4. GLI SVILUPPI NELLA POLITICA INTERNA ED ESTERA NEGLI ANNI SETTANTA E OTTANTA.

 

Lo scardinamento dell'assetto feudale e la creazione di uno Stato prospero e forte rappresentò l'obiettivo comune attorno al quale si raccolsero i capi Meiji, i quali tuttavia non sempre furono concordi in merito al percorso da seguire per raggiungere questo fine. Di certo, per alcuni di loro l'eliminazione della classe militare e dei privilegi a essa concessi rappresentò un prezzo assai alto da pagare, anche in considerazione del diffuso malcontento suscitato dal livellamento sociale o dall'istituzione di un esercito di coscritti, che fu espresso anche con atti di terrorismo e con sommosse armate. Queste tensioni coinvolsero in modo diretto anche il governo quando alcuni suoi influenti membri, come Saigo Takamori e Itagaki Taisuke, si convinsero dell'opportunità di dare una dimostrazione di forza alla Corea, che si ostinava a rifiutare di riconoscere i cambiamenti avvenuti in Giappone dopo il 1868. In realtà, il progetto era stato concepito come una misura che avrebbe consentito agli ex samurai di riversare altrove le proprie insoddisfazioni e, anche, la propria aggressività. Questo piano continuò a raccogliere consensi durante il periodo in cui molti esponenti governativi erano all'estero con la Missione Iwakura, e Saigo si disse disposto persino a recarsi in Corea per essere ucciso in modo da avere un pretesto per aprire le ostilità. Ma al ritorno dei membri della Missione Iwakura, il dibattito sull'invasione della Corea ("seikanron") assunse i toni di un vero e proprio scontro, dato che visitando l'Occidente essi si erano persuasi che fosse necessario dare la priorità al rafforzamento interno piuttosto che all'aggressione esterna e che un atto simile implicasse il rischio di un intervento delle Potenze. Lo scontro giunse a un punto decisivo nell'ottobre del 1873, quando la scelta di accantonare il progetto provocò la fuoriuscita dal governo di alcuni importanti esponenti, primo fra tutti Saigo136. La frattura non fu ricomposta neppure quando, nel 1874, fu deciso di inviare una spedizione militare a Taiwan, con il pretesto di punire l'uccisione di un gruppo di marinai ryukyuani (definiti per l'occasione come «sudditi giapponesi») avvenuta nell'isola nel 1871137.

Il seikanron rappresentò un punto di svolta nella vita politica giapponese. In primo luogo, il governo in sostanza restò nelle mani dei rappresentanti di Satsuma e Choshu, con l'eccezione di Okuma Shigenobu, originario di Hizen138. Inoltre, la crisi coreana fece emergere con evidenza le diverse posizioni esistenti su temi di politica interna ed estera. Il motivo di dissidio tra «interventisti» e «attendisti» non riguardava l'eventualità di assumere l'espansionismo tra gli obiettivi della politica estera nipponica, ma i tempi e le modalità da adottare per raggiungere questo scopo. E' vero, infatti, che gli oligarchi rientrati in patria dopo il lungo viaggio (primi fra tutti Iwakura e Okubo) si erano ormai convinti che il successo della Nazione poteva essere conseguito solo a condizione che si riuscisse a stabilire un rapporto paritario con le Potenze occidentali e che ciò era possibile solo se il Giappone avesse raggiunto il loro livello di sviluppo. Il rifiuto dell'ipotesi di un'azione militare contro la Corea, pertanto, non fu mosso da una condanna a una politica estera aggressiva verso l'Asia, quanto piuttosto da un atteggiamento pragmatico che nasceva da un'attenta analisi delle condizioni interne al Giappone e della situazione internazionale. Vi era, infatti, il timore che un impegno militare sul fronte esterno, oltre a provocare l'intervento occidentale, avrebbe potuto scatenare pericolose reazioni in un Paese dove il processo di centralizzazione del potere e di consolidamento dell'unità nazionale era ancora in atto. Lo stesso Okubo si dichiarò contrario a un'azione contro la Corea in assenza della garanzia di neutralità da parte delle Potenze straniere. D'altra parte, furono questi stessi uomini che, restati alla guida del governo, procedettero a muovere le proprie flotte contro Taiwan nel 1874, a forzare l'apertura della Corea nel 1876 con metodi analoghi a quelli che gli occidentali avevano usato contro il proprio Paese e, nel 1879, a decretare la fine del Regno delle Ryukyu e ad annetterlo con lo status di provincia di Okinawa139.

I dimissionari, dal canto loro, continuarono a mantenere il loro dissenso nei confronti del governo, pur percorrendo vie diverse, che oscillarono tra la ribellione militare e l'impegno politico nei movimenti democratici e liberali. Agli inizi del 1874, ad esempio, Eto Shinpei si mise alla testa di una rivolta nella sua regione di origine, che fu duramente repressa dalle truppe governative. Gli ex samurai seguaci di Eto esprimevano così il loro risentimento contro un governo che accusavano di averli privati del loro status sociale e del monopolio sulle attività militari. In effetti, le misure che avevano cercato di compensare tali perdite si erano rivelate poco efficaci. Il governo, infatti, si era impegnato a creare altre possibilità di impiego per gli ex samurai, concedendo anticipi da investire nell'attività agricola e commerciale e favorendo la loro migrazione verso lo Hokkaido, sottoposto a una politica di ampia e rapida colonizzazione140. Nel 1873 era stata loro offerta l'opportunità di essere liquidati ottenendo una somma (pagata in parte in danaro e in parte in titoli di stato) pari a quattro-sei annualità di stipendio, che nel 1876 fu trasformata in un obbligo. La commutazione forzosa degli stipendi (Chitsuroku shobun), che coinvolse più di 300 mila capifamiglia, oltre ad alleviare l'onere finanziario del governo, forni agli ex samurai la possibilità di disporre di una certa quantità di capitale da investire in attività produttive. In effetti, alla classe samuraica tradizionale mancava l'esperienza e lo spirito imprenditoriale, sicché l'opportunità concessa da questo provvedimento fu sfruttata solo da una parte dei beneficiari, mentre molti altri furono trasformati in forza lavoro da impiegare in occupazioni varie, spesso piuttosto infime. Queste misure contribuirono ad alimentare ulteriormente l'insoddisfazione e il malcontento tra quanti non vollero o non riuscirono a sfruttare le opportunità fornite dal nuovo assetto economico-sociale. Questo, dunque, era il clima nel quale prese corpo la rivolta guidata da Eto nel 1874, alla quale ne fecero seguito altre, più o meno accomunate da una critica nei confronti dell'alto prezzo imposto dalla modernizzazione. Questo stesso clima si percepiva anche a Satsuma, dove Saigo Takamori si era ritirato dopo aver visto bocciare la proposta di invadere la Corea, diventando un punto di riferimento per i suoi seguaci e allievi. La turbolenta situazione divenne esplosiva agli inizi del 1877, quando da Satsuma si levò una ribellione di vaste proporzioni di cui Saigo assunse la guida. Gli scontri con le truppe governative si protrassero per diversi mesi, sino a quando i ribelli furono sconfitti e il loro capo, coerentemente alla tradizione samuraica, si suicidò. La rivolta di Satsuma rappresentò l'ultima minaccia militare per il governo Meiji e, nel complesso, confermò l'efficienza del nuovo esercito di coscritti, sebbene anche dopo questo successo non fosse del tutto eliminata l'opposizione degli ex samurai, i cui eccessi di frustrazione e di fanatismo continuarono spesso a manifestarsi sotto forma di atti estremi, come dimostrò nel 1878 l'assassinio di Okubo. Inoltre, durante e dopo la ribellione di Satsuma, tra le fila dell'esercito si registrarono sintomi di disaffezione alla causa nazionale; ciò sollecitò un impegno finalizzato a inculcare alle reclute un'obbedienza assoluta all'Imperatore e allo Stato attingendo non tanto all'esempio dell'Occidente, quanto al patrimonio ideale ed etico tradizionale, in linea con la più generale reazione che, come si vedrà tra breve, si ebbe tra la fine degli anni Settanta e gli inizi del decennio successivo.

Diversa fu invece la scelta compiuta dagli altri uomini che abbandonarono il governo a seguito del seikanron e che preferirono esprimere la loro opposizione in termini politici. Agli inizi del 1874, con l'appoggio di Goto, Soejima ed Eto, Itakagi diede vita a una società politica chiamata Aikoku koto (Partito pubblico patriottico) che, oltre a chiedere l'eguaglianza e i diritti del popolo e a tacciare la politica governativa di arbitrarietà e di scarso seguito tra il pubblico, presentò all'Imperatore una petizione per l'istituzione di un'assemblea popolare elettiva ("minkai")141. L'anno seguente fu fondato il primo partito politico nazionale, l'Aikokusha (Società dei patrioti), che assunse tra le sue priorità l'istituzione di un governo parlamentare costituzionale, la diminuzione dell'imposta fondiaria e la revisione dei trattati. Questi fermenti, pur se spesso effimeri e con uno scarso seguito nella società, furono ispirati dalle concezioni liberali e democratiche giunte dall'Occidente. In effetti, i primi anni dell'era Meiji furono contraddistinti da un diffuso desiderio di nuove conoscenze e da una disponibilità ad accogliere le espressioni più varie della cultura occidentale, in linea con quanto annunciato dall'Imperatore nel Giuramento del 1868: non solo gli usi, i costumi, i cibi o le innovazioni tecnologiche, ma anche le idee, i princìpi o le teorie, che si diffusero in primo luogo grazie a un'intensa opera di traduzione di opere straniere, da Esopo e dal Nuovo Testamento sino a Daniel Defoe, John Stuart Mill, Jean-Jacques Rousseau e Herbert Spencer. D'altra parte, lo slogan "bunmei kaika" (civiltà e progresso) affermatosi nel Giappone degli anni Settanta presupponeva che, per emergere dalla condizione di arretratezza, occorresse guardare alle società occidentali. Verso questo obiettivo, sostenuto energicamente dal governo, si indirizzò l'attività degli intellettuali che, nel 1874, fondarono il Meirokusha (Società del sesto anno Meiji), il quale dibatté temi di carattere sociale, politico, economico, scientifico, etico e culturale, riunendo molte tra le menti più brillanti e illuminate del periodo, come Nishimura Shigeki, Kato Hiroyuki e Fukuzawa Yukichi142. Tra i cambiamenti che più risentirono di questo clima illuminato va senza dubbio citata la riforma del sistema educativo, introdotta con un'ordinanza (Gakusei) del 1872 e ispirata al modello francese, la quale fissò le linee della politica scolastica nazionale, introducendo un sistema piramidale di scuole elementari, medie, istituti tecnici e università. Basata sull'idea che l'educazione costituisse il fondamento di una nazione moderna e un diritto da garantire a tutta la popolazione in età scolare, essa segnò il successo dei sostenitori dell'insegnamento scientifico occidentale i quali, nell'adozione dei "curricula" scolastici e dei metodi didattici, guardarono in primo luogo alle innovative teorie di Pestalozzi, Fröbel e Rousseau, promuovendo l'interesse e le inclinazioni dei giovani e assicurando agli insegnanti un'autonomia professionale. In questi stessi anni nacquero (e, allo stesso tempo, scomparvero) molteplici associazioni, movimenti e partiti politici più o meno direttamente ispirati alle idee di libertà, di sovranità nazionale e di rappresentanza popolare, come il Movimento per la libertà e i diritti del popolo (Jiyu minken undo), fautore di una Costituzione e di un Parlamento elettivo, sebbene in genere il loro orientamento, più che da un autentico interesse verso le istituzioni e le teorie politiche occidentali, scaturisse da un impulso antigovernativo.

In tutti questi esperimenti di istanza politica volontaria gli oligarchi Meiji videro un allarmante segnale, che rischiava di alienare settori della società dal proprio controllo e di allargare il consenso verso soluzioni distanti da quelle che prevalevano nel governo. A partire dal 1883, pertanto, una serie di provvedimenti limitò in modo sempre più rigido l'attività dei partiti politici, il cui potere sarebbe stato infine limitato in termini costituzionali. Le stesse modalità con cui il processo di occidentalizzazione aveva preso avvio parvero eccessive e indiscriminate, e una reazione tradizionalista, orientata a porre numerosi filtri all'ingresso delle conoscenze dall'estero, si attestò su una posizione ben più prudente, sintetizzata nello slogan "wakon yosai" (spirito giapponese, sapere occidentale). Un esplicito esempio del mutamento di rotta verificatosi dopo il primo decennio dell'era Meiji è rappresentato dagli interventi attuati nella politica educativa sin dal 1879, quando fu varata l'Ordinanza sull'educazione (Kyoikurei), che prevedeva una maggiore centralizzazione e un più rigoroso controllo del sistema scolastico. Essa ribadì il primato di una morale concepita in termini confuciani, dove non esisteva alcuna distinzione tra la sfera pubblica e la sfera privata dell'individuo, e identificò nel legame tra moralità, educazione e governo un requisito essenziale per la realizzazione del "fukoku kyohei". Scopo di questo provvedimento, che servì da modello per il sistema educativo prebellico, fu quello di formare i giovani preparandoli a diventare fedeli sudditi dell'Imperatore, in modo analogo a quanto avvenne nelle forze armate, dove i valori indigeni furono sempre più impiegati come strumento di indottrinamento ideologico143. Questi interventi, volti a preservare settori vitali della società dall'eco dei movimenti d'ispirazione liberale e comunque critici verso l'operato del governo, dimostrarono come fosse in corso una riaffermazione di tendenze conservatrici, proprio nel momento in cui alcune scelte essenziali per il futuro della Nazione parevano non essere più procrastinabili.

Per procedere alla revisione dei «trattati ineguali» (reputata indispensabile per riabilitare lo status del Giappone agli occhi della comunità internazionale e affrancare lo sviluppo del commercio dai vincoli posti alle tariffe doganali), infatti, occorreva proseguire nel lavoro di consolidamento delle istituzioni politiche ed economiche, decidendo in primo luogo i termini entro cui e a vantaggio di chi si dovessero operare tali scelte. D'altra parte, l'impegno verso la stesura di una Carta costituzionale era stato assunto sin dal 1868 e l'adozione di una qualche forma di rappresentatività popolare sembrava essere un impegno al quale il Giappone non poteva mancare se voleva dimostrare all'Occidente di essersi trasformato in uno Stato moderno. Tuttavia, gli oligarchi Meiji avevano di fronte un ampio ventaglio di possibili strade da percorrere: le stesse soluzioni proposte dai Paesi occidentali si presentavano assai diverse tra loro, oscillando dal liberalismo francese e inglese sino all'assolutismo monarchico della Prussia. Nella seconda metà degli anni Settanta si ebbero alcuni tentativi di elaborare una Costituzione, che comunque non riscossero un assenso unanime; la bozza predisposta da Inoue Kaoru, ad esempio, incontrò l'opposizione di Ito Hirobumi che la riteneva un calco troppo fedele ai documenti costituzionali occidentali e scarsamente permeato dalla tradizione. I fermenti politici che si registrarono in quegli anni, peraltro, non sembravano creare un clima propizio alla soluzione conservatrice che la maggioranza degli oligarchi auspicava. Una vera e propria crisi politica si ebbe agli inizi del 1881, quando un profondo disaccordo oppose le due più influenti personalità del governo: Okuma, propugnatore del modello inglese, premeva per un governo parlamentare da inaugurare nel giro di due anni, mentre Ito difendeva l'ipotesi di un governo trascendente (v. cap. 7 par. 3) da realizzare in un decennio. La minaccia di dimissioni intimata da Ito di fronte a una proposta che egli definiva miope e radicale fu sventata da un 'provvidenziale' scandalo che coinvolse il suo rivale costringendolo alle dimissioni. Eliminato l'unico uomo di Hizen sopravvissuto alla crisi coreana, il governo annunciò l'istituzione di un Parlamento entro il 1890. I lunghi e laboriosi preparativi della Costituzione furono condotti in primo luogo da Ito, che nel 1882 si recò in Europa per studiare da vicino i documenti costituzionali di vari Paesi. Dopo il suo rientro, egli elaborò un sistema di nobiltà articolato in cinque gradi, che entrò in vigore nel 1884, interessando circa cinquecento persone tra ex kuge, ex daimyo e oligarchi e creando le basi della futura Camera dei Pari. Nel 1885, in sostituzione del Dajokan, fu istituito il sistema di gabinetto, che riuniva i vari ministri sotto la guida di un Primo ministro responsabile verso l'Imperatore, da cui riceveva il mandato per formare il governo. Tale incarico fu assegnato a Ito, che lo mantenne sino al 1888, anno in cui andò a presiedere il Consiglio Privato (Sumitsuin), l'organismo creato per approvare la Costituzione e composto da membri nominati a vita dal sovrano. Intanto, egli presiedeva il gruppo ristretto deputato alla stesura della Carta costituzionale, cui collaboravano anche due consiglieri tedeschi144. Erano stati così predisposti quasi tutti gli organismi dell'apparato governativo, ma restavano da stabilire le modalità di composizione e le funzioni da attribuire a un'assemblea nazionale, ovvero i termini in cui sarebbe stata applicata la concezione di governo rappresentativo.

Per promulgare la Costituzione dell'Impero del grande Giappone (DaiNihon teikoku kenpo) fu scelta una data solenne, quella dell'anniversario della mitica fondazione dell'Impero giapponese, e l'11 febbraio 1889 fu presentata al Paese come un «dono» dell'Imperatore Meiji. Improntata precipuamente alla tradizione giuridica tedesca accogliendo anche suggerimenti al di fuori di essa e, comunque, coerente con l'ideologia dominante e con il sistema di potere istituito dall'oligarchia Meiji, essa sanciva in primo luogo l'inviolabilità della sovranità dell'Imperatore, cui spettava il controllo supremo del potere politico e delle forze armate, assieme a un potere legislativo maggiore di quello attribuito al Parlamento, avendo la competenza esclusiva di promulgare e cassare le leggi. L'Imperatore, inoltre, aveva il diritto di nomina del governo, i cui membri erano singolarmente responsabili di fronte a lui e non verso il Parlamento. Quest'ultimo era composto da una Camera dei Pari riservata alla nobiltà e da una Camera dei Rappresentanti eletta a suffragio ristretto e con poteri limitati, a eccezione del diritto di veto sulle leggi di bilancio145. Restavano poi svincolati da ogni controllo altri potenti organi, come il Consiglio Privato (che continuò a esistere anche dopo il 1889) e il ministero della Casa imperiale, nonché il gruppo di "gemo" (statisti anziani) composto dagli oligarchi originari di Satsuma e di Choshu. Al popolo venivano riconosciuti diritti e doveri, pur assegnando alla legge il potere di limitarli e rivelando in tal modo la premessa assolutistica su cui l'impalcatura costituzionale si reggeva. Sebbene presentasse varie incertezze in merito a poteri e competenze di alcuni organi e realtà politiche e ponesse forti limiti alla rappresentatività popolare, la Costituzione Meiji rappresentò nel suo complesso un'innovazione nella misura in cui gettò le basi di un moderno Stato di diritto e costituì il primo esempio di Costituzione moderna adottata in Asia. D'altra parte, come avrebbe in seguito ricordato lo stesso Ito, si trattò di mediare tra i «superstiti delle generazioni precedenti ancora tutti presi da idee teocratiche» e una più giovane generazione «ultraradicale nelle proprie idee di libertà»146.

 

 

Storia del Giappone
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