30

PENELOPE

Nel giro di un’ora riacquisto i poteri. Da quando ci siamo rimessi in strada, non ho fatto che mormorare formule battendo l’anello sulla gamba. Di colpo un: «Puro come l’aria!», sembra fare effetto e comincia a strofinarmi pelle e cute ripulendomi ben bene. Prima che l’incantesimo finisca, ho già la mano serrata attorno alla gola del Normale.

Lui si limita a una smorfia, tutto lì. Mi sa che se lo aspettava. «A quanto pare siamo usciti dalla Zona Silente» commenta.

Gli conficco il pollice nella carne. «È un pugnale questo che vedo?»

Ha un coltellino che gli esce dal giubbotto, eppure non fa una piega e non emette alcun bagliore.

Provo un’altra formula per svelare le sue intenzioni: «Dimmi un colore e ti dirò chi sei!».

Il Normale si accende di viola, e questo mi delude un po’. L’azzurro è innocuo, il rosso rappresenta il pericolo, ma il viola è il risultato più comune: le persone vogliono quasi tutte qualcosa da te.

Dal retro del furgone sento Baz gettare incantesimi per renderci invisibili, difficili da seguire. Magia seria. A quest’ora avrà esaurito le risorse.

«Non voglio farvi del male» dice il Normale. «E nemmeno esporvi a rischi.»

«Ci esponi anche solo guardandoci e sapendo quello che siamo!»

«Potrei esservi utile.» È straordinariamente calmo. «Potrei mostrarvi…»

«Ci hai allontanato dalla nostra magia per farci finire dritti in una trappola!»

«Quello è stato un incidente!»

«Ah sì?» Digrigno i denti. «Tu sapevi che avremmo esaurito i poteri.»

Il Normale assume un’aria colpevole. Ho ancora la mano stretta attorno alla sua gola. Ha la pelle un paio di tonalità più scure della mia e porta al collo una catenina d’oro. «Vi stavo solo seguendo» spiega, in tono un po’ più ansioso, adesso. (Fa bene a essere in ansia.) «Pensavo foste stati voi a farmi lasciare la superstrada. Come potevo sapere che non avevate idea di quel che facevate?»

«E, sentiamo, perché avresti seguito tre mostri lontano dalla civiltà?»

Si stringe nelle spalle. «Per curiosità?»

Soffio fuori l’aria attraverso i denti. Serro la presa. «Se davvero è stato un incidente, come facevano le creature oscure a sapere dove trovarci?»

«Non siete stati molto discreti» replica il Normale gettandomi un’occhiata. «Avete lanciato una decina di incantesimi e ucciso sette vampiri a una fiera rinascimentale. Alla luce del sole! Quei posti pullulano di tipi magici.»

«Come fa un essere dotato di magia a voler frequentare un posto del genere?» domando. «È una farsa bell’e buona… per noi è stato un insulto!»

Il Normale si mette a ridere. Sotto il pollice avverto le vibrazioni della sua gola.

Mi sento ridicola. L’intera situazione è ridicola. L’intero Paese. Mollo la presa e appoggio la schiena al sedile.

Simon mi fissa dal finestrino alle mie spalle. È abbarbicato a Baz. «Dove stiamo andando?»

«Più avanti c’è una città» risponde il Normale. «Scottsbluff.»

«Sapranno che stiamo andando là» commenta Simon.

Il Normale lo guarda dallo specchietto retrovisore e alza la voce per farsi sentire: «Forse, ma saremo più al sicuro. Per strada. In città. Bene in vista».

«D’accordo,» replica Simon «però dobbiamo fermarci un attimo.» Poi si rivolge a me. «Baz…»

«Accosta» ordino.

«Tra cinque minuti c’è un’area di sosta» replica il Normale. «Una riserva.»

SIMON

Dietro c’è troppo rumore, non si riesce a parlare.

Mi accosto ancora di più a Baz, finendo per metà in braccio a lui, in attesa di superare lo choc di essere ancora in vita. Lui mi stringe, anche se un po’ troppo energicamente. In genere mi scordo che è molto più forte di me. Non si comporta mai come se lo fosse. Non mi tocca per dimostrare di esserlo. Non mi strattona, non mi spinge. Per lo meno non con più forza di quella che userei io per reagire.

Mi avvicino ancora.

La sua voce è impastata, stremata. «Dovresti portare al collo la croce.»

«Ci siamo già passati… rischio volentieri un morso.»

Baz serra ancora di più le braccia. Fatico un po’ a respirare.

«Non lo farei mai» mi dice.

«Lo so.»

Pochi minuti dopo, ci fermiamo in un’area di servizio. Lui scende per andare a caccia e io per fare pipì. Dopo alcuni tentativi, Penny lancia un incantesimo su un distributore automatico di cibo e io agguanto una bracciata di patatine e dei crackers al formaggio.

Penny si appoggia con la fronte al vetro del distributore. «Sto esaurendo le energie. Ora come ora non riuscirei a pronunciare neanche la formula più semplice.»

Annuisco. «Lo stesso vale per Baz. Ha usato tutto il suo potere per nasconderci. Di Shepard possiamo fidarci?»

Lei mi allontana dalla macchinetta e scuote la testa. «La magia mi dice di sì, l’istinto di no. Sa troppe cose, Simon, com’è possibile? Ci conviene lasciarlo qui e rubargli il furgone.»

Sono parole dure. «Ci ha salvato. E poi non sappiamo nemmeno dove siamo diretti.»

«Va bene» replica lei. «Ma alla prossima fermata lo seminiamo. Rubiamo l’auto a qualcun altro e lo intontiamo con un incantesimo.»

Mi passo la lingua sulle labbra e annuisco.

Baz è più calmo, quando risale sul furgone. Però ha ancora l’aria sconvolta. I capelli sono più arruffati che mai e la bella camicia è a brandelli e tutta macchiata di sangue. Sembra un angelo caduto in disgrazia. (Che in questo caso sarebbe un demone.)

Si siede accanto a me, e io batto le nocche sul finestrino posteriore. Partiamo. Il motore era già in moto.

Passo delle patatine a Baz. «Tutto bene?»

«Ho fatto vacanze migliori, Snow.»

Lo cingo con il braccio… l’atmosfera è cambiata, non sono più tanto sicuro di poterlo fare. «Ah sì?» chiedo.

Lui abbassa lo sguardo e sorride… come una ragazzina, mi verrebbe da dire, solo che Baz non è una ragazzina. Ha un’aria vulnerabile, ecco cosa. Avvicina la bocca al mio orecchio per farsi sentire. «La Bunce ce l’ha, un piano?»

Annuisco. «Arrivare in Colorado, seminare il Normale, riorganizzarci.»

«Dobbiamo riposarci» mi dice.

«Sì, come prima cosa.»

«Forse ci conviene tornare a casa.»

Baz si avvicina di più, sento la sua schiena sotto il mio braccio. La sua spalla nel mio palmo. «Sì» replico. «Forse sì.»

PENELOPE

«Quante ore mancano a Denver?»

Il Normale mi guarda storto. Da quando siamo ripartiti dopo la sosta, ha gli occhi fissi sulla strada e le labbra cucite. «Tre.»

«E siamo usciti dalla… Zona Silente, giusto?»

«Sì. Non è molto grande. Non sono rimasti tanti posti disabitati, nemmeno da queste parti.»

«Chi…» Rifletto su quello che voglio chiedergli e se sia il caso di incoraggiare la conversazione. «Chi detta le regole?»

Mi getta un’altra occhiata e sorride. Anche se non lo definirei un sorriso gentile, non ha nulla di palesemente malvagio. Penso a qualche altro incantesimo difensivo che potrei lanciargli, ma ho esaurito la magia. Un tempo Simon mi chiedeva che cosa si provasse a sentirsi svuotati. Quando Simon aveva ancora il suo potere, non era mai a corto di magia.

È come perdere la voce, gli dicevo. Sapere che ti restano ancora poche parole prima che ti sparisca del tutto. L’unico modo per riaverla è riposare. E aspettare.

Certi maghi lanciano incantesimi potenti solo quando ne hanno assoluto bisogno. Ecco che cosa ci insegnava l’Arcimago: risparmiate la magia per difendervi.

Mia madre, invece, mi insegnava a lanciare incantesimi potenti ogni giorno. A impiegare la magia con audacia. «Rinforza i polmoni» mi diceva. «Scava un pozzo più profondo per le tue riserve. Allena il corpo a contenere più magia e a trasportarla.»

La giornata di oggi avrebbe esaurito le scorte anche a un potente arcimago. Ho dato fondo a tutto quello che avevo contro quei vampiri, e poi a tutto quello che non avevo per la fuga da Carhenge. (Ho chiesto notizie delle macchine al Normale. Mi ha spiegato che si tratta di arte popolare. Un’attrazione che si può ammirare dal ciglio della strada.)

Comunque, il massimo che potrei fargli al momento è infastidirlo.

«Sai che c’è» mi fa, con quel sorriso privo di malignità che però sembra dire “guarda che con me non attacca”. «D’ora in poi tu mi fai una domanda e io te ne faccio un’altra.»

«Sai che c’è» ribatto. «D’ora in poi tu rispondi alle mie domande e io evito di trasformarti in un tritone.»

«Può andare anche così.» Si aggiusta sul sedile per stare più comodo.

Ora che non siamo più in una situazione di emergenza, mi rendo conto di non averlo ancora guardato bene. È alto. Alto almeno quanto Baz. E allampanato. A Watford i ragazzi neri si rasavano i capelli quasi a zero, ma i suoi sono più lunghi, con una folta massa di riccioli in cima alla testa.

Porta abiti un po’ strani. Mi viene il dubbio che sia il suo travestimento per il festival rinascimentale. Indossa pantaloni di velluto verde a coste larghe, tutti logori sulle ginocchia, e un giubbotto di jeans pieno di spille e distintivi smaltati. Ha anche il viso lungo e allampanato – un viso può essere allampanato? – e un paio di occhialetti dorati alla John Lennon. È ancora coperto di polvere.

«Insomma, io non so tutto» risponde. «Ma, da quello che vedo, le Zone Silenti si formano naturalmente. Niente persone? Allora niente incantesimi. Tra i primi immigrati c’erano alcune di queste creature magiche. In patria ne avevano di cose da cui fuggire, giusto? Così sono venute nelle Grandi Pianure e, d’accordo, qui c’erano già Parlanti nativi e altre creature, però c’era anche una marea di spazio. È stato solo con l’arrivo dei Parlanti irlandesi e tedeschi che sono cominciati i guai seri. A un certo punto, tutti hanno deciso di tenersi alla larga gli uni dagli altri. E le Zone Silenti sono rimaste alle creature. Tanto i Parlanti non le avrebbero volute comunque; loro hanno preferito restare vicino ai Parlatori.»

«Che cos’è un Parlatore?» domando.

«Quello che voi chiamereste un Normale. È uno come… me.»

«Ho capito. Quindi… dobbiamo stare in aree densamente popolate?»

«Di regola sì. Cioè, oggigiorno le creature magiche sono dappertutto; i luoghi silenti sono troppo pochi e non bastano a contenerle. Ma questo per voi è un bene. Il Nebraska occidentale è l’unica Zona Silente a est delle Montagne Rocciose. Tra qui e la California ce ne sono altre due o tre.» Mi guarda. «È lì che siete diretti? A ovest?»

Non rispondo.

«So che non siete veramente in vacanza. Cos’è, una missione, la vostra, siete in cerca di qualcosa?»

«Se fosse una missione, saremmo più preparati.»

«State fuggendo, per caso?»

«In questo momento sì» replico secca.

Lui mi si accosta, le braccia aggrappate al volante. «Io potrei esservi di aiuto. Non dovete preoccuparvi solo delle Zone Silenti. Come ho detto, ormai ne sono rimaste poche. Qui le regole magiche cambiano ogni otto chilometri circa. E poi ci sono i vari boss. Potreste innervosire qualcuno di ben peggiore di Jeff Arnold.»

«Chi è Jeff Arnold?»

«L’uomo-puzzola.»

«Si chiama Jeff

«Come pensavi che si chiamasse, Flower

«Come sai tutte queste cose?» Alzo di nuovo la mano con l’anello. «Davvero sei un Normale?»

Shepard stacca entrambe le mani dal volante. «Fino al midollo. Posso definirmi lo stereotipo degli stereotipi.»

Mi viene da ridere. Giusto un pochino. Non so perché. Sono molto stanca.

Ride anche Shepard. Forse per il sollievo. Non sentirti troppo sollevato, Normale. Ti fermerei comunque il cuore, se ti giudicassi pericoloso.

«Allora come sai tutte queste cose?» ripeto.

Mi guarda di nuovo, come se volesse fare il serio, indurmi a crederlo tale. «Le so perché sono il genere di persona che segue streghe e vampiri fuori dalla strada principale.»

«Sei stato incredibilmente stupido» commento.

«Lo so.»

«Avremmo potuto ucciderti.»

«Sì, lo so.»

«Potremmo farlo anche adesso, in qualunque momento.»

«Ho capito, fidati.»

«Allora perché? Lavori per qualcuno?»

«Dick Blick.»

«Chi è? Un altro uomo-puzzola tutore della legge?»

«No. È un negozio. Vendiamo matite e colori costosi.»

«Quant’è frustrante, non mi stai dicendo niente!»

Baz mi sente alzare la voce e sbircia nell’abitacolo. Io scuoto la testa. Ora anche Simon, spronato da Baz, mi fissa dal finestrino. Rispondo con il messaggio in codice dei pollici alzati, ovvero “Tutto bene”. (È di un’ovvietà unica, ma i codici più criptici servono solo quando non si sta bene.)

«Ti sto dicendo tutto, invece» replica il Normale. «Ho risposto a ogni tua singola domanda.»

«E allora come sai delle streghe e dei vampiri?»

«Tutti sanno delle streghe e dei vampiri!»

«Sì, ma come fai a sapere di noi

«Non so niente di voi, Streghetta. Mi piacerebbe, però. Muoio dalla voglia di sapere. Tre nuovi Essemagari compaiono praticamente dietro casa mia e si trasformano in Buffy l’ammazzavampiri davanti a mezza contea di Sarpy… oddio, è questo che siete, degli assassini?»

«No, ma come ci hai chiamati, un attimo fa… “e se magari”?»

«Essemagari. Esseri magici. È così che quelli come me chiamano quelli come voi.»

Mi stringo la fronte per evitare che mi scoppi. «I Normali americani hanno un nome per quelli come noi? Diamine, è una vera catastrofe.»

«Non tutti i Normali. Solo quelli come me.»

«Come te…» Serro le labbra. «Cioè quelli irritanti e imprudenti?»

«Quelli che sanno della magia. Io faccio parte di una comunità virtuale…»

«Oh, cazzo.» Mi affloscio sul sedile.

«Ehi. Ti senti bene? Qualcosa non va?»

«Tutto, a quanto pare. Mia mamma aveva ragione sull’America. E anche su internet.»

«Credevate davvero di poterci tenere all’oscuro per sempre?» Il Normale si sta infervorando. O è sincero o è particolarmente astuto. «Il mondo è pieno di magia! Guardati intorno, questi campi sono pieni di folletti! E voi pretendete che facciamo finta di niente?»

«Sì! La nostra sicurezza dipende essenzialmente da questo!»

«Tu lo faresti? Se fossi Normale, intendo.»

«Io non potrei mai essere Normale.»

«Potresti sempre…»

Raddrizzo la schiena. «No, non sarei più io.»

«Prova solo a immaginarlo, intendo…»

«È inimmaginabile! Un po’ come chiedermi: “Che cosa proveresti se fossi una rana?”. Be’, non sarei più io, giusto? Sarei una rana. Le rane provano qualcosa?»

Shepard scuote la testa. Adesso sono io a essere ridicola. «I Normali provano qualcosa eccome, ti assicuro. Noi non saremo come voi, d’accordo, ma abbiamo occhi e orecchie. Notiamo le cose, sai?»

«Per mia esperienza, non sempre.»

«Io le noto» ribatte lui e, puntando l’indice sul petto, mi fissa da sopra gli occhiali. A quanto pare si è dimenticato di dover guardare la strada. «Senti, io non so niente di te come persona. Perché non hai risposto a nessuna delle mie domande. Ma se non sapessi dell’esistenza della magia, se fossi nata Normale o fossi semplicemente ignara, e a un certo punto notassi qualcosa di magico – se fossi testimone di un miracolo – faresti finta di niente? Se intravedessi un mondo segreto, fingeresti che non fosse mai successo nulla? Oppure passeresti il resto della vita a cercare un varco?»

Non riesco a elaborare quello che mi sta dicendo. Non riesco a pensare ad altro che al pericolo che stiamo correndo. «Quindi è questo che fai, cerchi dei passaggi per entrare nel nostro mondo?»

«Sì, cavolo, e ne ho già trovato qualcuno.»

Ora sono io a scuotere la testa.

«La cosa ti infastidisce?» domanda.

«Sì!»

«Perché?»

«Perché… non sono affari tuoi. Non è il tuo mondo, è il nostro. Non hai il diritto di conoscere i nostri segreti!»

«Cos’è che lo rende solo vostro?»

«In che senso? È ovvio.»

«Non per me. Che cosa rende la magia solo vostra?»

Scoppio a ridere. «Noi siamo magici… E voi non lo siete.»

Si volta del tutto a guardarmi. «Noi siamo fatti di magia. Senza la nostra magia, voi sareste meno che Normali. Sareste inutili.»

Un eroe ribelle
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