14
BAZ
La Bunce ha decisamente qualcosa che non va. Si è accasciata sul sedile posteriore come un coniglio morto. Ma non riesco a occuparmene per il sole, il vento e per il fatto che sono molto impegnato a compilare una lista.
Lista delle cose che odio.
- Il sole.
- Il vento.
- Penelope Bunce quando non ha un piano.
- I panini americani.
- L’America.
- La band America. Di cui un’ora fa ignoravo l’esistenza.
- I Kansas, altra band che ho scoperto da poco.
- Lo stato del Kansas. Che non dista poi molto dall’Illinois, per cui dev’essere altrettanto squallido.
- Lo stato dell’Illinois, questo è poco ma sicuro, cazzo.
- Il sole negli occhi.
- Il vento nei capelli.
- Le decapottabili.
- Me stesso, più di ogni altra cosa.
- Il mio cuore tenero.
- Il mio sciocco ottimismo.
- Le parole “viaggio” e “macchina”, se pronunciate insieme in tono minimamente entusiasta.
- Essere un vampiro, se vogliamo dirla tutta.
- Essere un vampiro a bordo di una decapottabile del cazzo.
- Un vampiro assetato fino al delirio e a bordo di una decapottabile in pieno giorno. In Illinois, per giunta, dove il sole sembra battere più che in qualunque altro posto del globo.
- Il sole. Chilometri e chilometri più vicino a Minooka, Illinois, che a Londra, nella beata Inghilterra.
- Minooka, Illinois. Un posto da incubo.
- Gli occhiali da sole. Una schifezza.
- Questo sole di merda! Abbiamo capito: sei luminosissimo, cazzo!
- Penelope Bunce, che ha avuto l’idea. Un’idea senza un piano. Perché le importava soltanto vedere quel fesso del suo ragazzo, che evidentemente ha mandato tutto all’aria. Cosa che tutti avremmo dovuto aspettarci da uno che viene dall’Illinois… terra di dannati, un luogo che riesce a essere contemporaneamente caldo e umido. L’inferno te lo aspetti caldo, d’accordo, ma di certo non anche umido. È questo che lo rende un inferno, l’effetto sorpresa! Il diavolo è astuto!
- Penelope “Genietta” Bunce.
- E le sue stupide idee. «Farà bene a tutti e tre» diceva; ma io non sentivo altro che “farà bene a Simon”. Per Crowley… Forse aveva ragione, però. Guardalo lì. Felice come un maiale nel fango. Felice come uno che ha subito l’incantesimo del “Maiale nel fango”… un incantesimo che negli ultimi sei mesi sono stato tentato di lanciargli numerose volte. Perché sono proprio stufo, eppure non so come… insomma, non c’è niente… Non c’è modo di guarirlo.
- L’Arcimago. Che riposi in ambasce.
- Penelope… per averci forse visto giusto su Simon. E l’America. E questa squallida decapottabile. Perché guardalo lì… Giù dal divano, fuori dall’appartamento. Sopra l’oceano, sotto il sole. Simon Snow, fa male guardarti quando sei così felice. E fa male guardarti quando sei depresso. Vederti è sempre un rischio per me, in te non c’è nulla che non mi strappi il cuore dal petto per poi lasciarlo lì, in tutta la sua fragilità, fuori dal mio corpo.
Simon mi guarda. «Che c’è?»
«Niente» rispondo.
«Come?!» grida. Tra il vento, il motore e la musica classic rock, non sente una parola di quello che dico.
«Odio questa macchina del cazzo!» grido io di rimando. «Il sole mi sta arrostendo! Rischio di prendere fuoco da un momento all’altro!»
Ha i capelli lisciati dal vento e gli occhi semichiusi, per il sole e per il sorriso perenne. «Che c’è?!»
«Sei bellissimo!» gli urlo.
Abbassa il volume della radio, e adesso gli unici ostacoli sono il vento e il rumore del motore. «Che hai detto?!»
«Niente!»
«Tutto okay? Sei un po’ pallido!»
«Sto bene, Snow… guarda la strada!»
«Vuoi che tiri su la capote?»
«No!»
«Adesso la alzo!» E mette mano alla leva.
«Aspetta!»
Sento un cigolio metallico, mi volto e vedo la capote alzarsi di una quindicina di centimetri e poi bloccarsi.
«Lo facciamo dopo a mano!» grida Simon. «Appena accostiamo!»
La capote è irrimediabilmente bloccata.
In ginocchio sul sedile posteriore, Simon non fa che strattonarla, ma quella non si sposta.
«Non credo che si possa alzare durante la marcia» commento.
«Lo fanno sempre nei video musicali» dice, tirandola dal lato opposto «e nei film di James Bond.»
Sono esausto, ustionato e affamatissimo. E sul punto di entrare in un centro commerciale pieno di potenziali donatori di sangue. L’unico vantaggio della decapottabile è che non posso sentire l’odore di Simon e Penny, mentre siamo in movimento…
Anche se ormai so benissimo che odore hanno, quando ho sete. Simon ha l’aroma della cucina dopo che hai cotto i popcorn e fuso il burro. Un lieve sentore di bruciato unito a quel non so che di corposo, unto e giallognolo che ti resta appiccicato al palato. La Bunce ha un profumo più pungente e più dolce: aceto e melassa. Una volta si è sbucciata un ginocchio, e le narici hanno continuato a pizzicarmi per ore.
Non credo che gradirebbero conoscere le mie riflessioni sul sapore che avrebbero, ma sono convintissimo di far loro un favore a non bermeli. A non bermi nessuno, veramente. Ora come ora ho una sete che non ci vedo, ma fino al tramonto non posso cacciare. Quindi me ne andrò a cena in un centro commerciale e tutti rimarranno in vita.
«Dai, Snow, il cheesecake aspetta.» La Bunce è già dentro. È entrata nel ristorante non appena abbiamo parcheggiato.
«Non possiamo lasciare la capote abbassata. Non puoi usare la magia per rialzarla?»
«Certo, conosco una decina di formule ripara-capote.»
«Bene.»
«Sto scherzando. Non c’è una formula per ogni cosa… a Watford ce lo ripetevano di continuo, ricordi?»
Simon scende dall’auto. «Già, rimpiango di non essere stato più attento a scuola di magia, magari sarei diventato davvero qualcuno.» Sento del risentimento nella sua voce, ma quando si volta a guardarmi scoppia a ridere.
«Che c’è?»
Distoglie lo sguardo e nasconde la bocca.
«Perché ridi?»
Abbassa gli occhi e agita la mano verso di me. «I tuoi… i tuoi…»
Rifiuto di guardarmi allo specchio. «I miei cosa, Snow?»
«I capelli.»
Rifiuto di toccarli.
«Sembri quel tizio con la parrucca…» Finge di suonare il piano. «Ta, ta, ta, taaa.»
«Beethoven?»
«Non so come si chiama. Quello col parruccone. Ci hanno fatto anche il film.»
«Mozart. Vuoi dire che somiglio a Mozart.»
«Devi assolutamente guardarti, Baz, hai dei capelli da urlo.»
Non ci penso neanche. Punto verso il centro commerciale, sicuro che Snow mi stia seguendo.
Sembro Mozart. O l’esponente di un gruppo hair metal. (Ho anche una strana abbronzatura, ma non voglio rischiare di peggiorare le cose con la magia.) Punto la bacchetta sui capelli e lancio un: «Tutto in ordine!». Ma siccome non funziona, metto la testa sotto il rubinetto.
Per fortuna ho il bagno della Cheescake Factory tutto per me.
Per cena avrei preferito un ristorante vero. A Des Moines, Iowa, ce ne devono essere tanti. Ma Simon voleva qualcosa di famoso, qualcosa di “notoriamente americano”. E appena ha visto il cartello della Cheescake Factory non c’è stata più discussione.
Quando esco dal bagno, sembro ancora il membro di un gruppo anni Ottanta, anche se un po’ meno metal, magari. Uno tipo i Bucks Fizz o gli Wham! (La mamma andava pazza per gli Wham!)
Trovo Snow e la Bunce seduti a un grosso tavolo con le panche in vinile. Simon ha monopolizzato il cestino del pane e sfoglia un menù così lungo da essere rilegato con la spirale. Penny è seduta davanti a lui: ho visto zombie più animati.
«Questo menù è incredibile» dice Simon. «Ha una pagina intera dedicata alla taco salad. I “macaroni and cheese”, tradizionali o fritti. E il pollo cucinato in mille modi… guardate, c’è anche il pollo all’arancia.»
Mi siedo accanto a lui. «Com’è fatto il pollo all’arancia?» chiedo.
«Lo dice il nome stesso, presumo. Con l’arancia.»
Quando arriva la cameriera, ordino una bistecca più cruda possibile. Snow chiede un “American Burger”. E la Bunce dice: «Quello che hanno preso loro».
«Bistecca o hamburger?» domanda la cameriera.
«Penny, tu non lo mangi, il manzo» le ricorda Simon.
«Ah, allora prendo… quello che prendono tutti.»
«Piacciono molto i Buffalo Blasts» dice la cameriera.
«Il bufalo non è sempre manzo?» mi chiede Snow.
Mi stringo nelle spalle. Non m’intendo di bufali.
«È pollo condito con salsa buffalo» spiega la cameriera.
«Bene» dice Penny.
«Vorrà dire che scarterà la salsa…» borbotta Simon appena la cameriera si allontana.
La Bunce è in stato catatonico, d’accordo, ma bisogna proprio che discutiamo del nostro piano. Rivoglio indietro la vecchia Bunce. Con i diagrammi e la lavagna. «Allora, a quanto ho capito stanotte non abbiamo un posto dove dormire.»
Io e Snow aspettiamo che lei ci risponda. Sta fissando un punto compreso tra il cestino del pane e la spalla di Simon.
«E va bene. Passami il tuo telefono, Bunce, cerco un albergo… Bunce?… Penelope.» Finalmente mi guarda. «Mi dai il tuo cellulare?»
«È in macchina, scarico. Non sono riuscita a ricaricarlo.»
«Il tuo dov’è?» mi domanda Simon.
«All’estero non funziona.»
«Perché non hai fatto il passaggio?»
Non l’ho fatto perché il contratto è a nome dei miei genitori, e non volevo che sapessero della mia partenza, ma a Simon non lo dico. Piuttosto, replico: «Tu l’hai fatto?».
«No. Ero convinto che ci avreste pensato tu e Penny.»
La Bunce abbassa lo sguardo.
«Penelope? Stai bene?» le domanda Simon.
«Evidentemente no» sussurro.
«Penelope?»
«Voglio andare a casa» sbotta lei.
Simon si appoggia allo schienale. «Cosa?»
«È stato tutto uno sbaglio.» Adesso sembra aver recuperato la spavalderia di sempre, ma sotto c’è una vena di follia che non mi piace. «Non ci ho riflettuto abbastanza. Scusate.»
«Possiamo farlo?» domando. «I nostri biglietti…»
«Un incantesimo per cambiarli esisterà pure, no?» replica lei.
«Non c’è una formula per ogni cosa» commenta Simon in tono poco simpatico.
Lei scrolla le spalle. «Vorrà dire che ne compreremo degli altri.»
Sbuffo. «Già questi li abbiamo rubati!»
La Bunce non si lascia scoraggiare: «Puoi sempre acquistarli tu, Baz, ricco come sei».
Non è da lei sbattermi in faccia il fatto che ho i soldi. «Vivo grazie alla paghetta dei miei genitori e non posso usare la Visa. I miei non sanno neanche che sono qui.»
«Bene, nemmeno i miei sanno che sono qui.»
Simon ci resta male. «Perché non l’avete detto ai vostri genitori?»
«Perché era una pessima idea, Simon» risponde Penny, e la voce le si incrina. «E non ci avrebbero dato il permesso!»
Simon appoggia i gomiti sul tavolo e la fronte sulle mani. «Saremo in grado di pagare almeno la cena?»
«Quella la pago io. Però i biglietti aerei non posso comprarli. E non possiamo continuare a rubare. Un conto è un errore di gioventù, su quello forse la Congrega chiuderà un occhio. Ma così rasentiamo la follia criminale!»
«Ma quale follia criminale!» protesta Penny. «Mica rapiniamo banche e assassiniamo persone.»
«Be’, non ancora!» ribatto.
«Io…» Le tremola il mento. «Io ero convintissima che avrebbe funzionato. Ero…» Chiude gli occhi, spalanca la bocca, fa un respiro profondo e poi espira l’aria dal naso risucchiando le labbra all’interno della bocca. Capisco solo dopo che si sta sforzando di non piangere. «Ero convinta che parlargli di persona sarebbe stato diverso. E lo è stato, infatti. Diversissimo.»
«Ti riferisci a Micah?» chiede Snow.
«E a chi, sennò?» intervengo io.
Simon continua a interrogarla. «Ti ha mollata?»
«Be’, no» risponde lei con un filo di voce. «A quanto pare lo aveva già fatto da un pezzo. Solo che io non avevo recepito il messaggio.»
«Oh, cavolo» mormora Simon. Ci appoggiamo tutti e due allo schienale, come se volessimo sottrarci all’orrore della notizia. Come se la Bunce fosse di colpo contagiosa.
E so che questo fa di me uno stronzo, ma il mio primo pensiero è che io e Simon siamo stati risparmiati. Come se il Cupo Mietitore di relazioni si fosse portato via per sbaglio Penelope e Micah al posto nostro.