ancora la sua bocca sulla mia, le sue braccia che mi stringono. Per la prima volta dopo tanto tempo. Per la prima volta in assoluto, forse, con tanto impeto e spensieratezza.
È come il giorno in cui abbiamo respinto il drago sul prato di Watford… con la differenza che allora avevo dovuto fingere di non sentirmi al settimo cielo. Di non essere raggiante per via della sua magia e delle sue attenzioni.
Mezz’ora dopo che siamo usciti da Omaha, Simon ha ancora il sorriso sulle labbra e lascia che il vento gli getti i capelli negli occhi. Con uno dei suoi incantesimi Penny gli ha finalmente fatto sparire le ali perché potesse allacciarsi la cintura. (Sulla superstrada ci siamo attirati non pochi sguardi strani.)
Simon non fa che allungare la mano per stringermi la spalla o il braccio. Ma non per fare domande. Non c’è esitazione in lui. Mi tocca semplicemente perché è felice. Euforico. E perché io ero lì con lui, perché sono anch’io fonte della sua felicità.
Mi afferra la nuca, stringe la presa e mi scuote delicatamente avanti e indietro. Mi accorgo che sta ridendo.
Al nostro ritorno ci lapideranno. Cancelleranno i nostri nomi dal Libro.
Ma solo al nostro ritorno.
Se mai torneremo, però.
L’America è sconfinata. Potremmo anche non esaurire mai le strade da percorrere.
Alla fine ci fermiamo in una stazione di servizio per andare in bagno e comprare degli altri pessimi panini.
Io e la Bunce torniamo per primi alla macchina. «Ormai saremo a corto di carburante» dico. «Finora non abbiamo mai fatto rifornimento.»
«Ho lanciato un incantesimo sul serbatoio» mi risponde lei, fissando pensierosa la propria cena. «Come fanno gli americani a rovinare i panini?»
«Sono asciutti e mollicci al tempo stesso» commento, addentando il mio.
«Baz, siamo molto nei guai, secondo te?» Alza lo sguardo e, accecata dal sole al tramonto, strizza un occhio.
«Fino al collo» rispondo.
«Magari non verrà a saperlo nessuno.»
«Erano più quelli che ci filmavano di quelli che non lo facevano.»
«Sto pensando a un incantesimo per…»
«Cancellare internet?» Poso il panino sul cofano e mi riavvolgo il foulard attorno ai capelli. «Dovresti recitare le formule di un intero libro sacro e sacrificare sette draghi.»
«Allora non è così impossibile…»
«Rinunciaci, Bunce. Siamo belli che fottuti.»
«Ma allora non dovresti essere più sconvolto?»
Simon esce spavaldo dal negozio con un sacchetto in mano. «Ho trovato il modo di aggirare la questione panini» annuncia. «Straccetti di manzo essiccato! Qui ne vendono almeno trenta qualità diverse.»
Fa per sfilarmi le chiavi dalla tasca dei jeans. «Adesso tocca a me guidare.»
Ruoto i fianchi per evitare la sua mano. «Ah, sì?»
Mi inchioda il bacino alla macchina e tira via le chiavi. Stiamo ridendo tutti e due.
La Bunce ci osserva.
Simon si mette al volante e Penny mi si accosta. Non sono ancora riuscito a sistemarmi il foulard. «Saremo a casa tra meno di una settimana. Dobbiamo escogitare qualcosa» mi dice.
Il motore si accende. La radio è già al massimo.
«Stanotte dove dormiamo?» chiede Simon.
Sfilo accanto a Penny e salgo a bordo. «Poi vediamo.»
Volevo fare il poetico, prima, quando ho detto che l’America è sconfinata. Ma il Nebraska lo è davvero. Grande quanto l’Inghilterra e deserto come la luna. Non ho mai visto un cielo così nero.
I campi di mais cedono il passo a praterie cespugliose e rilievi rocciosi. Appena cala la notte, abbiamo l’impressione di vedere i folletti: lampi di luce nell’erba alta. Ma, quando ci fermiamo per avvicinarci, scopriamo che sono piccoli insetti fosforescenti. «Lucciole, credo» azzarda Simon.
Avanziamo nell’erba insieme e le guardiamo lampeggiare. Volano lente e sembrano facilmente catturabili… tanto che Simon ne prende una. Me la mostra tra i palmi socchiusi, e io raccolgo le mani attorno alle sue per osservarla.
«Sono magiche?» domando.
Simon scrolla il capo. «Non penso.»
La lucciola si stufa di esplorare i suoi palmi e si leva in volo tra le nostre teste chine, facendoci sobbalzare. Così proviamo ad acchiapparne un’altra, inseguendoci a vicenda mentre corriamo dietro alle lucine lampeggianti.
Anche la Bunce smette per un attimo di rimuginare e si unisce a noi. Appena riesce a prenderne una, strilla e comincia a saltellare come un pony. «Ollallà! L’ho presa! Sento il solletico delle sue ali!»
«Attenta a non schiacciarla!» esclama Simon. «Fa’ vedere!» Appena lei apre il pugno, la lucciola prende il volo e gli atterra sui capelli. Simon resta immobile, con un accenno di sorriso all’angolo delle labbra e quel lento lampeggio sopra l’orecchio.
Mi avvicino per baciarlo, attento a non spaventare la lucciola. Io posso, sono un vampiro e so muovermi furtivamente. Snow mi vede arrivare e non si sposta. Ma, non appena si sente sfiorare le labbra, volta la testa da un lato. E la lucciola vola via.
Siamo tornati al punto iniziale, quindi. La sua sfrontatezza si è già spenta.
«Vieni» dice. Per lo meno sta ancora sorridendo.
Vorrei prendergli la mano e trattenerlo qui con me, tra questi ciuffi di erba. Per chiedergli: “Sei ancora mio? È ancora questo il tuo desiderio?”.
Invece non lo faccio.
Perché non voglio sentirmi rispondere di no.
Un’ora dopo, vediamo davvero i folletti. Sono una decina e volteggiano in cerchio nell’erba alta, con nuvole di lucciole tra i capelli. «Quelli sì che sono magici» commento.
Simon non vede altro che le luci.