5. GLI EFFETTI DELLA GRANDE CRISI.
La conquista della Manciuria avvenne nel corso della Grande Crisi mondiale iniziata nel 1929 con il crollo del mercato azionario di Wall Street, ma tutti gli anni Venti furono per l'economia giapponese un periodo percorso da un andamento altalenante tra recessioni e riprese. Al susseguirsi di brevi cicli positivi e negativi, nel 1927, fece seguito lo "Showa kyoko" (panico [del periodo] Showa), un vero terremoto finanziario. L'origine di tale crisi risale alle misure adottate allo scopo di riavviare l'economia, gravemente colpita dalle conseguenze del sisma del Kanto del 1923. Immediatamente dopo il disastroso evento, il governo Yamamoto aveva deliberato che le imprese potevano ricorrere a prestiti bancari presentando a garanzia i titoli perduti durante il sisma, i cosiddetti «titoli terremotati». Ancora nel 1926 tali titoli, il cui importo complessivo superava i 200 milioni di yen, costituivano un freno per la riadozione del "gold standard" e la conseguente ripresa di concorrenzialità dell'economia giapponese. Il governo decise di superare l'anomalia dei «titoli terremotati», ma nel corso del dibattito parlamentare il ministro delle Finanze, Kataoka Naoharu, affermò incautamente che molte banche depositarie di tali titoli erano «cotte», cioè in possesso di grandi quantità di prestiti che non erano coperti da alcuna garanzia, in pratica non erano esigibili. Il panico che già serpeggiava tra i clienti delle banche si estese rapidamente e molte banche minori dovettero sospendere i rimborsi ai risparmiatori (marzo del 1927). La gravità della situazione è evidenziata dallo squilibrio tra capitale bancario versato (poco meno di 1,5 miliardi di yen) e depositi della clientela (oltre 9 miliardi). Il 22 aprile, il nuovo governo, appena insediato, fu costretto a intervenire proclamando una moratoria, cioè la sospensione di tutti i pagamenti da parte delle banche, di 21 giorni.
Le misure introdotte dal governo e il fallimento di un gran numero di banche minori diedero luogo a una riorganizzazione dell'intero sistema finanziario e del settore industriale. Infatti, molte piccole e medie imprese, prive di aperture di credito, non furono in grado di affrontare la momentanea mancanza di liquidità e dovettero dichiarare fallimento. Inoltre, i risparmiatori accentuarono la tendenza, peraltro già parzialmente in atto dall'inizio degli anni Venti, a ricorrere ai servizi delle banche principali. Pertanto, le grandi banche dei cinque maggiori zaibatsu (Mitsui, Mitsubishi, Sumitomo, Dailchi e Yasuda), con l'incremento dei depositi, beneficiarono delle conseguenze del «panico Showa». Un beneficio che andò a vantaggio delle imprese dei singoli gruppi, privilegiate nell'accesso al credito presso gli istituti bancari del gruppo.
Il riassetto del sistema finanziario non riavviò, comunque, l'economia del Giappone, ancora percorsa da una fase recessiva. Le maggiori difficoltà derivavano dalla mancata riadozione del "gold standard", come era invece avvenuto per i Paesi più avanzati tra la fine della prima guerra mondiale e il 1928. In tale situazione, lo yen era sottoposto a continue oscillazioni rispetto alle altre monete. In favore del ritorno alla base aurea si erano espressi diversi settori economici: le grandi banche zaibatsu, attratte da vantaggiosi investimenti all'estero delle eccedenze di disponibilità finanziaria conseguente alla ristrettezza della domanda interna di finanziamenti a causa del perdurare della crisi; le imprese operanti nel commercio internazionale per le quali le oscillazioni dello yen significavano incertezza; gli imprenditori del settore tessile, in particolare della seta, la cui produzione per l'80 per cento era collocata sul mercato internazionale.
La vicenda del ritorno al "gold standard" dimostra conoscenze assai approssimative delle teorie economiche da parte degli ambienti politici e finanziari giapponesi. Cedendo alle pressioni imprenditoriali, il ministro delle Finanze, Inoue Junnosuke, nel novembre del 1929, annunciò che il Giappone avrebbe nuovamente adottato la base aurea per lo yen a partire dal primo gennaio 1930. Si trattò di una decisione governativa del tutto inopportuna, in quanto avvenne dopo il crollo di Wall Street, nel momento in cui i Paesi più avanzati avevano abbandonato o stavano abbandonando il "gold standard" per consentire la libera fluttuazione delle loro monete. In conseguenza della scelta governativa, la crisi ebbe effetti devastanti sull'economia giapponese. In particolare, ne furono colpiti il settore tessile, largamente fondato sulle esportazioni, le famiglie contadine per la contrazione della domanda di seta grezza, le società di navigazione e la cantieristica. Inoltre, la tendenza manifestatasi con il «panico Showa» nel 1927 si accentuò. Infatti, la depressione pesò soprattutto sui piccoli e medi imprenditori, clienti delle banche locali, delle quali, tra il 1930 e il 1931, circa 80 furono costrette a sospendere temporaneamente i pagamenti, 18 chiusero definitivamente gli sportelli e 40 fallirono. Un fenomeno che favorì l'ulteriore concentrazione della clientela nelle maggiori banche, in particolare in quelle degli zaibatsu.
L'avvio della svolta in economia che permise l'uscita dalla crisi è dovuto all'azione di Takahashi Korekiyo, ministro delle Finanze del governo Inukai, insediatosi nel dicembre del 1931. Takahashi abbandonò la politica liberista e accentuò l'intervento dello Stato in economia. Le misure introdotte riguardarono l'abbandono della base aurea dello yen; la dilatazione della spesa pubblica, sostenuta da emissioni di titoli fiduciari dello Stato sottoscritti dalla Banca del Giappone; l'ampliamento della stessa emissione fiduciaria; la riduzione del tasso di interesse; il sostegno dell'economia rurale, particolarmente segnata dalla crisi. Insomma, misure che valsero a Takahashi il riconoscimento di «keynesiano "ante litteram"», con riferimento a John Maynard Keynes (1883-1946), l'economista inglese che sarebbe stato l'ispiratore della politica del New Deal rooseveltiano.
Tra il 1931 e il 1935, periodo in cui Takahashi Korekiyo guidò il ministero delle Finanze, il governo aumentò gli stanziamenti a favore di Esercito e Marina del 230 per cento. Nello stesso periodo, i cosiddetti «vecchi zaibatsu» attuarono una riorganizzazione finanziaria che impedì loro immediati investimenti in Manciuria e furono temporaneamente sostituiti dai «nuovi zaibatsu», legati agli ambienti militari e ai giovani funzionari civili inviati in Manchukuo. In sostanza, le opportunità di sfruttamento imperialista della Manciuria, oltre che di Taiwan e della Corea, si rafforzarono, inizialmente a favore dei «nuovi zaibatsu» ai quali, tuttavia, dopo il 1935, si affiancarono nuovamente, con rinnovato vigore, i «vecchi zaibatsu». Questi ultimi ripresero il sopravvento, soprattutto grazie all'ampia disponibilità di capitali finanziari (bancari, armatoriali, assicurativi) che consentì nuovi fruttuosi investimenti; disponibilità finanziaria pressoché inesistente per i «nuovi zaibatsu» che indirizzarono le loro risorse soprattutto nel settore dell'industria pesante e di quella chimica.