44

BAZ

Busso alla porta e, a quanto pare, commetto un errore perché la donna che viene ad aprirmi ha l’aria torva. Faccio per salutare, ma lei mi si avvicina e mi annusa, poi si allontana e mi fa cenno di seguirla. Immagino di aver superato il suo test.

Entro. È la suite dell’attico, molto più grande della nostra e zeppa di persone.

Non persone, vampiri. Persone come me. Temevo di aver esagerato con l’abbigliamento, invece aveva ragione Shepard: qui sono tutti un po’ sopra le righe. Gli uomini in completo elegante, le donne in abito lungo e mantello. Tutti pieni di gioielli, piume e catene d’oro…

Niente a che vedere con il locale in cui siamo stati io e Simon a Londra. Là i vampiri non si mettevano in mostra. Questi invece vogliono farsi vedere e ammirare. Non sono particolarmente belli. (Tranne alcuni.) Credo che la bellezza vampiresca sia solo un mito. Di sicuro sono particolarmente ricchi, questo sì. E particolarmente… fluidi. Si muovono come olio, come ombre. Come gatti.

È così che appaio anch’io? Privo di consistenza?

Bevono tutti. Perciò cerco il bar e lo trovo lungo la parete. Mi verso un liquido dorato, giusto per avere le mani occupate.

Ho detto a Simon che me la sarei cavata e lo farò. Ho preso parte a un centinaio di ricevimenti organizzati dai miei genitori, so come aggirarmi tra la gente ricca mostrandomi annoiato. Anche se questi non mi paiono annoiati…

Certi ballano. Non c’è una vera e propria pista da ballo, ballano sul posto. Due donne si baciano appassionatamente in una delle panche sotto le finestre.

Ci sono anche dei Normali. Almeno un paio. Fiuto il battito dei loro cuori. Se ci fossero Simon e Penelope, sarebbe finita: farebbero di tutto per salvarli.

Io voglio salvare Agatha, invece.

E voglio sconfiggere questi NowNext prima che si espandano. Il drago aveva ragione, i vampiri non devono imparare a parlare… non si dovrebbe permettere a nessuno di essere l’una e l’altra cosa.

Mi avvicino a un gruppo di quattro o cinque persone nella speranza di potermi presentare, ma il capannello si disperde appena lo raggiungo. Resto lì qualche istante a fissare il bicchiere, fingendo che le cose dovessero andare proprio così.

Mi passa accanto una ragazza bellissima che avrà si e no la mia età. Ha del sangue sul collo e non porta le scarpe. Sento pizzicare le narici. Un paio di altri vampiri si estraniano dalla conversazione in cui sono impegnati e si voltano a guardarla. Quattro mani la afferrano per la vita e la attirano tra la folla.

«Ciao» dice una voce alle mie spalle. E dimentico l’odore della ragazza.

È un uomo. Cioè, un vampiro. Come me. Insomma, non proprio come me… È più basso, più esile, di un pallore diverso dal mio. Gli brillano gli occhi. Come se fosse già divertito per qualcosa che ho fatto.

«Posso portarti da bere?» domanda.

Alzo il bicchiere ancora pieno.

Il vampiro inclina la testa e sorride. «Tu… non sei di queste parti, vero?»

Provo a restituirgli un po’ del suo entusiasmo. «È così evidente?»

Nel sorriso che mi rivolge adesso intravedo qualcos’altro. «Ora sì. Londra?»

«Passando per l’Hampshire.»

«Lo conosco bene.» Mi tende la mano. «Lamb.»

Gliela stringo. «Chaz.» (La Bunce mi ha suggerito di usare un nome simile al mio, perché almeno mi volti sentendolo pronunciare.) La sua mano mi sembra fredda, ma in realtà è solo fredda quanto la mia. Mi schiarisco la voce. «Sei stato nell’Hampshire?»

Si finge deluso. «Possibile che sia stato via tanto a lungo da passare per americano, ormai?»

«Scusa tanto, ritiro quello che ho detto.» A me sembra un americano in tutto e per tutto, veramente. O, meglio, un vampiro in tutto e per tutto: con quella camicia color pervinca e quegli stravaganti capelli ramati ormai passati di moda. Sciolti, lucenti e tutti della stessa lunghezza, appena sotto la punta delle orecchie. Se li scosta dal viso e subito gli ricadono come seta. È chiaramente uno di quei vampiri che contribuiscono ad alimentare il mito della bellezza.

«So già che mi farai del bene, Chaz. Il nostro incontro non potrà che giovare alla mia pronuncia… Cosa ti porta così lontano da casa?»

«Sono qui in vacanza. Ho sempre desiderato visitare Las Vegas.»

«Il volo è lungo» commenta Lamb. «Hai riempito le bottiglie dello shampoo di 0-negativo… o hai stretto intima amicizia con la persona seduta accanto a te sull’aereo?»

Rido, sperando che si tratti almeno in parte di una battuta. «Ho digiunato. Allevia il jet lag.»

Con mio grande sollievo, ride anche lui.

«Avrai fatto lo stesso viaggio pure tu» dico.

«Infatti. Anche se all’epoca prevedeva una lunga traversata in nave.» Beve un sorso. «La prossima volta» con un cenno del capo indica la porta «rimediati un invito, prima di imbucarti a una festa. Lo sai come siamo, non ci fidiamo delle facce nuove. E si è “nuovi” almeno per i primi cento anni…»

«Peccato che tra sole due settimane dovrò tornare a casa.» Bevo un sorso anch’io, sforzandomi prima di tutto di non restare a bocca aperta (Cento anni? Navi? Com’è venuto, a bordo del Titanic?), e poi di non vomitare. (Che diavolo è questa roba che sto bevendo, cherosene?)

Insomma, me lo sono chiesto – certo che me lo sono chiesto – se i vampiri possono invecchiare. Se possono vivere in eterno.

Quanti anni ha questo Lamb? Sembra più grande di me, sui trenta, trentacinque anni. Possibile che ne abbia centotrentacinque?

Cerco di controllarmi. Calma, Basilton. Massima disinvoltura.

«Allora, com’è che tu hai deciso di parlarmi, invece?» domando, ancora incapace di alzare gli occhi dal bicchiere. «Per pietà? O hai il compito di darmi il benservito?»

«Nient’affatto» risponde lui. «Apprezzo un volto nuovo…»

Alzo lo sguardo e incontro il suo.

E lui mi sorride. «Così hai due settimane per saggiare il famoso fascino di Las Vegas.»

Annuisco.

«Sinceramente, Chaz, prevedo che dopo non avrai più motivo di tornare a casa, io non l’ho fatto.»

«Si sta così bene, qui?»

«Sì, in effetti.» Rotea il polso e intanto osserva oziosamente me e il moto del ghiaccio nel bicchiere. «O, piuttosto, era là che si stava malissimo.»

«Quando hai lasciato l’Inghilterra?»

Lamb scuote la testa e i capelli si spostano con mezzo secondo di ritardo. «Tanto tempo fa, quando i maghi si stavano ancora organizzando, prima che decidessero di non poter più tollerare la nostra specie.» Ha l’aria sofferta. «Negli anni Cinquanta, ricordo di aver sentito che in tutto il Regno Unito di noi non era rimasto nessuno… il vecchio Pitch ci aveva cacciati tutti, come San Patrizio aveva cacciato i serpenti dall’Irlanda. In quei giorni, dal mare ne erano arrivati parecchi, di Britannici. Ne avevo incontrato uno di Liverpool che aveva ottenuto un passaggio su una fregata e, durante la traversata atlantica, si era scolato tutti i membri dell’equipaggio, uno dopo l’altro.»

Alla fine resto a bocca aperta comunque, mi sforzo di chiuderla ma non ci riesco.

Lamb si scosta i capelli dagli occhi celesti. «Pensa a quanta disciplina, quanta premeditazione deve aver richiesto l’impresa. Pensa… alla tempistica!»

«Be’, ora mi sento molto meno eroico per il volo di otto ore che mi è toccato patire.» È dura fare lo spiritoso quando ti esplode la testa. “Il vecchio Pitch” era il mio bisnonno, dev’essere proprio lui. Non l’ho mai conosciuto, ma…

«So che da allora le cose sono un po’ migliorate» continua Lamb. «Oggigiorno le notizie circolano di più. Sai, con internet…»

«Sì, ora va un po’ meglio» replico.

Lui mi si avvicina. «Però gli arcimaghi vi tengono ancora sotto tiro, vero? Sentiamo certi racconti…» Sembra davvero impressionato. «Circoli clandestini, raid, incendi

«Non va così male. Basta non dare nell’occhio.»

Lamb si mostra affranto per qualche altro istante e poi si avvicina ancora, chinando la testa per incrociare il mio sguardo. «Be’, alza quel mento, amico. Sei in America, adesso.»

Rido e ne approfitto per arretrare di un passo. «Che differenza ci sarà mai?»

Lamb ride con me, drizza le spalle e abbraccia la sala con un gesto. «Guardati intorno. Las Vegas è nostra. E troverai altri fratelli in tutte le maggiori città americane.»

«E gli arcimaghi non si infastidiscono?»

«Qui si fanno i fatti propri. Forse individualmente si immischierebbero, se cominciassimo a influire sulla densità demografica. Ma il Paese è grande ed è pieno di Sanguinanti. In realtà, i Sanguinanti… voi li chiamate ancora Normali?»

Annuisco.

«I Normali sono più una minaccia per loro stessi. Qui per i maghi la vera preoccupazione sono le armi, non i vampiri.» Mi scruta di nuovo in faccia. «Sicuro di non avere sete?» Lamb ha il viso roseo, le labbra quasi rosse. Dev’essere sbronzo.

«Ti comporti come se qui bastasse aprire il rubinetto.» Parlo sottovoce, grazie a Crowley. «Tenete i Normali nel frigobar?»

«Questa città è un frigobar. Nel vecchio continente non mi sarei mai immaginato niente del genere. Una città tutta nostra, Chaz, ci pensi? Una capitale!»

«La città intera?»

Lamb fa sì con la testa, il viso raggiante di soddisfazione. «Anche se per lo più bazzichiamo la Strip. Chi ce lo fa fare di spostarci? I suoi sei chilometri e mezzo sono invasi dai turisti, trecentosessantacinque giorni all’anno. Quasi tutti vengono qui spinti da un desiderio di sfrenatezza, e fanno cose orribili… addii al celibato, convention aziendali. In pratica offriamo un servizio.»

«E le persone del posto non se ne accorgono?» domando.

«Di cosa?»

«Dei… corpi.»

«Quando li trovano danno la colpa ad altre cose. Criminalità organizzata.» Inarca le sopracciglia. «Epidemia di oppiacei. In genere siamo più prudenti, però. Meglio un cliente soddisfatto che un cadavere, capisci?»

Devo avere l’espressione di uno che non ha capito. (E infatti è così.) Lamb mi scruta riducendo gli occhi a due fessure. «Chaz» mi rimprovera. «Voglio sperare che a Londra non li prosciughiate fino all’ultima goccia.»

Ancora non ho idea di cosa stia dicendo. Esistono altri sistemi? Questi vampiri riescono a bere e a fermarsi? Trasformano tutti quelli che toccano?

Mi stringo nelle spalle. Con nonchalance, mi auguro. «Noi non possiamo permetterci testimoni.»

«No. Certo…» Fa la faccia lunga e serra la boccuccia. Sembra tormentato.

«Devi scusarmi. Ti ho offeso» dico.

«No.» Mi posa la mano sul braccio. «Sono io che ho perso il controllo. Ho dimenticato come sia vivere nella paura e nella vergogna. È passato tanto di quel tempo da quando vivevo nell’ombra.» Serra la presa. «Spero che qui tu possa assaggiare un po’ di libertà, Chaz. Qui puoi gioire della tua natura anziché temerla.»

Inarca un sopracciglio. «Fai un giro con me?»

Se un vampiro ti invita a spostarti con lui in un posto diverso, più buio e più isolato, tu non andare. Questo è semplice buonsenso…

…A meno che tu non sia già un vampiro.

Il peggio che potrebbe capitare? Lamb potrebbe uccidermi, immagino. Figuriamoci se non sa in quanti modi può morire un vampiro.

Io ho bisogno di informazioni, però, e lui è l’unico che può darmele.

Quando siamo arrivati in città, il caldo era insopportabile e il cielo era talmente luminoso che non riuscivo ad aprire entrambi gli occhi contemporaneamente. Adesso che il sole è tramontato, la serata è calda e piacevole. Mi sento a mio agio con la giacca. E anche Lamb nel suo completo color crema. In compagnia dei Normali sembra tranquillo, più di quanto io non lo sia mai stato.

Mi offre un giro sulla Strip facendomi da guida. Mi indica tutti i casinò. Mi spiega che cosa c’era un tempo al posto di alcuni edifici. Denigra le principali attrazioni della strada. L’architettura. L’ignominia.

«Okay, ci siamo quasi… Eccoci» dice, e si ferma davanti all’ennesima facciata imponente, arricchita in questo caso da una buia piscina a specchio. «Certi hanno nostalgia dei tempi andati, quando ancora non c’erano i turisti, il Cirque du Soleil e gli chef famosi. Della serie, quelli sì che erano bei tempi… Ma per me Las Vegas non fa che migliorare.»

«Da quanto tempo sei qui?» domando.

«Dall’inizio.»

«E quando è stato l’inizio?»

«1908» replica lui. «Ho impiegato quasi trecento anni ad arrivare qui dalla Virginia.» Mi sorride a viso aperto.

Scrollo la testa, e il mio sbalordimento dev’essere evidente. «Ma sei così…»

Lamb si interrompe. Ha le mani in tasca e la testa inclinata da un lato. Continua a guardarmi come se fossi un oggetto da esaminare – e a cui sorridere – da ogni direzione. «Sono cosa, signor… come fai di cognome?»

Non posso dirgli il mio cognome, ma non mi viene in mente niente che faccia rima. «Watford» rispondo.

«Charles Watford. Persino il tuo nome mi fa venire la nostalgia. Ma continua, sono cosa… straordinario?» Sorride. «Erudito?»

Vivo, penso.

«Sincero» rispondo. «Riguardo alla… be’, alla tua storia. La tua…» Mi stringo di nuovo nelle spalle. «Tu non mi conosci.»

«Però conosco la tua vera natura» replica lui. «E tu conosci la mia. Ho tanto da nascondere… ma non questo

Annuisco. «Non posso darti torto.»

«Anche tu hai molto da nascondere, Chaz. È evidente. Ma almeno non… questo

Ha ragione. Gli ho dato un falso nome e dei falsi pretesti, ma lui conosce la verità su di me. La verità che nemmeno i miei parenti più prossimi hanno il coraggio di affrontare.

«Sto aspettando che tu te ne accorga» mi dice.

«Che mi accorga di cosa?»

Mi tocca la spalla e, con garbo, mi fa voltare verso la strada. Ci sono persone ovunque, anche se è mezzanotte passata. Sono tutte vestite da sera. Tutte un po’ brille. Tutte…

Quando finalmente capisco, resto senza fiato.

In ogni gruppo di persone c’è qualcuno che spicca per la fluidità dei movimenti, per il viso perlaceo che risplende nel vortice di luci. Sono ovunque. Con o senza i Normali. A gruppi di due o di tre. Completamente a proprio agio. Un uomo mi guarda dall’alto di una Cadillac Escalade sfoggiando un sorriso esangue.

Sento la voce di Lamb a pochi centimetri dall’orecchio. «La nostra città» mi dice. «La tua

Mi volto. Ha gli occhi sgranati e divertiti, la lingua premuta contro gli incisivi, come se fosse ancora in attesa di qualcosa. In attesa che io capisca davvero.

A un tratto, le note di un violino, dolci e appassionate, ci avvolgono. Alle spalle di Lamb si levano centinaia di getti d’acqua. Centinaia e centinaia. Una meraviglia!

Lamb si gode lo spettacolo riflesso sul mio viso. E ride di nuovo, con la spontaneità e la naturalezza che mi ha mostrato finora.

Beviamo un milkshake e a me gira comunque la testa. «C’è dell’alcol qui dentro?»

«C’è alcol dappertutto» replica lui. «E tu, tra i vampiri che ho incontrato finora, sei l’unico che non lo regge.» Ride al punto da riempire di bolle il frappè.

Scoppio a ridere anch’io e scivolo giù dallo sgabello. (È rivestito di pelliccia. Il massimo della scomodità.) Finisco addosso al Normale che mi siede accanto. (Ha un profumo delizioso. Sa di latte.)

Lamb mi prende per il braccio. «Andiamo, principino, hai bisogno di bere.» Mi trascina fuori dalla gelateria… no, non è vero che mi trascina, sono io che lo seguo volentieri. È la serata più bella che abbia trascorso finora in America.

La serata più bella che abbia mai trascorso in vita mia.

In Inghilterra non esco un granché. Io e Simon non usciamo mai. (Per via delle ali, chiaro. E del fatto che io odio gli ubriachi. Sul serio. Se fossi sobrio, in questo momento mi odierei. Che noia.)

Lamb mi tiene per mano. Ma poi prende per mano anche un altro uomo. Un Normale con un cappellino con la visiera e una maglia da football. È sbronzo pure lui – uffa! – e stiamo tutti ballando. Sulla Strip c’è musica ovunque. Sembra di stare in una sala da ballo, ma all’aperto, con le casse nascoste tra gli alberi.

La canzone parla di un posto chiamato Margaritaville. Io non ho mai bevuto un Margarita. Dovrei farmene mettere uno in un milkshake. Lamb trascina l’uomo – e me – in un vicoletto o, meglio, in una spazio tra due bar. Il Normale fa resistenza ma, dopo un attimo, si ritrova sulla gola la bocca non più tanto piccola di Lamb.

Il collo gli si affloscia, la testa scivola all’indietro, il cappello cade a terra. E gli occhi gli diventano vitrei. Ho già visto quello sguardo in un cervo, una volta.

Lamb beve a grandi sorsi. Mi tiene ancora per mano. «Chaz,» mi dice, fermandosi a riprendere fiato «forza.» Mi attira a sé, premendo l’uomo tra i nostri due corpi; l’aroma è irresistibile. Sento le zanne allungarsi. In bocca non ho più posto nemmeno per la lingua.

«Io… io non posso» dico.

«Sì che puoi.»

«Siamo in pubblico.»

«Ti assicuro che non importa.» Tira indietro la testa del Normale scoprendo ancora di più il collo, apposta per me.

Io mi volto e gli lascio la mano. «Non ce la faccio.»

Lamb dimentica l’uomo e si lancia su di me, mi inchioda alla parete bloccandomi per le spalle. I capelli gli coprono del tutto uno degli occhi e mi solleticano il naso. Il suo alito ha l’odore del sangue e mi offusca la mente. «Chi sei?!» mi domanda.

«Te l’ho detto.» La bacchetta è nella giacca. Potrei riuscire a lanciare un incantesimo. E forse lo batterei anche…

«Come ti chiami?» sibila, sputando sangue, mi pare. Evito di leccarmi le labbra. Mi sforzo di non farlo. Lui preme la fronte sulla mia, mi spinge la testa contro il muro di pietra. «Come ti chiami!»

«Baz» ringhio, e volto la testa per liberarla dalla sua. «E tu, invece?»

«Sempre Lamb.» Sulla mia spalla compare una fiammella. Ha in mano un accendino. «Ora dimmi perché sei qui.»

«Te l’ho già detto, sono in vacanza.»

Mi accosta la fiamma ai capelli.

«Cerco i Next Blood!» dico, a voce un po’ troppo alta.

Lamb mi molla e fa un passo indietro. Abbassa la mano con l’accendino lungo il fianco. «Oh, Chaz. Anche tu no!»

«Che cosa intendi?»

Fa per allontanarsi.

«Lamb!»

«Qui non li troverai» mi dice da sopra la spalla. «Non più.»

«Tu però sai dove sono!» Corro per raggiungerlo.

«Tutti sanno dove sono.»

Lo afferro per il braccio. Sono ancora un po’ brillo, a essere sincero. «Io no. Io non so dove trovarli. Hanno preso una persona che conosco.»

Si ferma e mi guarda, con aria pensierosa. «Questo è vero» commenta.

«Certo che è vero.»

«È la prima cosa vera che mi dici.»

«Lamb… aiutami, ti prego

Mi scruta per qualche altro istante, senza la benché minima simpatia, poi distoglie lo sguardo. «Non qui.» Si libera dalla mia stretta. «Domani. Alle due in punto. Al Lotus of Siam.» Se ne sta già andando, mi lancia a malapena uno sguardo da sopra la spalla. «E adesso procurati qualcosa da bere.» E scompare tra la folla.

Giro a vuoto per un minuto, sforzandomi di ricordare da che parte siamo venuti. Sono circondato da cartelli, ma non mi dicono niente. Lamb ha ragione. Ho bisogno di bere qualcosa. Di ratti ancora non ne ho visti… però ho visto un sacco di cagnolini da borsetta…

Mi piego in avanti, con le mani poggiate sulle ginocchia. Datti una calmata, Basil. Respira. Chiudo gli occhi e inspiro. Sento ovunque odore di sangue e di alcol, di frappè e popcorn bruciati…

Alzo la testa di scatto.

A mezzo isolato da me c’è Simon Snow. È senza le ali e ha le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Non sorride.

Tiro fuori il cellulare dalla giacca. È scarico.

Un eroe ribelle
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