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AGATHA
Non richiamo mai Penelope.
E poi chi usa il telefono per chiamare una persona? Chi lascia messaggi in segreteria?
Penelope Bunce. Ecco chi.
Le ho detto di inviarmi messaggi come fanno le persone normali. (Gliel’ho scritto, per l’appunto.)
«Ma tu non rispondi neanche ai miei messaggi» ha protestato lei.
«Sì, ma almeno li leggo, Penny. Quando mi lasci un messaggio in segreteria, invece, inorridisco e basta.»
«Va bene, allora dimmi cosa devo fare per ottenere una risposta, Agatha.»
A questo non ho risposto.
Perché niente di quello che le direi la accontenterebbe.
E perché mi sono lasciata alle spalle quel mondo! Inclusa Penelope!
Non c’è modo di lasciarsi alle spalle il mondo degli arcimaghi e restare in contatto con Penelope Bunce: lei è la più arci-magica di tutti. Vive per la magia. Non puoi neanche mangiare una fetta di pane abbrustolito senza che lei ti ammorbidisca il burro con un incantesimo.
Una volta ho spento il telefono per essere lasciata un po’ in pace, e quello ha suonato lo stesso quando Penelope mi ha inviato un messaggio.
BASTA MESSAGGI STREGATI! le ho scritto.
AGATHA! ha replicato lei. TORNI A CASA PER NATALE?
Non ho risposto. E non sono tornata a casa.
Per i miei è stato un sollievo, secondo me.
Il mondo degli arcimaghi è scivolato nel caos quando Simon ha ucciso l’Arcimago. (Sempre che non siano stati Penelope o Baz. Ancora non ho capito com’è andata.)
Per poco non ci rimettevo le penne anch’io, quel giorno, e non era la prima volta. Credo che i miei si sentano in parte responsabili (come è giusto che sia), per aver accolto da sempre Simon “il Prescelto” Snow nella nostra vita.
La mia esistenza sarebbe stata diversa se non fossi cresciuta considerando Simon come un fratello? Se sentimentalmente non fossi stata un rimpiazzo per lui?
Sarei finita lo stesso a Watford, a imparare trucchi di magia. Però non avrei vissuto anno dopo anno al punto zero.
QUANDO TORNI A CASA? mi scrive Penelope.
Non torno, sono tentata di rispondere. E poi che t’importa?
Io e lei non siamo mai state grandi amiche. Io ero sempre troppo snob per Penny, troppo superficiale, troppo frivola. Adesso mi vuole nella sua vita solo perché ero sempre stata lì, e lei si aggrappa al passato tanto disperatamente quanto io mi affanno a lasciarmelo alle spalle.
Ero lì prima che tutto andasse a rotoli.
Ma il mio ritorno non rimetterà certo insieme i pezzi.
«Non ci credo che bevi quella roba» commenta Ginger.
Ci siamo appena sedute a tavola e io ho ordinato l’unico tè nero del menù. «Nemmeno io» replico. «Vanilla Mint Earl Grey. Mio padre inorridirebbe.»
«Contiene eccitanti» insiste Ginger scrollando la testa.
Aggiungo un po’ di latte scremato. Quello intero non si trova mai, qui.
«E latticini» protesta ancora lei.
Ginger non beve altro che succo di barbabietola. Ha il colore del sangue, puzza di terra e, a volte, come adesso, le lascia dei baffi rosso vivo sul labbro superiore.
«Sembri un vampiro» dico. Anche se non somiglia per niente all’unico vampiro che conosco. Ha i capelli ricci e castani e la pelle scura punteggiata di lentiggini (sua madre è metà thailandese e metà brasiliana, suo padre è originario delle Barbados), gli occhi più luminosi e le gote più rosa di chiunque abbia mai conosciuto. Sarà la barbabietola.
«Sono attiva» mi dice, divaricando le dita.
«Quanto?»
«Almeno all’ottanta per cento. E tu?»
«Io sono ferma al quindici» replico. Una cameriera serve a Ginger la sua bowl di quinoa e a me l’avocado toast.
«Agatha,» continua Ginger «dici sempre quindici. Sono tre mesi che seguiamo il programma. Ormai dovresti essere attiva almeno al sedici per cento.»
Non mi sento per niente diversa. «Forse certe persone nascono inattive.»
Ginger schiocca la lingua. «Ma che dici! Non avrei mai fatto amicizia con un organismo inerte.»
Le sorrido. La verità, però, è che eravamo tutte e due piuttosto inerti, quando ci siamo conosciute. Per questo siamo diventate amiche, credo… ci muovevamo allo stesso modo, sempre ai margini della scena. Alle feste mi ritrovavo accanto a lei in cucina, durante i falò le finivo sempre seduta vicino nella zona buia della spiaggia.
A San Diego sto meglio di quanto sia mai stata alla Scuola di arti magiche di Watford. Non sento la mancanza della mia bacchetta. Né della guerra. Né del fingermi quotidianamente ansiosa di diventare una brava arcimaga.
Però non apparterrò mai a questo posto.
Non sono come i miei compagni. O come i miei vicini. O come le persone che conosco alle feste. Di amici Normali ne ho sempre avuti, ma non ho mai fatto caso a tutti i piccoli dettagli inconsci che rendono Normali le persone.
Tipo, quando sono arrivata qui mi sono resa conto di non sapermi allacciare le scarpe. Non ho mai imparato! Piuttosto, ho imparato la formula magica per farlo. Che adesso non posso utilizzare perché ho lasciato la bacchetta a casa.
Insomma, pazienza – mi lascio le scarpe allacciate o mi metto i sandali –, però ci sono un sacco di altre cose come questa. Devo stare attenta a come parlo. Agli sconosciuti. Agli amici. È facilissimo lasciarsi sfuggire una svista o una stranezza. (Per fortuna, di solito me la perdonano perché sono inglese.)
Ginger non ci fa caso se dico stranezze. Forse perché di cose strane ne dice di continuo anche lei. È appassionata di neurofeedback, cupping e digitopressione emotiva. Nel senso che, oltre a essere la tipica californiana, è una credulona.
«Qui non mi sento a mio agio» mi ha detto una sera. Eravamo sedute sulla riva, i piedi lambiti dalle onde. Di nuovo escluse dalla festa. Indossava una canottiera color pesca e reggeva in mano un bicchierino di plastica rossa. «Non c’è un posto in cui mi senta a mio agio, veramente.»
È stato come se mi avesse letto dentro. L’avrei quasi baciata. (A volte vorrei averlo desiderato davvero. Sarebbe stata una risposta alla… domanda su di me. Così avrei potuto dire: «Ah, ecco chi sono. Ecco perché ero così confusa».)
«Idem» ho replicato.
La volta dopo, mentre la festa impazzava senza di noi, io e Ginger ce ne siamo andate a comprare i tacos.
E la volta dopo ancora, abbiamo saltato il party e siamo andate dritte a mangiare i tacos.
Ci sentivamo ancora a disagio e smarrite, ma era bello esserlo insieme.
Era bello sentirsi smarrite in compagnia di un’amica.
Il telefono di Ginger suona e mi ricorda che non è più smarrita.
Lei risponde e sorride, significa che è Josh, e comincia a scrivere una risposta. Mangio il mio toast all’avocado.
Mi vibra il cellulare. Lo estraggo dalla borsa e protesto. Penny ha finalmente trovato il modo di costringermi a rispondere.
AGATHA! VENIAMO A TROVARTI! IN VACANZA!
CHE COSA? rispondo. QUANDO? E poi – avrei dovuto dirlo prima – NO.
TRA DUE SETTIMANE! scrive Penny. SÌ.
PENELOPE, NO. NON SARÒ A CASA. È vero. Io e Ginger andremo al Burning Lad Festival.
TU MENTI risponde Penny.
«Ahhh!» sta dicendo Ginger. Che poi diventa «Ahhh-gatha!»
Alzo lo sguardo. Ginger mi sventola il telefono davanti come fosse un biglietto della lotteria.
«Che c’è?»
«Josh ci fa partecipare al ritiro dei NowNext!»
«Ginger, nooo…»
«Ha detto che si occuperà lui delle spese della camera e di tutto il resto.» Josh ha trentadue anni. Ha inventato un dispositivo che ti permette di usare il telefono come termometro. O, almeno, faceva parte del team che lo ha inventato. Comunque. Copre sempre lui le spese di qualcosa. La camera, il conto, il concerto. Ginger non riesce mai a impedirglielo.
«Ginger, quella è la settimana del Burning Lad!»
«Possiamo andarci l’anno prossimo, al Burning Lad; il deserto ci sarà ancora.»
«Perché, Josh no?»
Lei mi guarda immusonita. «Sai quant’è esclusivo quel ritiro.»
Mescolo il tè. «Veramente no…»
«Solo i membri ufficiali possono portare degli ospiti. E in genere soltanto uno. Ho pregato Josh di far entrare anche te.»
«Ginger…»
«Agatha…» Si interrompe per mordersi il labbro e arricciare il naso, come se fosse sul punto di dirmi qualcosa di importante. «…Credo che salirò di livello. Al ritiro, intendo. E ci tengo che ci sia anche tu.»
Per Crowley, ma certo. L’avanzamento di livello. Josh e i suoi amici sono ossessionati dal desiderio di salire di livello e massimare il potenziale. Se proponi un brunch, ti rispondono: «Cambiamo il mondo, piuttosto!»; «Scaliamo una montagna!»; «Procuriamoci i posti migliori al concerto degli U2!».
NowNext è il nome del loro circolo esclusivo. Una specie di Weight Watchers per ricconi. Si incontrano regolarmente e dicono a turno di sentirsi “attivi”. Ho partecipato a un paio di riunioni con Ginger e per lo più sono state una noia. (Anche se gli stuzzichini sono sempre di prima qualità.) Al termine di ogni incontro, i membri anziani si chiudono in una stanza per scambiarsi i loro saluti segreti o roba del genere.
Ginger ancora non crede alla fortuna che ha avuto conoscendo Josh. È un uomo affermato, ambizioso e in piena forma fisica.
«Il mio ultimo ragazzo era un barista, Agatha!»
«Anche tu sei una barista, Ginger. Per questo vi siete conosciuti.»
Non si capacita di cosa Josh possa vedere in lei. In effetti temo che non veda proprio niente in lei. Che veda soltanto quello che vedono tutti. E cioè che è giovane e bella. E che a braccetto con lui fa un figurone.
Ma che ne so io? Magari sono fatti l’uno per l’altra, invece. A quanto pare, amano entrambi parlare di fitonutrienti e di picchiettamento dei meridiani energetici. E in questi giorni Ginger ha davvero l’aria di essere attiva all’ottanta per cento.
Io invece non credo che avanzerò mai di livello.
Però se è questo che Ginger vuole, immagino di poterla accontentare. È l’amica migliore che mi sono fatta qui. E resterà mia amica anche se rimarrò attiva solo al quindici per cento (e magica al di sotto del quindici per cento). Sospiro. «Va bene, vengo anch’io.»
Ginger strilla di gioia. «Sì! Sarà uno sballo!»
Sento vibrare il telefono e guardo lo schermo. Di nuovo Penelope: POI TI CHIAMO, COSÌ CI METTIAMO D’ACCORDO.
Infilo il cellulare nella borsa senza risponderle.