4. I RAPPORTI CON IL MONDO ESTERNO.

I rapporti tributari stabiliti da Yoshimitsu con la Cina agli inizi del quindicesimo secolo avevano rappresentato l'epilogo di una serie di tentativi compiuti dai Ming per indurre il Giappone a reprimere l'attività predatoria effettuata lungo le coste cinesi dai cosiddetti "wako". Sebbene il termine indicasse i pirati giapponesi, a questo genere di attività partecipavano anche marinai provenienti dalla Cina e da altri Paesi della regione. Essi erano dediti anche al commercio illegale, e a tal fine Yoshimitsu aveva acconsentito ad aderire al «sistema dei contrassegni» ("kango") atto a garantire le missioni e il commercio ufficiali59. Per circa un secolo e mezzo, numerose missioni giapponesi continuarono a recarsi alla Corte Ming, stimolando un proficuo commercio di cui beneficiò non solo il bakufu, ma pure monasteri, grandi famiglie militari e ricchi mercanti, spesso in competizione tra loro per assicurarsi il possesso dei contrassegni ufficiali. Tuttavia, il deterioramento del governo degli Ashikaga minò la sua effettiva capacità di reprimere il commercio illegale e la pirateria, e di limitare lo sviluppo degli scambi privati. Anche per la stessa Cina divenne sempre più difficile stroncare un'attività che attirava i ceti agiati e le classi meno abbienti delle regioni meridionali e che, come tutte le attività extra-agricole, era disprezzata dall'ideologia confuciana; inoltre, l'onere finanziario derivante dall'accoglienza delle missioni provenienti dagli Stati tributari non sempre era compensato dal valore delle merci che giungevano alla Corte Ming, e tutto ciò contribuì alla decisione dapprima di limitare e quindi di proibire il commercio marittimo. L'ultima missione ufficiale (la diciannovesima dall'instaurazione dei rapporti tributari nel 1401) partì per la Cina nel 1547 e, poco dopo il suo rientro in patria, i contatti con i Ming furono formalmente interrotti. Parallelamente a questi avvenimenti, era andato crescendo il numero di pirati e di trafficanti non autorizzati attivi nel commercio clandestino tra il Giappone e la Cina, i quali tuttavia si trovarono in concorrenza con i mercanti europei.

L'arrivo dei primi mercanti portoghesi in una piccola isola a sud del Kyushu, registrato nel 1543, fu l'effetto di un movimento generato in Europa (di cui si è detto nel capitolo introduttivo) che mise la storia dei Paesi dell'Asia Orientale a contatto con un contesto 'mondiale' ben più esteso rispetto a quello tradizionale. Occorre comunque ricordare che l'attività dei portoghesi non si limitò al commercio, ma interessò anche l'ambito religioso. L'opera di evangelizzazione fu svolta in primo luogo dai missionari della Compagnia di Gesù, costituita a Parigi nel 1534 e riconosciuta dalla Chiesa di Roma nel 1540, la quale fin dall'inizio fu caratterizzata da un'organizzazione quasi militare e da un forte interesse per la conoscenza umanistica e scientifica. L'attività di questi uomini di grande cultura, pertanto, fu essenziale sia nella divulgazione di nuove conoscenze nel Paese, sia nella trasmissione in Europa di varie e dettagliate notizie sul Giappone grazie ai numerosi resoconti che essi redassero. Tra i fondatori di questo ordine vi era anche Francesco Saverio (1506-1552) il quale, dopo aver soggiornato in India, proseguì verso il Giappone, dove sbarcò nel 1549 e restò per circa due anni. Recatosi a Kyoto con l'intento di ottenere il consenso a svolgere la sua attività missionaria e deluso dal rifiuto oppostogli dallo shogun in carica, egli riuscì comunque a istituire la prima chiesa e una comunità cattolica a Yamaguchi, nell'estremità sud-occidentale dello Honshu. Dopo Saverio giunsero in Giappone altri gesuiti, che si impegnarono a rendere il messaggio cristiano accessibile ai giapponesi, a diffonderlo attraverso l'esempio della propria condotta e, anche, a guadagnarsi il favore dei potenti. Furono in primo luogo i daimyo del Kyushu, la zona più esposta ai contatti con gli europei, ad accogliere la nuova fede, che da qui si diffuse poi verso il Giappone centrale interessando anche le classi rurali60. Dopo la sua ascesa al potere, lo stesso Oda Nobunaga accordò la propria protezione ai missionari della Compagnia di Gesù, e nel 1582 un'ambasceria di daimyo cristiani, organizzata dal gesuita italiano Alessandro Valignano (1539-1606), partì alla volta di Roma. Per oltre mezzo secolo, i contatti con gli europei furono limitati ai portoghesi, mentre dopo il 1584 giunsero in Giappone mercanti di un altro Paese cattolico, la Spagna, che garantirono la loro protezione all'attività missionaria dei francescani61. Diversamente, la presenza degli olandesi, arrivati nel 1609, e degli inglesi, sbarcati nel 1613, fu determinata da scopi prettamente commerciali, dato che questi due Paesi protestanti avevano uno scarso interesse alla diffusione del proprio credo.

La prolungata permanenza, la solida cultura e la rigida disciplina dei gesuiti contribuiscono a spiegare la ragione per cui essi furono in genere bene accolti in molte regioni del Paese e riuscirono a diffondere la propria fede in modo più efficace rispetto a quanto seppero fare i missionari di altri ordini religiosi. Il fatto che, in generale, i giapponesi fossero più ricettivi di altri popoli dell'Asia di fronte a questa religione ha indotto vari studiosi (in gran parte occidentali) a definire il periodo compreso tra l'arrivo dei primi europei e la definitiva espulsione di mercanti e missionari dei Paesi cattolici, avvenuta nel 1639, in termini di «secolo cristiano». Tuttavia, se consideriamo il numero ridotto dei convertiti, il limitato impatto che la nuova dottrina ebbe sulla cultura giapponese e l'interesse extra-religioso che spinse molti signori feudali ad accogliere i missionari nei loro feudi, allora pare alquanto eccessivo parlare di «secolo cristiano»62. In genere, infatti, i daimyo convertiti (noti come "kirishitan daimyo") sostennero l'attività missionaria al fine di trarre beneficio dalle conoscenze dei gesuiti e dal legame che essi avevano con i mercanti portoghesi, e spesso non esitarono a rinnegare la propria fede di fronte all'opposizione del clero buddhista o a una politica nazionale ostile all'opera di evangelizzazione63. Nondimeno, è possibile ritenere che, a livello popolare, la religione introdotta dagli europei fosse percepita con un sentimento genuino, e che la solida fede e la forza morale mostrate dai missionari costituissero un esempio da seguire in un'epoca di incertezza politica, di disordini sociali e di crescente corruzione tra il clero buddhista. Ma il Cristianesimo non ebbe un impatto sulla vita culturale del Paese paragonabile a quello sortito circa un millennio prima dal Buddhismo, essendo pressoché limitato a fungere da strumento ausiliario all'introduzione delle novità portate dagli europei e alla partecipazione alle proficue attività commerciali.

Attorno alla metà del Cinquecento, infatti, i mercanti portoghesi avevano stabilito una sorta di monopolio sul trasporto di merci giapponesi all'estero (in primo luogo argento) e sull'importazione di prodotti stranieri (come seta, oro, damasco e broccati), e la conversione di molti daimyo del Kyushu fu determinata più dal desiderio di partecipare alle attività commerciali, attirando le navi portoghesi nei propri porti, che non da ragioni di natura spirituale. Tali contatti, inoltre, consentivano di acquisire nuovi prodotti, conoscenze e tecnologia provenienti dall'Europa, primo fra tutti l'archibugio, che in Giappone fu diffuso con il nome di "tanegashima", dall'isola presso cui sarebbero sbarcati i portoghesi nel 1543 introducendo le prime armi da fuoco. Ciò, assieme all'acquisizione di nuove tecniche militari, influenzò in modo profondo gli eventi bellici che si stavano svolgendo nel Paese, dove l'impiego di armi da fuoco, in parte importate e in parte prodotte da artigiani giapponesi, determinò sempre più le sorti delle battaglie, costrinse a erigere massicci castelli entro cui difendersi e spinse a modificare le armature dei guerrieri. L'attività militare, pertanto, richiese crescenti risorse economiche di cui solo i maggiori daimyo disponevano, e ciò consentì loro di consolidare il proprio potere ed eliminare con facilità i rivali più deboli. Anche in altri campi l'apporto delle conoscenze giunte dall'Europa fu rilevante: oltre alla tecnologia nautica e a nuovi motivi artistici, i giapponesi ebbero modo di conoscere gli orologi e gli occhiali, gli articoli di vetro e i tessuti di lana e di velluto, il tabacco e la patata. Molte parole di origine portoghese e tuttora in uso, come "pan" (pane), "tabako" (tabacco, sigaretta) o "paraizo" (paradiso), furono adottate in questo periodo, cui risalgono anche numerosi paraventi dipinti che ben illustrano la visione che i giapponesi ebbero delle fattezze, dei costumi e delle attività dei «barbari meridionali», come erano designati gli europei giunti a sud del Paese.

Questa intensa attività di contatti e di scambi commerciali con il mondo esterno fu caratterizzata anche da una riaffermazione, verso la fine del sedicesimo secolo, dei giapponesi nelle attività marittime dirette verso le coste del continente e il Mar Cinese Meridionale. In quello stesso periodo, sotto la guida del secondo «riunificatore», Hideyoshi, il Giappone tentava un'avventura espansionista inviando due spedizioni militari in Corea (nel 1592 e nel 1597) con l'obiettivo ultimo di conquistare la Cina, ma che ebbe termine con l'improvvisa scomparsa del capo giapponese nel 159864. Tuttavia, con la riunificazione del Paese e con il consolidamento del potere dei Tokugawa, il bakufu avrebbe potuto riasserire un rigido controllo sugli scambi con l'estero, che furono sottoposti a un sistema di autorizzazioni (detto "shuinsen")65. L'intolleranza verso la fede cristiana, già dimostrata da Hideyoshi con un editto di proibizione emanato del 1587 e poi con la crocifissione di ventisei credenti nel 1597, avrebbe assunto sempre più le sembianze di una vera e propria persecuzione attuata con risolutezza e violenza, che si sarebbe conclusa con l'espulsione di missionari e mercanti dei Paesi cattolici e con la soppressione della Chiesa cattolica in Giappone. Il Paese si avviava così verso una politica di quasi totale isolamento, destinato a durare per oltre due secoli.

Storia del Giappone
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