2. L'ISTITUZIONE DEL REGIME DEI TOKUGAWA.

 

Tokugawa Ieyasu apparteneva a una famiglia che, attorno alla metà del sedicesimo secolo, aveva acquisito la posizione di modesto daimyo nella provincia di Mikawa (oggi parte della provincia di Aichi); nel giro di tre decenni, i Tokugawa avevano assunto il controllo su un'estesa regione del Giappone centrale grazie alla brillante carriera militare condotta da Ieyasu al servizio di Nobunaga83. In seguito, egli aveva accettato di riconoscere la supremazia di Hideyoshi, che lo aveva allontanato dalla sua provincia di origine per trasferirlo nei territori del Kanto in precedenza controllati dagli Hojo84. Egli scelse Edo (l'attuale Tokyo) per stabilire il suo quartier generale e da qui si adoperò per rafforzare il proprio potere in un territorio che gli assicurava una rendita tale da competere con quella di cui disponeva lo stesso Hideyoshi. Ieyasu fu prescelto come uno dei cinque Grandi anziani che avrebbero dovuto assicurare al giovane Hideyori l'eredità paterna ma che, alla morte di Hideyoshi, riaprirono la contesa per la supremazia militare nel Paese. Lo scontro decisivo si ebbe nel 1600, quando Ieyasu riuscì a sconfiggere i suoi rivali nella battaglia di Sekigahara divenendo il daimyo più importante del Giappone; tre anni dopo, la sua ascesa a capo assoluto del Paese fu sancita con l'ottenimento del titolo di shogun, con il quale assunse i diritti del governo nazionale che esercitò da Edo, sede del bakufu85. Nel 1605, egli rinunciò a questa carica, che trasmise a suo figlio Hidetada, e assunse quella di shogun in ritiro ("ogosho"); inoltre, trasferì la sua residenza a Sunpu, da dove continuò a esercitare il potere86. La vittoria conseguita nel 1600, comunque, non aveva posto fine alla resistenza di Hideyori, che era divenuto il punto di riferimento per alcuni vassalli di Hideyoshi; pertanto, Ieyasu si mostrò assai cauto nei suoi confronti consentendogli di mantenere il castello di Osaka, oltre a estesi territori nelle regioni circostanti. Solo nel 1614 egli poté sferrare un attacco contro i suoi rivali, che furono sopraffatti dopo un estenuante confronto terminato l'anno successivo con la presa di Osaka. Ieyasu era ormai il capo indiscusso del Paese e, quando nel 1616 morì, le basi dell'egemonia della sua famiglia erano state fondate e il sistema di controllo del bakufu sugli han era ormai istituzionalizzato. Occorre quindi esaminare le modalità attraverso cui fu perfezionato il sistema "bakuhan".

Il successo di Ieyasu a Sekigahara fu seguito da una profonda riorganizzazione dei possedimenti feudali nel Paese, e i signori sconfitti videro scomparire o ridimensionare in modo considerevole i propri territori. Le terre confiscate da Ieyasu, pari a circa 5 milioni di koku, non furono comunque sufficienti a ricompensare i daimyo alleati e i suoi vassalli, ai quali egli distribuì terre del valore di circa 7 milioni di koku; solo dopo essersi garantito una solida base in grado di sostenere il proprio governo, egli procedette a modificare a proprio vantaggio l'assetto territoriale. L'esistenza di grandi signori feudali richiese la messa a punto di un sistema di controllo capace di garantire l'equilibrio tra l'autorità centrale e il potere dei daimyo. In primo luogo, egli stabilì una gerarchia tra i daimyo fondata sui vincoli di fedeltà tra questi e lo shogun. Una posizione elevata fu assegnata a un numero ristretto di fidati signori degli «han imparentati» ("shinpan") ai Tokugawa e, in particolare, alle «tre famiglie» ("sanke") legate a Ieyasu da vincoli di parentela diretta; queste ultime portavano il suo stesso cognome e, in assenza di eredi dello shogun, potevano contribuire alla successione alla guida del bakufu. Vi era poi il gruppo più numeroso costituito dai daimyo della casa dello shogun, cioè da coloro che avevano aderito alla causa di Ieyasu prima della battaglia di Sekigahara e che erano pertanto considerati del tutto affidabili; essi vennero nominati vassalli ereditari (detti "fudai") e si videro assegnare importanti funzioni. Infine, i daimyo sottomessi dopo la vittoria del 1600, di numero inferiore a un centinaio e particolarmente forti nelle regioni occidentali, furono riconosciuti come «signori esterni» (tozama)87. Con ciascun daimyo, il cui numero complessivo era all'epoca di poco inferiore alle trecento unità, gli shogun Tokugawa stabilirono un equilibrio di potere, fondato in primo luogo sulla concessione dell'investitura, cui corrispondeva un personale impegno di fedeltà a Edo, sull'assegnazione dei territori e sulla loro distribuzione strategica nelle varie aree del Paese. I daimyo, infatti, furono sistemati in modo tale sia da evitare che la vicinanza di signori ostili potesse dar vita a una coalizione contro il bakufu, sia da controllare le principali vie di comunicazione e di accesso a Edo e a Kyoto. Tale assetto fu costantemente revisionato attraverso la destituzione e la riallocazione dei daimyo, in modo da garantire una situazione favorevole al bakufu. Inoltre, le «tre famiglie» direttamente imparentate con Ieyasu furono stanziate in posizioni cruciali: a Mito (nella zona settentrionale di Edo), a Owari (tra Edo e Kyoto) e a Kii (a sud di Osaka).

I territori che i Tokugawa si riservarono comprendevano importanti e fertili regioni (specie nel Kanto e nel Giappone centrale), grandi centri commerciali (tra cui, oltre a Edo, Osaka, Nagasaki e Kyoto) e zone minerarie vitali (a Sado, Ashio e Izu). Come gli altri daimyo, lo shogun si serviva dei propri vassalli per amministrare questi estesi possedimenti, da cui traeva le risorse necessarie a sostenere il proprio governo e a garantirsi una posizione egemone nel Paese. Alle sue dirette dipendenze, infatti, figuravano oltre ventimila vassalli, distinti in "hatamoto" (uomini della bandiera), dotati del privilegio di essere da lui ricevuti e spesso di disporre anche di un proprio feudo, e in gokenin (uomini della casa), che occupavano una posizione inferiore e ricevevano in genere uno stipendio. Lo shogun, pertanto, era il più ricco daimyo del Giappone, controllando i maggiori centri economici, le fonti di metallo prezioso e un'alta percentuale delle rendite agricole prodotte nel Paese. Infatti, ancora per alcuni decenni dopo l'ascesa di Ieyasu si assistette a una massiccia redistribuzione dei territori, di cui beneficiarono in primo luogo i Tokugawa88. Sappiamo che, dopo circa un secolo dalla loro ascesa, il totale della rendita agricola del Giappone era stimata attorno ai 26,5 milioni di koku, di cui oltre 4 milioni provenivano dai possedimenti privati dello shogun e oltre 2,5 milioni dai territori dei suoi vassalli hatamoto. I temibili «signori esterni» (per lo più confinati nelle regioni periferiche) controllavano quasi 10 milioni di koku, poco più di quanto disponevano nel complesso i fidati fudai e shinpan. Il poco che restava era ripartito tra le istituzioni religiose (320 mila koku) e la famiglia imperiale e la nobiltà di Corte (circa 140 mila koku). Tutto ciò rifletteva il nesso esistente tra rendita agricola e potere, che evidentemente penalizzava in primo luogo la Corte imperiale.

Su questa struttura di potere i Tokugawa fondarono la propria autorità, legittimata dalla delega dei pieni diritti di governo concessa dall'Imperatore allo shogun. In effetti, si trattava di un riconoscimento formale che ben poco dipendeva dalla volontà del sovrano, la cui influenza politica era assai limitata così come le risorse economiche a cui aveva libero accesso. Furono i Tokugawa, infatti, a contribuire finanziariamente affinché la Corte fosse in grado di mantenere uno stile di vita consono alla propria posizione, dato che al prestigio di questa istituzione era legata la legittimità del loro stesso potere. Allo stesso tempo, gli shogun non rinunciarono a limitare l'autonomia politica della famiglia imperiale e dei kuge e, a questo scopo, disposero l'insediamento di un governatore nel castello Nijo a Kyoto, il quale era incaricato di mantenere i contatti tra l'Imperatore e il bakufu, ma che di fatto servì a controllare l'attività della Corte grazie anche a un cospicuo presidio di uomini armati alle sue dipendenze. Inoltre, nel 1615 fu emanato un corpo di regole specifiche cui la famiglia imperiale e l'aristocrazia civile dovevano attenersi, che vietava al sovrano di partecipare agli affari di Stato, vincolava all'approvazione dello shogun la concessione di titoli imperiali ad alti funzionari e all'aristocrazia militare (i buke) e regolava i contatti con le istituzioni religiose89.

Le funzioni delegate allo shogun prevedevano che egli detenesse il dominio del Paese, regolasse le questioni tra i daimyo e tra le istituzioni religiose, definisse la politica nazionale in campo fiscale e militare, gestisse gli affari esteri e, soprattutto, disponesse della totalità delle terre. Ciò significa che egli aveva la piena autorità su ogni singolo daimyo, al quale concedeva il diritto di governare su uno han, pur riservandosi la facoltà di compiere ispezioni.

Il capo di Edo aveva poi la facoltà di chiedere ai feudatari contributi di vario genere, quali l'invio di milizie in caso di necessità o il trasferimento di fondi e manodopera da impiegare per la costruzione e la manutenzione di strade, ponti, castelli, residenze shogunali o imperiali e altre opere pubbliche. Anche la condotta dei daimyo fu sottoposta a una normativa emanata nel 1615 ed emendata nel 1635, il Buke shohatto (Regolamento per l'aristocrazia militare), il quale, analogamente ad altre disposizioni previste per la classe dominante, imponeva rigide regole ai feudatari: stabiliva che, in caso di successione o di matrimonio, essi dovevano ottenere l'approvazione preventiva dello shogun; poneva un limite al potenziamento militare dello han; vietava la costruzione di navi d'alto mare; proibiva di aderire al Cristianesimo e disciplinava le modalità del sistema degli ostaggi. Già utilizzato da Hideyoshi, il sistema della «residenza alterna» ("sankin kotai") a Edo rappresentò un efficace sistema di controllo sui daimyo, ai quali venne imposto l'obbligo di costruire una residenza ("yashiki") nella capitale shogunale, dove essi dovevano dimorare per un certo periodo secondo scadenze fissate e, in loro assenza, lasciare i propri familiari e alti funzionari al loro servizio, garantendo così la propria lealtà al governo di Edo90. La regolare frequentazione di quello che ormai era divenuto il centro politico del Paese impose anche ai più lontani e meno fedeli daimyo di conoscere e rispettare i decreti del bakufu. Tale pratica sottraeva poi una cospicua parte delle risorse finanziarie degli han, dato che gli spostamenti del signore e della sua famiglia, nonché di un adeguato seguito, richiedevano un certo impegno economico, cui si aggiungevano i costi per la costruzione e il mantenimento di una o più residenze a Edo, arricchite con un lusso proporzionale al prestigio e al potere del proprietario.

L'amministrazione centrale, sviluppatasi dall'assetto stabilito da Ieyasu quando era ancora daimyo del Kanto e, pertanto, organizzata in modo non troppo difforme da quanto accadeva nei singoli han, si fondava sull'opera esclusiva dei vassalli ereditari fudai e di quelli dipendenti hatamoto e gokenin. Lo shogun operava con l'ausilio di due organismi: quello dei Consiglieri anziani (detti "roju") e quello dei Consiglieri «meno anziani» ("wakadoshiyori"). Il Consiglio degli Anziani era formato da quattro o sei membri selezionati tra un ristretto numero dei più potenti fudai, e a esso era affidata la gestione dell'amministrazione generale e delle questioni di rilevanza nazionale, tra cui quelle relative alla Corte imperiale, ai daimyo, alle istituzioni religiose, agli affari militari e a quelli esteri; inoltre, aveva potere di intervento sulla tassazione e sulla distribuzione delle terre, era responsabile dell'assegnazione di titoli e onori, e disciplinava il conio e la circolazione monetaria. Da questo organismo dipendevano i più importanti funzionari del bakufu, tutti provenienti dalle fila dei fudai e degli hatamoto91 Il Consiglio dei Meno anziani contava tre o quattro membri prescelti tra i fudai di rango inferiore e aveva la responsabilità sulle questioni interne al governo di Edo, compresi i vassalli e i servitori personali dello shogun e l'esercito e le unità di guardia del bakufu; a questo organismo erano sottoposti anche i "metsuke", cioè gli ispettori e i funzionari incaricati di vigilare sull'osservanza delle norme. In prossimità del castello di Edo fu pure stabilita un'Alta corte di giustizia (Hyojosho), simbolo del potere esercitato dal bakufu sul piano nazionale. A livello locale, il controllo del governo di Edo era esercitato dagli intendenti delle finanze, che si occupavano delle zone rurali e da cui dipendevano intendenti locali selezionati tra gli hatamoto di medio e basso rango, mentre il controllo delle zone urbane era assegnato ai magistrati delle città.

Questo modello di amministrazione era ricalcato anche in ogni singolo han, all'interno del quale il daimyo godeva di un alto grado di autonomia, pur nei limiti imposti dall'autorità centrale che riguardavano, tra l'altro, la consistenza del suo esercito personale e il numero e le dimensioni delle fortezze. Signore delle terre e della popolazione del dominio, entrambe inserite nei registri ricevuti dallo shogun assieme all'investitura, egli lo amministrava con la precisa responsabilità di mantenervi la pace e l'ordine. In tal modo, egli assolveva alla funzione di «mediatore» tra le norme generali e quelle locali. I guerrieri alle sue dipendenze erano iscritti in un registro personale, vincolati a lui attraverso un giuramento di fedeltà, rigidamente organizzati secondo il proprio rango e stanziati attorno al castello del signore. Il daimyo governava attraverso un ufficio centrale delle finanze, un corpo di intendenti rurali deputati al controllo dei villaggi e il magistrato della città-castello che sorvegliava i distretti urbani ("machi"). Le unità dei mura e dei machi si autogovernavano sotto la guida di un capo scelto a livello locale. All'interno dei villaggi fu mantenuto l'assetto stabilito dalle riforme realizzate sotto Hideyoshi e venne rafforzato il divieto di abbandonare, acquistare o cedere i terreni agricoli. I contadini furono organizzati in gruppi di famiglie ("goningumi"), reciprocamente garanti del pagamento delle tasse e del rispetto delle norme fissate, secondo il tipico modello confuciano di responsabilità collettiva. Gli amministratori alle dipendenze del daimyo compivano ispezioni periodiche nei mura e prelevavano le tasse agricole raccolte dal capo del villaggio, che fungeva da intermediario tra la comunità locale e l'autorità superiore.

Fu questo, dunque, il sistema politico creato sotto i Tokugawa, dove nella compresenza di un'autorità nazionale rappresentata dal bakufu e di un certo numero di possedimenti gestiti autonomamente dai daimyo si riscontra il carattere di un feudalesimo centralizzato, che gli storici giapponesi hanno designato come sistema "bakuhan"; gli stessi rapporti tra i daimyo e lo shogun (così come, più in generale, tra un vassallo e il proprio signore) erano di tipo feudale, essendo contraddistinti da un legame di fedeltà e da benefici fondati su un vincolo personale e politico. L'efficacia del sistema bakuhan dipese dalla capacità dei Tokugawa di garantire un equilibrio nei rapporti di potere con i grandi signori feudali e fu sorretto dall'adozione di appropriate misure sociali e di un'ideologia di regime finalizzate a mantenere lo status quo. In primo luogo, il processo di differenziazione delle classi sulla base del ruolo occupazionale, già avviato da Nobunaga e sviluppato da Hideyoshi, fu portato a termine con l'adozione del modello "shinokosho", ispirato all'esempio cinese e finalizzato a organizzare, su una scala gerarchica e in ordine di importanza, rispettivamente i guerrieri, gli agricoltori, gli artigiani e i mercanti92. Tuttavia, poiché la maggior parte degli artigiani e dei mercanti tendeva a concentrarsi nei centri urbani, nel complesso essi erano designati come "chonin" (persone delle città) e considerati come un'unica categoria dedita a mansioni extra-amministrative ed extra-agricole. La legislazione Tokugawa riconosceva pure l'esistenza sia di categorie privilegiate, come i kuge, i religiosi e le monache ("so" e "ni"), sia di gruppi di infima reputazione, come nel caso degli "eta" (pieni di sporcizia) e degli ahinina (non esseri umani), raggruppati sotto la denominazione di "senmin" (persone di basso rango) e posti al gradino più basso della organizzazione sociale, nota come sistema "mibun", in quanto svolgevano occupazioni disprezzate dalla cultura dominante93 Per ciascun livello furono sancite norme adeguate allo status, che regolavano la responsabilità e la condotta dei singoli individui, così come i diritti sui terreni agricoli, gli obblighi fiscali, i reati e l'autorità politica, mentre il rafforzamento di regole endogame servì a ostacolare la mobilità sociale. Ne scaturì una società fortemente differenziata, sia in relazione allo stile di vita, sia per quanto concerne la disposizione sul territorio, con una prevalenza di samurai, mercanti e artigiani nei centri urbani e la concentrazione degli agricoltori nei villaggi rurali. Alla rigidità di questo ordine sociale contribuì poi la concezione secondo cui esso fosse regolato da una legge naturale, che non consentiva all'individuo di cambiare la condizione sociale ereditata sin dalla nascita, cui egli era vincolato per l'intera esistenza.

Il pilastro ideologico dell'ordinamento politico e sociale fu rappresentato dalla dottrina sociale neoconfuciana, che servì ad avallare il potere dei governanti e a fornire una base etica per la condotta pubblica e privata dei giapponesi, imprimendo peraltro nuovi e rilevanti stimoli all'attività intellettuale di tutto il periodo. Sviluppatosi in Cina a partire dal dodicesimo secolo con l'intento di restaurare la tradizione confuciana che si riteneva fosse stata deteriorata con lo sviluppo del Taoismo e del Buddhismo, ma dalle cui concezioni attinse invece per operare una sintesi razionale, il Neoconfucianesimo si affermò anche al di fuori dei confini dell'Impero grazie all'opera del grande filosofo Zhu Xi (1130-1200), noto in Giappone come Shushi. Egli elaborò un sistema metafisico imperniato sul dualismo tra il "li" (in giapponese "ri"), che significa principio o norma e si riferisce alla legge per cui ogni cosa esiste, e il "qi" (in giapponese "ki"), traducibile come «sostanza» o «materia», ovvero l'elemento che le conferisce concretezza. Trasferita in ambito etico-politico, questa filosofia suggeriva la «via» ("dao", in giapponese "do") di condotta ideale dei governanti così come del popolo, del cui benessere essi erano responsabili. Essendo in grado di conferire staticità all'ordine sociale e politico e di servire agli interessi della classe dirigente, il Neoconfucianesimo fu assunto come fondamento del regime di Edo e posto a servizio dello Stato, grazie soprattutto all'opera svolta da Fujiwara Seika (1561-1619), il quale, abbandonati gli ordini buddhisti, si dedicò alla divulgazione della dottrina confuciana, che riteneva fosse del tutto rispondente alle esigenze della nuova realtà del Paese. I Tokugawa si dotarono di un ufficio di consiglieri confuciani ("jusha"), assegnando alla famiglia Hayashi l'incarico ereditario di consiglieri del bakufu, e istituirono scuole confuciane, tra cui quella che divenne la loro scuola superiore ufficiale, lo "Shoheiko", fondata nel 1630 da Hayashi Razan (1583-1657), discepolo di Seika. Il loro esempio fu presto seguito dai daimyo e gli studi confuciani divennero parte integrante nella formazione di ogni guerriero giapponese, che vide elevare il proprio livello culturale dedicandosi alla lettura di opere filosofiche, storiche, letterarie, di diritto e di economia politica. La dottrina di Zhu Xi fu infatti adattata alle condizioni del Giappone, come attesta il contenuto del Codice del bushido (la «via del guerriero» - v. cap. 3 par. 1) elaborato da Yamaga Soko (1622-1685) al fine di giustificare il ruolo dei militari come élite governante, la cui tradizionale competenza nelle arti marziali veniva ora ingentilita dall'impegno di dedicarsi alla cultura, sull'esempio dei funzionari-intellettuali cinesi. Il Neoconfucianesimo si affermò rapidamente nel Paese permeando tutti gli strati della società, presso cui contribuì a diffondere una visione del mondo e della vita altamente razionale.

Dopo la sua morte, Ieyasu fu divinizzato in un imponente mausoleo edificato in suo onore a Nikko, che divenne uno dei più importanti centri religiosi del Paese e meta di numerosi pellegrinaggi. In effetti, ciò rientrava in una politica più generale, mirante a porre il sentimento e le istituzioni religiose al servizio del bakufu e dei suoi capi. Infatti, le istituzioni buddhiste, il cui potere politico e militare era stato già ridimensionato sotto i primi due riunificatori, furono ora economicamente indebolite a seguito della marcata riduzione delle terre assegnate a templi e monasteri. I templi periferici furono riorganizzati e subordinati a quelli maggiori controllati dal governo centrale che, nel 1635, pose tutte le questioni inerenti i templi e i santuari sotto la giurisdizione di un apposito magistrato designato dal bakufu, mentre l'attività del clero venne rigidamente regolata sulla base di quanto disposto in una serie di Norme per i templi (Jiin hatto) imposte a più riprese a partire dal 1615. Tuttavia, dato il ruolo svolto dal Buddhismo e dallo Shintoismo come strumento di controllo sul popolo, i Tokugawa fornirono la loro protezione a questi sistemi spirituali. Nondimeno, il Buddhismo servì a contrastare la diffusione del Cristianesimo, sottoposto a un'inquisizione religiosa ("shumon aratame") che ricorse alla tortura e alla confisca dei beni dei fedeli; inoltre nei templi, incaricati di indagare sulla fede del popolo, furono istituiti appositi registri ("terauke") presso cui ciascuno aveva l'obbligo di iscriversi. Il Cristianesimo, infatti, fu visto sempre più come una pericolosa dottrina ("jaho") straniera, che contrastava con l'assetto dato all'organizzazione politica, sociale e religiosa, essendo in sostanza considerata un'ideologia eversiva.

In realtà, pur non abrogando l'editto di proscrizione emanato da Hideyoshi nel 1587, Ieyasu da principio aveva assunto un atteggiamento indulgente verso i missionari europei, dato il suo interesse a spostare i traffici marittimi dai porti del Kyushu a Edo, che egli intendeva trasformare in un'importante base portuale. D'altra parte, per il bakufu era essenziale impedire che i daimyo delle regioni occidentali continuassero a trarre lauti profitti dal commercio privato con l'estero. Ieyasu favorì il commercio estero, che vedeva le navi giapponesi trasportare i loro carichi in Cina, nelle Filippine e in Messico. Oltre che con portoghesi e spagnoli, egli cercò di trattare con gli olandesi e gli inglesi dopo il loro arrivo sulle coste del Giappone, pur senza riuscire ad attirare le loro navi verso Edo. Ciò, unito al rifiuto opposto dalla Cina alla sua proposta di istituire un commercio ufficiale sottoposto a un sistema di autorizzazioni, lo indusse a tentare di asserire il monopolio sul commercio attraverso il controllo dei porti e l'imposizione del sistema di certificati di autorizzazione (shuinsen), cui si è già accennato (v. cap. 3 nota 22). L'istituzione di restrizioni sul commercio estero, che nel 1616 fu circoscritto ai porti di Nagasaki e di Hirado, procedette di pari passo con l'imposizione, dopo il 1612, di limitazioni sulla fede cristiana, percepita come un pericolo politico e ideologico e pur tuttavia diffusa tra alcuni daimyo del Kyushu e persino tra i vassalli dello shogun. Fu sotto i suoi due successori che l'intolleranza verso il Cristianesimo assunse toni aspri e violenti, ricorrendo a torture, martiri ed esecuzioni di massa di molti credenti, compresi quelli che rifiutavano di calpestare le figure sacre usate dalle autorità per costringerli a svelare la propria fede e dette "fumie". Misure estreme e definitive furono assunte dopo una grande rivolta scoppiata nel 1637 a Shimabara (non lontano da Nagasaki), che il bakufu sospettò fosse stata fomentata da samurai convertiti e che riuscì a reprimere con violenza l'anno seguente. Nel 1639 furono espulsi i portoghesi, che si ritirarono a Macao; due anni dopo gli olandesi furono confinati a Dejima (un isolotto artificiale collegato a Nagasaki con un ponte) e i cinesi relegati in un quartiere di Nagasaki, che divenne l'unico porto del Giappone autorizzato da Edo a svolgere limitate attività commerciali con l'estero. Nel 1635 ai giapponesi era stato fatto divieto di recarsi fuori dal Paese e, a quanti si trovavano all'estero, di tornare in patria.

Il Giappone entrava così nell'era Sakoku (dall'espressione che significa appunto «Paese chiuso»), nel corso della quale i contatti con il mondo esterno furono controllati da Edo e limitati, oltre che a Nagasaki, ad altre tre località: l'estremità meridionale dello Hokkaido, dove i daimyo Matsumae intrattenevano un commercio con la popolazione ainu; a Tsushima, dove i So fungevano da intermediari nelle relazioni tributarie che la Corea stabilì con il Giappone; a Satsuma, dove gli Shimazu avevano instaurato una forma di controllo sul Regno delle Ryukyu, dando vita a un commercio triangolare che coinvolgeva la Cina, di cui il Regno era tributario. Così, se l'epoca Azuchi-Momoyama era stata caratterizzata da una marcata espansione delle attività commerciali, da una vivace partecipazione dei mercanti giapponesi ai traffici d'oltremare e da un proficuo scambio con la cultura e la tecnologia europee, dopo l'instaurazione del regime Tokugawa il Giappone si ritrasse progressivamente dalle vicende che riguardavano il mondo esterno. Il successo di tali iniziative fu reso possibile dalla posizione marginale che l'arcipelago aveva rispetto alle principali rotte marittime percorse dal commercio mondiale, il quale peraltro non si mostrò particolarmente interessato a contrastare la decisione assunta dalle autorità di Edo. La restrizione dei contatti con l'estero influì in modo profondo sulla percezione che il Giappone assunse di sé e del mondo circostante, così come su altri aspetti economici, sociali e culturali del Paese.

 

 

Storia del Giappone
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