7. DALLA GRAVE RECESSIONE ALLA RIPRESA ECONOMICA.
Il Giappone, tra la fine della seconda guerra mondiale e l'ultimo scorcio del Novecento, da Paese con un apparato industriale ridotto del 70 per cento è diventato la seconda potenza economica del mondo. Questo percorso è stato costellato da grandi successi e da crisi che comunque l'economia giapponese ha sempre superato brillantemente. Tuttavia, la recessione, profilatasi nei primi anni Novanta con lo scoppio della "baburu economi" (v. cap. 9 par. 5) si è allentata soltanto nel 2005.
La contrazione della domanda interna - causata dalla diminuzione del monte salari dovuta alla crescita della disoccupazione e dalla contrazione dei «bonus» integrativi delle retribuzioni - non ha favorito la ripresa della produzione e del commercio interno. La risposta delle istituzioni economiche e finanziarie, pubbliche e private, per lungo tempo, non è stata risolutiva. Il Giappone è apparso (e appare tuttora) incerto nella scelta tra libero mercato e intervento statale, non optando con determinazione per la prima soluzione o l'altra.
Nel 1999, il mondo finanziario è stato percorso da una grave crisi, avviata dal fallimento di cinque banche a causa della inesigibilità dei prestiti concessi con estrema disinvoltura durante l'«economia della bolla». Nel settembre del 1999 le banche Dailchi, Fuji e Nihon sangyo si sono alleate per dare vita alla prima banca mondiale; all'inizio del 2000 le banche Sumitomo e Mitsubishi hanno formato un gruppo che si colloca al secondo posto nella classifica mondiale degli istituti di credito, superando anch'esso la Deutsche Bank e la svizzera U.B.S. Questa fusione ha in parte modificato le dinamiche interne ai due keiretsu di cui fanno parte. A questi profondi cambiamenti nel settore bancario, riscontrabili anche tra le società di assicurazione, si sono contrapposte le serie difficoltà del settore industriale. Tra i colossi dell'auto, la Toyota e la Mitsubishi hanno attuato drastiche riduzioni di personale. La Nissan, il cui acquisto del pacchetto di maggioranza da parte della Renault fece scalpore, ha attuato la chiusura di cinque stabilimenti e il taglio di 21000 posti di lavoro (pari al 17 per cento del personale). Inoltre, la persistente recessione ha favorito l'ingresso di capitali stranieri, seppure con pacchetti di minoranza, in molte società giapponesi.
La lunghissinma fase recessiva è stata superata nel 2005, con una crescita prevista per il 2006 del prodotto interno lordo intorno al 2-2,5 per cento. Pertanto, la Banca del Giappone ha deciso di abbandonare il «tasso zero», introducendo il tasso di interesse dello 0,25 per cento. Nel settore dell'auto, la Toyota, anche in conseguenza della crisi della General Motors, ha ripreso la sua corsa verso il primo posto nel settore.
Con la conferma di Koizumi Ichiro alla guida del governo con le elezioni del 2005, il Giappone tenta di perseguire la "kokusaika" (internazionalizzazione), ma l'armonizzazione tra globalizzazione/liberalizzazione e politica economica tradizionale non appare semplice, a causa delle resistenze del mondo economico e finanziario e della potente burocrazia ministeriale. Un primo passo in direzione del cambiamento è stato compiuto nel marzo del 2006, con l'approvazione di una legge di riforma amministrativa che riduce il numero dei funzionari civili, avvia la vendita di società pubbliche e riforma le organizzazioni finanziarie pubbliche.
All'interno della società, se appare superata la paura indotta dalla lunga recessione, la permanenza del legame solido con il gruppo di appartenenza, in contrapposizione allo spirito dell'individualismo, specie tra le giovani generazioni, non appare scontata. Oltre che alle cause endogene che hanno generato scetticismo per il futuro, la parziale (e non scontata) crisi del comunitarismo è stata indotta anche dalla sempre più intensa attenzione dei giovani per i modi di vita dei loro coetanei occidentali, soprattutto americani. Anche se, talora, all'osservatore attento l'«americanismo» appare più di facciata che di sostanza.
In definitiva, nella società si avvertono fermenti e cambiamenti che appaiono ancora deboli nelle istituzioni pubbliche e private. Gli anni a venire diranno se e con quale incisività prevarranno le spinte provenienti dalla società, oppure se, ancora una volta, le istituzioni riusciranno a mantenere un saldo controllo sociale.