12
PENELOPE
È la madre di Micah ad aprirmi e sembra sorpresa di vedermi. È normale. In fondo abito a Londra.
«Salve, signora Cordero.»
«Penelope… che piacere vederti. Micah non mi ha avvisato del tuo arrivo.»
«Oh, è una specie di sorpresa. È stata una decisione un po’ improvvisa. Lui è in casa?»
«Sì, certo, accomodati.»
Entro. Adoro questa casa. Alloggiavo nella camera degli ospiti quando sono venuta a trovarlo due estati fa. Le stanze sono tutte enormi, ma solo le camere e i bagni (ce ne sono ben quattro) hanno la porta. E ogni cosa – dalle pareti, ai mobili, alla miriade di armadietti della cucina – ha i toni pacati del crema e del nocciola.
Ci sono almeno tre divani di pelle nocciola.
E due salotti beige.
La moquette ha l’esatto colore del porridge.
Ah, è così accogliente. Casa mia è di tutti i colori, non ce n’è uno che sia voluto. I mobili sono rimasti del colore di quando mio padre li ha trovati ai mercatini dell’usato. E poi c’è roba dappertutto. Anche a casa di Micah dev’esserci della roba da qualche parte, solo che non si vede. Gli unici oggetti posati sui tavolini bassi (quanti sono? minimo nove) sono vasi color crema con fiori color crema e lampade di marmo nocciola.
«Vado subito…» La signora Cordero ha l’aria nervosa. Deve aver saputo che io e Micah abbiamo litigato. «Vado a chiamarlo.»
Mi siedo su uno dei divani di pelle e un volpino di Pomerania color crema mi si avvicina.
I genitori di Micah sono entrambi maghi, e in America non è sempre scontato che sia così. Qui non hanno degli standard per una situazione come questa, e certi maghi stanno tutta la vita senza mai incontrare altri simili che non siano parenti. Quando i maghi si uniscono ai Normali, i loro figli in genere hanno poteri magici, ma non sempre, e molti pensano che la magia diluita non sia altrettanto potente. Questo potrebbe dipendere dal minor addestramento che ricevono, però. A detta della mamma, non ci sono abbastanza studi sull’argomento.
Secondo Micah, i maghi inglesi sono troppo fissati con la magia. «Anche la mia famiglia utilizza la magia,» dice «ma per noi è solo parte della nostra identità.»
Mai sentito niente di più stupido. Se sei capace di infondere magia alle parole, sei prima di tutto un mago… il resto non conta.
I genitori di Micah lavorano nel campo dell’assicurazione sanitaria. Ricorrono alla magia per lo più a casa, per le faccende domestiche.
La cagnolina vorrebbe salirmi in braccio ma è troppo piccola. La tiro su perché mi fa pena, non perché mi vada di tenere in braccio un cane.
Sono certa che si sistemerà tutto. Basta che io e Micah ci parliamo a faccia a faccia. Quando sono stata qui due estati fa è andato tutto a meraviglia. Per la prima volta ci siamo sentiti una vera coppia.
«Penelope?»
«Micah!» Mi alzo portando con me il cane. Micah!
«Penny. Che ci fai qui?» Non sta sorridendo, vorrei che lo facesse.
«Ti ho detto che sarei venuta.»
«E io ti ho detto che non era il caso.»
«Tanto sarei venuta lo stesso…»
«Questa non è la California, però.»
«Hai detto che dovevamo parlare, Micah. E io ti ho dato ragione. Dobbiamo parlare.»
«Te lo chiedo da sei mesi, Penny, e tu non hai fatto che rimandare.»
«Non è vero…»
Ha le braccia incrociate sul petto. È così diverso dall’ultima volta che l’ho visto. Si sta facendo crescere quell’orrenda combinazione di baffi e pizzetto. Quand’è stata l’ultima volta che ci siamo parlati su Skype?
«Micah? Non capisco perché tu non mi voglia qui. Sono la tua ragazza.»
Mi guarda come se avessi appena detto un’assurdità. (Una cosa tipo: “Mi sto facendo crescere il pizzetto, che ne pensi?”.) «Penelope… nell’ultimo anno non ci siamo quasi mai parlati.»
«Perché siamo tutti e due impegnati.»
«E l’anno prima ci siamo parlati ancora meno.»
«Be’, erano circostanze estreme, lo sai.»
«Non puoi evitarmi per due anni e pensare che stiamo ancora insieme.»
«Io non ti ho mai evitato, Micah, come ti viene in mente?»
«Per te non esistevo proprio! Noi non esistevamo. Ho parlato più con mia nonna che con te.»
«Sono in competizione con tua nonna, adesso?»
«Mai quanto lo sono stato io con Simon Snow.»
La volpina abbaia.
«Sai bene che non c’è niente tra me e Simon.»
Alza gli occhi al cielo. «Sì. Lo so. Però so anche che tieni a lui… più di quanto hai mai tenuto a me.»
«Perché non mi hai mai detto come ti sentivi?»
«Ah» esclama Micah, come se fossi la persona più odiosa del mondo. «Ci ho provato. Avrei avuto più fortuna con un tornado. Tu sei un tornado.»
Sono così confusa. «Non abbiamo i tornado, in Inghilterra…»
«Be’, sei un vento di burrasca, Penelope Bunce. Fai quello che vuoi con la massima prepotenza e tutto il resto non conta. Ho provato a parlartene tante di quelle volte, ma tu hai spazzato via le mie parole come niente.»
«Non è giusto!» esclamo. Sto perdendo la calma.
Lui no. «Più che giusto è vero. Tu non mi ascolti!»
«Certo che ti ascolto.»
«Ah, sì? Ti ho detto che ero stanco di questa relazione a distanza…»
«E io ti ho dato ragione, è stancante!» ribatto.
«Ti ho detto che mi sembrava ci fossimo allontanati…»
«E io ho risposto che era naturale!» replico, alzando la voce.
Mi guarda tuttora come se in me non ci fosse niente di sensato. «Per te che cosa significa avere una relazione, Penny?»
«Per… per me significa che ci amiamo. E che su quest’aspetto della nostra vita abbiamo già le idee chiare. Che sappiamo con chi finiremo, ecco.»
«No» replica lui, in un tono che, per la prima volta dall’inizio della conversazione, risulta più malinconico che esasperato. «In una relazione non è la meta ciò che conta, ma il percorso che si fa insieme, passo dopo passo.»
«Micah?» Nel salotto entra una ragazza. «Ho sentito gridare e tua madre mi ha detto che era tutto a posto, ma…»
«È tutto a posto, infatti» le risponde lui sottovoce. «Questione di qualche minuto e torno di sotto.»
La ragazza continua a fissarmi. Ha i capelli lunghi e scuri e i fianchi larghi. Indossa un vestito a fiori. «Tu sei Penelope» dice.
«Sì.»
«Io sono Erin. Che piacere conoscerti.» Mi tende la mano, ma io mi stringo al cane con tutta me stessa.
«È questione di pochi minuti» dice Micah. «Posso spiegar…»
«Bene» replico.
Lui mi guarda di nuovo come se fossi incredibilmente stupida.
«Non parlavo con te, Penny. Per la miseria.»
«Che ti prende, Micah? Hai intenzione di lasciarmi?»
«No» risponde lui. «L’ho già fatto, almeno cinque o sei volte. Solo che tu non vuoi ascoltarmi!»
«Sono certa di non averti mai sentito dire: “Penelope, ti sto lasciando”.»
«L’ho detto in ogni altro modo possibile! Siamo stati due mesi senza parlarci, e non te ne sei nemmeno accorta!»
«Stavo lavorando a qualcosa di molto importante, ne sono sicura!»
«Ne sono sicuro anch’io! Qualcosa di ben più importante di me!»
A questo punto, sono molto tentata di dire: “No, Micah, ti sbagli. Questo è un errore, e io non lo accetto”.
E forse lo farei anche, se non ci fosse questa Erin. Credo sia una Normale, a meno che non nasconda la bacchetta sul retro del vestito, ma niente di quello che indossa potrebbe mai celare un briciolo di magia. Bracciali di poco valore e ciabattine infradito. Se non fosse per lei, concluderei con un: “Adesso me ne vado. Chiamami quando sarai di nuovo in grado di ragionare”.
Invece dico: «Mia madre posò gli occhi su mio padre al terzo anno e capì subito che un giorno si sarebbero sposati».
«Non è il nostro caso» replica lui. «Non succede quasi mai.»
Ha ragione…
…
…Che delusione.
E così esco senza salutare né lui né Erin né la signora Cordero. Quando arrivo a metà vialetto, Micah mi raggiunge.
«Penelope!»
«Non voglio più saperne di te!»
«No, è che… hai la cagnolina di mia madre.» Mi leva dalle braccia la volpina, che abbaia come se volesse tornare da me, e rientra di corsa in casa.
Sto piangendo e non riesco a capacitarmi di dover affrontare Simon e Baz proprio adesso. Di dover spiegare loro tutto quanto, ma…
La macchina è sparita.
Non ci sono più.