11

BAZ

Il ragazzo della Bunce abita in un quartiere residenziale.

«Le case sono lontanissime l’una dall’altra» commenta Snow. Ora che non siamo più in autostrada, riusciamo di nuovo a sentire quello che diciamo. «È un po’ da avidi, no? Occupare ognuno più spazio possibile, vero?»

«Non sono mica così distanti» replico io.

«Per te no, sei cresciuto in una magione.»

«Sono cresciuto su una torre» ribatto. «Insieme a te.»

«È quella!» esclama la Bunce, indicando una delle case.

Parcheggio nel vialetto e faccio per scendere dall’auto, ma lei mi spinge di nuovo giù e mi scavalca. «Voi due aspettate qui.»

«Voglio vedere Micah!» protesta Snow. «Ti vergogni di noi?»

«Sì, ma tornerò comunque. Voglio solo vederlo a quattr’occhi per qualche minuto.»

Si liscia la maglietta, ma l’aria è quella di una che ha passato la notte su un aereo; e poi la Bunce tende a essere un po’ assurda, anche quando è fresca come una rosa. Si veste come se avesse ancora la divisa di Watford, o come se il suo desiderio fosse quello, insomma. Gonnelline scozzesi, calzettoni fino al ginocchio, mocassini o Mary Jane. La sola concessione che ha fatto alla vita civile è una serie di magliette oversize. Chissà se si rende conto di quanto viola e di quanto verde si mette ancora addosso.

Arrivata a metà vialetto, si volta e mima con le labbra un: «Buoni lì!», rafforzando le parole con un gesto.

«Abbiamo capito!» grida Snow. «Ti vergogni di noi!»

Lei corre verso la casa, esasperata.

Siamo rimasti soli. Snow allunga la mano e tocca la leva del cambio. «È ancora calda.»

Annuisco.

«Hai trovato differenze? Rispetto alla macchina che guidi a casa?» mi chiede.

«Questa è un po’ più ingombrante. Più difficile da controllare… Vuoi provare?»

Ha ancora la mano sulla leva. «Non so nemmeno guidare con il cambio automatico.»

«Posso…» Mi stringo nelle spalle. «Posso… insegnarti io?»

«Qui?»

«Perché no? Non se ne accorgerà nessuno. Non c’è traffico.»

Snow sembra un ragazzino, ha la faccia preoccupata, come se temesse di non avere il permesso di farlo. Apro la portiera. «E dai.»

Appena scendo, si mette al volante e sfrega i palmi sui jeans. (Simon Snow in America: jeans, maglietta bianca, pelle che già si arrossa per il sole.)

Mi siedo al suo posto sul sedile del passeggero. «D’accordo, il freno a mano è tirato, quindi non andiamo da nessuna parte» dico nel tono che userebbe un allenatore sportivo.

«Giusto.»

«Adesso, premi la frizione. È il pedale sulla…»

«Lo so, ho giocato a Gran Turismo

«Bene. Allora, la frizione va sempre premuta quando metti in moto e quando cambi marcia. Provala un paio di volte.»

La pigia con troppa forza, ma non lo correggo. “Vacci piano” non fa parte del suo vocabolario comportamentale.

«Adesso prendi la leva del cambio.»

Snow la impugna forte. Poso la mano sulla sua e cerco di fargli rilassare il polso. «Tranquillo. Facciamo giusto una prova. La macchina è spenta e c’è il freno a mano. Vediamo solo che effetto fa…» Sposto la leva avanti e indietro. «Questa è la marcia folle.» Gli spingo la mano verso destra e poi giù. «E questa è la retromarcia.»

Su, sinistra, su. «Prima.» Giù. «Seconda.»

Su, destra, su. «Terza.» Giù. «Quarta.»

Lui annuisce, gli occhi fissi sulle nostre mani. «C’è un diagramma sul pomello» mi dice.

«Sì, ma mentre guidi non puoi guardarlo. Usa solo il tatto…» Provo di nuovo tutte le marce.

«Ho capito» mi dice.

Tiro via la mano. «Allora rimetti in folle…»

Snow toglie la mano per dare una sbirciata al pomello, poi sposta la leva.

«Troppe cose da tenere a mente, lo so, all’inizio viene un po’ il nervoso.»

«Chi ti ha insegnato a guidare?» mi chiede.

«La mia matrigna.»

«Anche a lei veniva il nervoso?»

«No. Lei era brava. Quello nervoso ero io. Dai, togli il freno a mano… è là.» Gli poso la mano sinistra sulla spalla e lo indico con la destra.

«Ha usato la magia?»

«Per insegnarmi a guidare?»

Armeggia con il freno. «Sì.»

«No. Hai conosciuto Daphne. Lei non ricorre quasi mai alla magia.»

«Però tu potresti, giusto?»

«Sì, ma tu non impareresti.» Gli rifilo una gomitata d’incoraggiamento. «Forza, James Dean, metti in moto.»

«Basta girare la chiave?»

«Sì, e dare un po’ di gas.»

Snow ruota la chiave, ma la macchina fa un balzo in avanti e si spegne. Mi reggo al cruscotto. «Bene.»

«Non è andata bene per niente, Baz.»

«Nessun problema. È normale. Dovevo controllare che fossimo ancora in folle. Prova di nuovo. Frizione. Folle. Accensione. Acceleratore.»

Questa volta la macchina va in moto senza intoppi. Simon dà una sgasata, mi guarda e ride, elettrizzato.

Gli concedo qualche istante di soddisfazione. «Ora partiamo. Adesso sì che viene il difficile.»

«È già difficile.»

«Ora tieni premuta la frizione, metti la prima, e poi premi piano l’acceleratore mentre rilasci la frizione.»

Scrolla la testa, come se stessi dicendo sciocchezze.

«La frizione ti permette di cambiare marcia» spiego. «E per spostarti devi avere la marcia inserita. L’acceleratore ti fa partire.»

«Allora, frizione, poi prima…» La mano gli trema, ma alla fine ci riesce. «…E poi acceleratore.» Scattiamo in avanti.

«Ottimo.»

«Dici?»

«Sì… però così andiamo contro quella cassetta della posta.»

Simon alza gli occhi dalla leva del cambio. «Che faccio?!»

«Sterza»

«Ah. Giusto.» Ruota di scatto il volante. «Oh. Scusa.»

«Tranquillo. Stai andando benone.»

«Perché sei così gentile con me? Quando ero davvero bravo a fare le cose, non eri mai così gentile. E ora che faccio schifo, invece…»

«È perché stai imparando. Continua a guidare.»

«Va bene. Arrivo in fondo alla strada?»

«In fondo alla strada, sì.»

«Tira fuori la bacchetta» mi ordina.

«Perché?»

«Per la peggiore delle ipotesi.»

«Non sarà necessario.» Gli poso la mano sulla spalla. Ha tutti i muscoli del torace in tensione. «Ora stai andando un po’ troppo veloce…»

«Scusa.»

«No, tranquillo… però lo senti? Vuole cambiare.»

«Chi vuole cambiare?»

«Il motore. Sta sforzando.»

«Ah, giusto. Sì. Allora devo…»

Inserisce dolcemente la seconda.

«Per Crowley, bravissimo, Snow.»

«Aspetta che riprovo…» E mette la terza. La marcia è un po’ alta, per un quartiere residenziale, ma è stato bravo lo stesso.

«Formidabile, Simon. Hai un talento naturale.»

«Sono stato bravo?»

«Sì, molto.»

«È più facile se non ci penso.»

«Me l’hai sempre detto.»

«Baz?»

«Sì.»

«C’è una macchina… c’è una macchina! Non so come si frena!»

Un eroe ribelle
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