2. LA RESTAURAZIONE KENMU E LA TRANSIZIONE AL SECONDO PERIODO FEUDALE.

 

Già verso la fine del tredicesimo secolo si ravvisavano i sintomi della crisi del potere degli Hojo, criticati da più parti per l'incapacità dimostrata nel soddisfare le richieste di quanti avevano contribuito alla difesa del Paese. L'ultimo shikken di Kamakura, Takatoki, non brillò per intelligenza e rigore morale neppure quando, raggiunta un'età più matura, assunse i pieni poteri di reggente, e ciò contribuì a rafforzare il sentimento di ostilità verso gli Hojo, da cui non restarono immuni neppure i loro stessi vassalli. Fu in questo clima che prese forma il progetto noto come Restaurazione Kenmu e finalizzato a riportare la guida del governo nelle mani dell'Imperatore. Tuttavia, ciò non solo si sarebbe rivelato incapace di eliminare la rete di privilegi feudali e di ricondurre il potere verso la Corte, ma avrebbe generato anche una serie di rilevanti conseguenze sulle istituzioni politiche e sugli equilibri di potere.

L'artefice di questo tentativo di restaurazione fu Go Daigo, divenuto Imperatore nel 1318. Appartenente al ramo collaterale della dinastia regnante, il quale già da alcuni decenni era riuscito a ottenere la possibilità di accedere al trono avvicendandosi con la linea principale, egli intendeva escludere i membri di quest'ultima dalla successione imperiale50. Al fine di ottenere un maggior potere, nel 1321 Go Daigo provvide ad abolire il sistema degli Imperatori in ritiro (insei), trasferendo le prerogative sino ad allora assegnate a questo ufficio a organismi che sottostavano al controllo del sovrano51. Ma per realizzare le proprie ambizioni, occorreva aprire una disputa con il governo di Kamakura che andava ben oltre il piano politico; pertanto, Go Daigo cercò di guadagnarsi l'appoggio militare di quanti auspicavano la fine della supremazia degli Hojo. Di fronte ai ripetuti tentativi di complotto contro il bakufu (ai quali alcune importanti istituzioni buddhiste diedero un considerevole apporto sul piano politico e militare), nel 1331 Kamakura reagì punendo gli esponenti di rilievo e, quindi, inviando uomini armati a Kyoto. Dopo un breve e infruttuoso tentativo di difendersi dalle truppe degli Hojo, Go Daigo fuggì dalla capitale portando con sé i simboli dell'autorità imperiale, il cui possesso serviva a legittimare la posizione del sovrano. Egli fu però catturato e riportato a Kyoto, dove venne deposto a favore di un membro della linea principale, e quindi condannato all'esilio52. Ciò non impedì al fronte lealista di consolidarsi e di resistere alle truppe di Kamakura, né a Go Daigo di evadere nel 1333 dall'isola in cui era stato confinato.

Kamakura inviò quindi due contingenti di truppe verso ovest guidati da due generali, uno dei quali cadde in battaglia lasciando l'altro al comando delle forze shogunali presenti nella regione occidentale: si trattava di Ashikaga Takauji (1305-1358), destinato ad avere un ruolo di rilievo negli eventi successivi. La sua era una famiglia di nobili origini, che discendeva dal clan Minamoto e aveva consolidato una posizione di prestigio e di potere nella regione orientale. Trovandosi da solo alla guida delle milizie di Kamakura, Takauji non esitò a compiere un atto di insubordinazione schierandosi dalla parte della coalizione filoimperiale e rivolgendo le truppe di cui era al comando contro il potere degli Hojo. Il suo ingresso a Kyoto nel 1333, dove sconfisse la resistenza shogunale, fu seguito da quello di Go Daigo, che si reinsediò nella capitale. A est, nel frattempo, un altro valente capo militare, Nitta Yoshisada (1301-1338), completava la rovina degli Hojo attaccando Kamakura e distruggendo le sue istituzioni, mentre l'ultimo reggente compiva il suicidio rituale assieme ai suoi vassalli e servitori.

Questi eventi segnarono la fine del bakufu di Kamakura, mentre a Kyoto Go Daigo proclamò l'inizio dell'era Kenmu nel 1334 e diede inizio al suo progetto di restaurazione del potere. Tuttavia, esso si rivelò inopportuno e anacronistico, in quanto il ripristino del governo imperiale implicava in primo luogo la garanzia di maggiori entrate, e ciò sarebbe stato possibile solo assumendo la gestione delle contese per il controllo delle terre agricole, abolendo le immunità e riducendo il potere di shugo e jito. Go Daigo stesso parve essere consapevole di non possedere la forza per sovvertire il sistema di privilegi feudali consolidatosi nel Paese, né la coalizione che lo aveva sostenuto mantenne una sua coesione dopo la caduta di Kamakura. In realtà, se in un primo momento l'alleanza filoimperiale si coagulò attorno al comune obiettivo di eliminare la supremazia degli Hojo, il vero scopo che mosse i grandi clan guerrieri fu quello di partecipare alla competizione per ottenere maggior potere. Go Daigo doveva esserne conscio se, nel ricompensare quanti avevano sostenuto la sua causa, assegnò importanti cariche ai grandi capi militari (comprese quelle che sino ad allora erano state assegnate a funzionari civili, come la carica di governatore civile o kokushi), sebbene non mancasse di controbilanciare il peso da loro assunto mostrandosi altrettanto generoso con le istituzioni religiose. E' evidente, quindi, come molti provvedimenti varati dal sovrano contraddicessero gli obiettivi stessi della Restaurazione. Takauji, che disponeva di una forza militare maggiore di quella di qualunque altro capo militare, si ritenne insoddisfatto delle pur importanti cariche ottenute in alcune province orientali e, ancor più, del fatto che l'Imperatore aveva provveduto a concedere il titolo di shogun a suo figlio, il principe Morinaga. Nel 1336, dopo essersi ribellato al sovrano e aver sconfitto le truppe imperiali, Takauji poté di nuovo entrare trionfalmente a Kyoto, dove provvide subito a deporre Go Daigo sostituendolo con un Imperatore della linea principale. Qui Takauji stabilì la sede del suo governo, che ricevette la definitiva legittimazione nel 1338, anno in cui egli ottenne la carica di shogun.

Il tentativo di restaurazione compiuto da Go Daigo terminò quindi con la nascita di un nuovo governo militare nella capitale imperiale, e con un ulteriore spostamento del potere verso l'autorità militare. A livello amministrativo, egli aveva dato vita a una fusione tra cariche civili e cariche militari che, con il fallimento della restaurazione, consentì ai governatori militari di ottenere un potere maggiore rispetto a quello detenuto sino ad allora. La nobiltà civile e le istituzioni religiose, che già da tempo avevano visto diminuire la possibilità di reclamare i pieni diritti sugli shoen, si trovarono a essere scarsamente competitive di fronte ai jito e agli shugo, propensi a ricorrere all'esercizio della forza militare per ottenere il controllo, parziale o completo, sulle risorse agricole che i possedimenti fornivano. La stessa casa imperiale, pur mantenendo un ruolo e un prestigio a livello formale, si trovò privata delle proprietà che, al fine di ripristinare il governo imperiale centralizzato, erano state assegnate al tesoro pubblico. Più che limitare l'autorità dell'élite guerriera e riasserire il controllo economico e politico della Corte e dell'aristocrazia civile, l'opera di Go Daigo fornì dunque l'opportunità per procedere a una redistribuzione dei privilegi feudali che, per alcuni, significò un ulteriore consolidamento della propria forza. Ma la vittoria di Takauji e la nascita del bakufu a Kyoto non riportarono la pace nel Paese, che continuò a essere afflitto da turbolenze interne, fazionalismi e lotte civili da cui sarebbero scaturiti nuovi equilibri di potere.

 

 

Storia del Giappone
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