3. IL NESSO FASCISMO-IMPERIALISMO.
Il 1937 rappresenta un anno cruciale nel processo storico giapponese. Sul versante interno, con la condanna a morte di Kita Ikki in conseguenza dell'«incidente del 26 febbraio» 1936, fu definitivamente sconfitto il cosiddetto «movimento fascista». Sul piano internazionale, l'imperialismo giapponese, con l'aggressione alla Cina nel mese di luglio, avviò la cosiddetta Guerra dell'Asia Orientale che, nelle intenzioni del blocco di potere dominante, avrebbe dovuto consentire al Giappone di fondare un «Nuovo Ordine» in Asia e nel Pacifico meridionale.
L'espansionismo giapponese, come si è visto, affonda le sue radici nel periodo Meiji. Le tappe dell'espansione si possono così riassumere:
- annessione del Regno delle isole Ryukyu nel 1879;
- occupazione di Taiwan, sottratta all'agonizzante Impero cinese con il Trattato di pace di Shimonoseki del 1895;
- spartizione con la Russia dell'egemonia sulla Manciuria e acquisizione della ferrovia della Manciuria meridionale dopo la vittoria sull'Impero zarista nel 1905;
- consolidamento della dominazione sulla Corea nel 1910;
- riconoscimento, ottenuto in seno alla Conferenza di Versailles, sia del mandato di «tipo C» sulle isole del Pacifico (Caroline, Marianne e Marshall) sottratte alla Germania, uscita sconfitta nella prima guerra mondiale, sia dei diritti ferroviari e minerari ex tedeschi nella penisola di Jiaochou.
Nel settembre del 1931, l'armata giapponese del Kwangtung invase la Manciuria, avviando quella che parte della storiografia giapponese indica come «Guerra dei quindici anni». L'anno successivo, nella regione cinese di nuova conquista, fu fondato lo Stato fantoccio del Manchukuo, completamente soggetto alla dominazione giapponese. Nominalmente, il governo, formato da manciuriani, dipendeva dall'Imperatore Pu Yi, ultimo discendente della dinastia Qing, fuggito da Pechino nel 1912, anno in cui crollò definitivamente l'Impero cinese. Tuttavia, su di esso esercitava la supervisione il Governatore generale militare, che era giapponese. Inoltre, secondo la prassi nipponica, il processo decisionale politico era controllato dai viceministri, anch'essi giapponesi.
Dopo la conquista, gli zaibatsu, sia quelli preesistenti sia quelli di nuova istituzione, con il favore della politica anticrisi di Tokyo (vedi oltre) e del governo del Manchukuo e con la protezione dell'Esercito giapponese, accentuarono la loro concorrenza con gli investimenti statunitensi e britannici, provocando la reazione di Washington e di Londra. Nel 1933 la Società delle Nazioni condannò l'intervento del Giappone, che abbandonò il consesso internazionale. Tokyo si sentiva isolata e costretta a subire la preponderanza navale e strategica di Stati Uniti e Gran Bretagna dal Trattato internazionale di Londra stipulato nel 1930, il quale non aveva modificato gli equilibri del tonnellaggio navale sottoscritti a Washington nel 1923.
Il dibattito sull'esigenza di espansione, avviato fin dal periodo Meiji e alimentato soprattutto dai vertici dell'Esercito e dai nazionalisti, riprese con maggiore intensità. Dopo l'intervento in Manciuria, la propaganda incentrata sulla necessità per il Giappone di garantirsi nuovi territori per l'insediamento dell'eccedenza di popolazione, peraltro ipotetica, ebbe grande presa tra le masse. Tra la classe dirigente e nell'opinione pubblica si accentuò ulteriormente la convinzione che le maggiori Potenze volessero isolare il Giappone e che l'Impero dovesse dare una risposta forte. In sintesi, si rassodò il terreno di cultura ideologica della guerra espansionistica, che il Giappone intraprese nel luglio del 1937 con l'invasione della Cina, prodromo della Guerra del Pacifico.
Dopo l'approvazione della Legge per il mantenimento dell'ordine pubblico nel 1925, venne perseguitata ogni forma di antagonismo di classe o di semplice non allineamento all'ideologia del blocco di potere dominante. Accanto e a integrazione dell'azione di polizia e magistratura, un ruolo centrale fu ricoperto dall'alta burocrazia che divenne il perno intorno al quale ruotò il regime fascista giapponese con una approfondita e costante azione di organizzazione del consenso di massa al regime. In questo ambito, in Giappone esistevano esperienze consolidate fin dai primi anni del Novecento, tra cui le già citate Associazione imperiale dei riservisti e Associazione dei gruppi giovanili, ben radicate nella società, in particolare in quella rurale. Con l'invasione della Cina e l'avvio della «guerra totale», l'organizzazione del consenso fu accelerata. I casi forse più paradigmatici sono costituiti dalla fondazione della DaiNippon sangyo hokokukai (Associazione patriottica per l'industria del Grande Giappone), la forma giapponese di corporativismo, e dal riconoscimento governativo dei "tonarigumi" (gruppi di vicinato) e dei "chonaikai" (associazioni rionali).
Nel 1938 la Kyochokai (Associazione per la collaborazione), un'associazione di imprenditori che propagandava la conciliazione tra borghesia e proletariato, propose lo «Schema per la regolamentazione dei rapporti fra capitale e lavoro». In esso si indicava l'esigenza di dare vita, in ogni luogo di lavoro, ad associazioni patriottiche coordinate da una federazione centrale volta all'attuazione dell'unione fra imprenditori e lavoratori, per i quali l'industria doveva essere «come una famiglia». L'obiettivo finale fu raggiunto nel 1940 dopo una lunga gestazione guidata dai sottosegretari degli Interni e della Previdenza, che organizzarono apposite conferenze dei governatori provinciali, dei capi delle sezioni locali della polizia e dei dirigenti della polizia politica, il famigerato Apparato di polizia speciale superiore (Tokko, v. supra, par. 1). Le sezioni della DaiNippon sangyo hokokukai aumentarono fra il 1938 e il 1943 da poco più di 1000 a quasi 86000, giungendo a irreggimentare 5,8 milioni di aderenti. Gli obiettivi politici dell'Associazione furono enucleati nel programma stilato in occasione della sua fondazione: operare per la «prosperità del trono imperiale, celebrando la giustezza di un patriottismo unico» e per comprendere i fondamenti del kokutai; appellarsi al concetto che «l'impresa è una famiglia» allo scopo di incrementare la produzione e di dare «un significato vero al lavoro». La coincidenza dei fini produttivistici perseguiti sui luoghi di lavoro attraverso rapporti che riproducevano le interrelazioni interne alla famiglia - vero cemento della società confuciana - con lo sciovinismo permise al blocco di potere dominante di depotenziare le deboli resistenze della classe operaia all'intensificazione dei ritmi e dei tempi di lavoro necessari al sostegno della produzione bellica e ai sacrifici imposti dalla «guerra totale». Le pur flebili contrapposizioni di classe erano considerate un vero e proprio crimine sociale e politico e dovevano essere superate in virtù della difesa del kokutai.
Le associazioni di vicinato e di rione appartengono alla tradizione giapponese. Nei villaggi, forme di mutuo soccorso presenti nel periodo Tokugawa (v. cap. 4 par. 2-3) persistettero anche con l'avvento del capitalismo. Con la migrazione di grandi masse dalle campagne verso le città, tali strumenti tradizionali di protezione non furono abbandonati ma si rafforzarono in particolari momenti della vita nazionale: nel corso delle guerre contro la Cina del 1894-95 e contro la Russia del 1904-1905, in occasione del grande terremoto del 1923 e durante la riorganizzazione amministrativa di Tokyo del 1932. Nel 1938, nel corso della guerra d'invasione della Cina, una campagna propagandistica avviata dai vertici del ministero degli Interni favorì l'istituzione di nuovi gruppi di vicinato e di rione, tanto che l'anno successivo a Tokyo l'82 per cento delle famiglie ne faceva parte. Questi gruppi, nel 1941, confluiranno, per decisione dell'alta burocrazia, nella Taisei yoku-sankai (Associazione per la direzione imperiale), il «partito unico» giapponese.
La saldatura tra fascismo e imperialismo, tra interessi della burocrazia superiore, dei partiti politici conservatori, degli alti comandi militari, del capitale monopolistico nella forma zaibatsu e della Corte imperiale fu mascherata con l'esigenza di difendere l'onore e la gloria del Paese degli dèi e del tenno, in quanto ipostatizzazione del kokutai. In sostanza, l'Imperatore fu il fulcro intorno al quale ruotò l'ideologia del fascismo giapponese, ne fu il protagonista pseudo-carismatico, in quanto nel suo nome furono imposti la repressione dell'antagonista di classe, l'aggressione imperialista, i sacrifici inflitti alla popolazione per la guerra e per la difesa della «ininterrotta linea di discendenza divina».
L'espansionismo, fortemente sostenuto dagli alti comandi militari, ebbe interessi comuni con gli altri settori del blocco di potere fascista. Per il capitale monopolistico, costituito sia dai «vecchi zaibatsu», nati nel crogiolo della trasformazione capitalistica, sia dai «nuovi zaibatsu», sorti nei primi anni Trenta con il favore di funzionari civili e militari di grado superiore, l'esigenza primaria era costituita dall'urgenza di espandere la loro base produttiva: operazione possibile, in virtù della loro relativa debolezza finanziaria rispetto ai capitalismi occidentali, soltanto con la formazione di una sorta di «sub-imperialismo» protetto dalle armi.