3. GLI EFFETTI SOCIALI DELLA RECESSIONE.
Tuttavia, l'economia giapponese, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, al di là dell'apparente floridezza, ha in sé i segni di una grande fragilità. Infatti, il mercato interno è sostanzialmente «drogato» dall'incentivo ai consumi consentiti dal facile ricorso al prestito bancario. Il problema, che inizierà a manifestarsi nella metà degli anni Novanta, riguarda le gravi difficoltà nel ricupero dei crediti da parte degli istituti bancari. Le grandi banche soffrono nel 1998-99 dell'insolvenza di molti clienti, singoli cittadini e imprese ed accumulano perdite che soltanto la ricapitalizzazione e il sostegno del governo riesce a contenere. La recessione colpisce imprese e famiglie.
In questa situazione, grandi e piccole imprese del settore privato e il settore pubblico iniziano a ricorrere alla riduzione del personale. La percentuale di popolazione attiva senza lavoro alla fine del 2002 raggiunge il 5,2 per cento, un record negativo se si pensa che nel 1970 la percentuale era pari all'1,1. Occorre, tuttavia, rilevare che in Giappone non sono considerati disoccupati coloro che lavorano almeno una settimana nel mese della rilevazione e che l'"arubaito" (lavoro temporaneo) è molto diffuso. Nelle previsioni del governo, nel primo decennio del nuovo millennio, il numero dei dipendenti pubblici (poste, ministeri, enti locali) diminuirà di quasi la metà. Il licenziamento ha gravi conseguenze sociali e individuali. Il disoccupato assai spesso si considera un emarginato e vive la sua nuova condizione con un senso di vergogna, giungendo in alcuni casi alla scelta estrema di togliersi la vita. Nel 1997 si sono suicidate 23465 persone, nel 1998 i suicidi hanno superato la soglia di 30000 unità.
Un altro problema sociale che grava sulla società giapponese è costituito dall'invecchiamento della popolazione, dovuto all'allungamento della speranza di vita e al calo delle nascite, particolarmente sensibile rispetto al "baby boom" degli anni Sessanta.