4. SOCIETA', CULTURA E ATTIVITA' INTELLETTUALE DEL PERIODO EDO.
Se buona parte del regime dei Tokugawa fu caratterizzata dalla limitazione dei contatti con il mondo esterno e dalla «grande pace» ("taihei") che seguì la rivolta di Shimabara, in questo periodo si ebbero mutamenti significativi per quanto concerne l'organizzazione politica, la struttura sociale, l'assetto economico e l'ambito culturale, i quali segnarono la transizione del Giappone al mondo moderno. Si tratta di aspetti che, in passato, molti studiosi hanno sottovalutato, preferendo considerare questo periodo come una fase scarsamente significativa al fine di rintracciare le basi su cui si fondò la modernizzazione a partire dal 1868. E' comunque oramai evidente, anche alla luce di quanto detto sopra, come nel periodo Edo risiedano le basi del rapido sviluppo che il Giappone Meiji conobbe in ambito economico-sociale, così come in quello culturale. D'altra parte, le condizioni del Paese all'inizio dell'era Sakoku differiscono per molti e rilevanti aspetti da quelle riscontrabili nella fase in cui esso ripristinò i contatti esterni. La marcata crescita economica che (seppure in modo eterogeneo a livello geografico e sociale) si registrò nel corso di tutto il periodo fornì nuove opportunità alla distribuzione della ricchezza, la quale di rado seguì le regole imposte dal governo militare in merito alla differenziazione delle classi sociali. Ciò introdusse una serie di elementi politicamente e socialmente destabilizzanti, com'è testimoniato dall'arricchimento sia di una parte della classe contadina che, come abbiamo visto, investì le eccedenze in attività extra-agricole, sia delle categorie legate alle attività commerciali e poste ai livelli inferiori del sistema mibun, da cui sempre più spesso vennero a dipendere economicamente i samurai. Questi ultimi, infatti, nonostante occupassero uno status sociale elevato, beneficiarono solo marginalmente del progresso economico disponendo di un'unica fonte di reddito costituita dagli stipendi in riso che ricevevano dal proprio signore. La società idealizzata dal regime dei Tokugawa e organizzata attorno alla priorità dell'attività agricola dovette cioè confrontarsi con il progressivo sviluppo dell'economia mercantile che, nonostante le barriere imposte al commercio estero, fu stimolata dall'aumento della popolazione residente nei nuovi centri urbani in continua crescita ed espansione.
I jokamachi, presso cui i daimyo concentravano i propri guerrieri-amministratori, si estesero con grande rapidità accogliendo mercanti, artigiani, carpentieri, manovali e lavoratori di altro genere, chiamati a soddisfare le esigenze della classe militare e andati ad accrescere la nuova classe chonin. In alcuni han si svilupparono centri importanti, con una popolazione di alcune decine di migliaia di persone, come Kanazawa, Nagoya, Sendai e Kagoshima, mentre verso la fine del Settecento a Osaka e a Kyoto vivevano circa trecentomila individui. In quello stesso periodo, Edo si era trasformata nella più estesa, vivace e popolosa metropoli del Paese, con circa 1 milione di abitanti, di cui pressappoco la metà viveva nella "shitamachi" (la «città bassa») che comprendeva i rioni commerciali. Oltre a essere il centro politico e amministrativo, Edo divenne anche il nucleo economico e culturale del Giappone, da cui si diramavano arterie stradali (in primo luogo il Tokaido) e canali navigabili che servivano al transito di ingenti quantità di merci, persone e informazioni. D'altra parte, l'imposizione del sankin kotai diede un marcato impulso alle attività commerciali e artigianali, mobilitando un'elevata quota della ricchezza prodotta negli han, che si spostava lungo la rete di comunicazioni in direzione di Edo, divenuta ormai la capitale dei consumi. Le città-castello vennero così a essere popolate da una varietà di persone che, pur appartenendo a diversi strati sociali, stabilivano tra loro contatti diretti e rapporti di reciproca dipendenza, condividendo uno stile di vita urbano, oltre a numerosi svaghi e interessi comuni. Nell'esistenza quotidiana, dunque, la classe guerriera, ormai stabilitasi in modo permanente nelle città-castello, risultò essere assai meno separata dal resto della società di quanto imponessero le rigorose barriere istituite dal sistema mibun, mentre i chonin andavano acquisendo un rilevante ruolo economico, nonostante lo scarso peso esercitato sul piano politico e la bassa posizione occupata nell'organizzazione sociale.
E' vero, infatti, che il governo centrale e locale era nelle mani della classe militare, trasformata in un corpo di burocrati che deteneva il monopolio delle funzioni amministrative al di sopra dei mura e dei centri urbani. A eccezione dello shogun, dei daimyo da lui delegati e dei vassalli cui era stato concesso un feudo, la classe militare era costituita da amministratori stipendiati che risiedevano nelle zone urbane, fossero esse le città-castello o la sede del bakufu. Vincolati ai loro compiti di governo da uno status ereditario, essi mantennero il potere politico e una posizione sociale privilegiata nel corso di tutto il periodo Edo, anche se la loro condizione economica mostrò evidenti sintomi di vulnerabilità a causa dell'ascesa dei ceti urbani e mercantili. Eredi della nobile tradizione militare, essi godettero del diritto esclusivo di portare due spade (una corta e l'altra lunga), sebbene il generale clima di pace li alienasse di fatto da ogni tipo di attività guerresca. Conformemente all'ideale "bunbu", la cultura ("bun") era per loro un dovere pari a quello delle arti marziali ("bu"), e ciò contribuì a trasformare la classe militare in una élite istruita, che si raccoglieva nelle scuole fondate nei vari han per coltivare gli studi confuciani, selezionare raccolte di leggi e normative, compilare storie locali e nazionali di rilevante valore, sviluppare nuovi campi di indagine in ambito filologico, dell'antichità e di critica letteraria99. Nel complesso, i samurai diedero al Paese un governo di certo autoritario e rigoroso, ma di rado arbitrario e nel complesso efficace, dato che i diritti e i doveri di ciascun individuo erano rigorosamente stabiliti, così come il loro status sociale e occupazionale. Inoltre, secondo la dottrina confuciana, il compito di garantire un governo benevolo ("jinsei") attraverso l'esempio personale, prima ancora che con il ricorso alla legge, era stato affidato loro dal Cielo e costituiva pertanto una responsabilità non solo politica, ma anche morale; ciò, assieme alla rigida separazione delle classi e al rispetto delle relazioni confuciane (in particolare quelle che riguardavano il legame signore-suddito e padre-figlio) era finalizzato a garantire l'armonia sociale e la stabilità politica. D'altra parte, il Neoconfucianesimo era orientato a disciplinare anche la sfera privata dell'individuo, il quale fu educato a coltivare le virtù di pietà filiale ("ko") e di lealtà e obbedienza ("chu") verso i superiori e a subordinare i propri bisogni e interessi a quelli della comunità di appartenenza.
Le leggi suntuarie, ribadite a più riprese, stabilivano per ogni classe sociale precise norme che regolavano vari aspetti della vita pubblica e privata, dal comportamento, dall'abbigliamento e dalla tesaurizzazione consentita sino alle attività di svago e alle opportunità di accesso all'istruzione e alle espressioni culturali, anche se l'applicazione di tali regole si scontrava spesso con le nuove condizioni createsi nella realtà cittadina. La stessa diffusione dell'educazione non fu limitata alla casta guerriera interessando pure i ceti rurali ricchi e le classi socialmente meno elevate delle zone urbane, dove fiorì una cultura di stampo borghese, espressione dei nuovi ceti emergenti in campo economico. Infatti, il progresso economico produsse un generale innalzamento del livello di vita (reso peraltro possibile anche da una crescita demografica relativamente contenuta), che fu accompagnato dall'allargamento dell'istruzione anche al di fuori dell'élite al potere e che contribuì a trasformare in modo significativo i costumi, le abitudini e il sistema di valori dei giapponesi. L'accresciuta possibilità di accesso all'istruzione fu resa possibile dalla creazione di numerose accademie private ("shijuku"), finanziate dall'amministrazione degli han e aperte anche ai giovani di estrazione non samuraica, e di scuole private, spesso annesse ai templi locali e note come "terakoya", che impartivano l'educazione ai figli dei contadini e dei chonin. Ciò consentì anche ad agiati mercanti, artigiani e (seppur in misura minore) contadini di acquisire un livello di istruzione superiore e, in alcuni casi, di divenire esperti in vari campi (dalla matematica e dalla botanica all'astronomia e all'ingegneria civile) o di affermarsi nel mondo intellettuale riservato in teoria alla classe guerriera. La crescita del tasso di alfabetizzazione (che verso la fine del periodo pare interessasse quasi la metà della popolazione maschile) è testimoniata dall'ampia circolazione di manuali di agronomia e di botanica nelle zone rurali, così come dalla rapida diffusione di opere destinate a un pubblico di lettori sempre più ampio e aventi come soggetto racconti edificanti, favole, cronache di viaggio, storie di vita e, soprattutto, le vicende amorose che si svolgevano dentro e fuori i quartieri di piacere delle maggiori città100.
I centri urbani, infatti, rappresentarono la culla di una nuova e vivacissima cultura popolare sviluppatasi a partire dalle grandi città del Giappone centrale e diffusasi via via anche nelle realtà urbane minori, contrapponendosi alla tradizione artistica e letteraria riservata a una ristretta cerchia di persone. Espressione dei gusti, dei costumi, dei valori e delle aspirazioni di una «borghesia» cui era precluso l'accesso alla sfera politica e amministrativa e l'avanzamento nella gerarchia sociale, la cultura chonin si orientò in genere verso la ricerca di ciò che risultava essere piacevole e divertente, prediligendo in primo luogo i temi amorosi ed erotici. L'ideale dello "ukiyo" (mondo fluttuante) era ispirato da una visione effimera della vita, che imponeva di cogliere l'immediato godimento di una realtà sfuggente, fosse esso suscitato da un fenomeno della natura, da un sentimento amoroso, dall'ebbrezza del sake, dal piacere di una gradevole compagnia o dal pur momentaneo distacco dai problemi quotidiani. Tale ideale veniva espresso in varie forme: nelle stampe e nei dipinti noti come "ukiyoe", resi celebri specie grazie all'opera di Katsushika Hokusai (1760-1849) e di Ando Hiroshige (1797-1858); nella narrativa popolare dove primeggiano gli "ukiyozoshi" scritti da Ihara Saikaku (1642-1693); nel teatro dei burattini ("joruri") e nel "kabuki", con le celebri opere di Chikamatsu Monzaemon (1653-1724); nella poesia "haiku", in cui eccelsero Matsuo Basho (1644-1694) e i suoi seguaci, Yosa Buson (1716-1783) e Kobayashi Issa (1763-1827). L'apogeo della cultura chonin è rappresentato in primo luogo dall'era Genroku (1688-1704), quando Edo si era ormai trasformata in una grande e affollata metropoli che aveva accolto le novità culturali generate nei grandi centri urbani di Osaka e Kyoto, mentre una nuova ondata di creatività e vitalità si registrò nelle ere Bunka e Bunsei (1804-1830). Il mondo animato e variopinto delle zone urbane presso cui si riversavano le masse popolari era costituito da negozi, teatri, bagni pubblici e sale da tè, nonché dai quartieri presso cui le prostitute erano state confinate per ordine shogunale (detti "kuruwa" o "yukaku"), come quello di Shimabara a Kyoto, di Shinmachi e Sonezakishinchi a Osaka e di Yoshiwara a Edo. Qui la cortigiana viveva in condizioni ben diverse rispetto a quelle che la morale vigente riservava al resto delle donne, costrette a sottomettersi ai genitori, quindi al marito e, infine, al figlio maggiore qualora questi fosse divenuto il capofamiglia. Il «mondo fluttuante» risultava attraente anche per i samurai i quali, entrando nei quartieri di divertimento, erano costretti a spogliarsi delle spade e a sottostare alle regole ivi imposte, tutte più o meno direttamente connesse alla disponibilità di denaro. La società chonin, comunque, non era scevra dai doveri e dalle responsabilità, né priva di ideali superiori o di un senso etico, così come peraltro dimostra il ricorrente uso nella produzione letteraria e artistica di due termini specifici: "giri" (dovere e ragione), il quale racchiude l'insieme degli obblighi cui è sottoposta l'esistenza sociale e privata dell'individuo, e "ninjo" (sentimenti umani), che designa le insopprimibili spinte passionali e sentimentali. Molti dei personaggi della letteratura chonin sono oppressi dal conflitto tra dovere e istinto che trova spesso una soluzione drammatica, come nel caso del doppio suicidio d'amore ("shinjii"). Il mondo dell'ukiyo rappresenta, in sostanza, una fuga da una realtà densa delle restrizioni e delle inibizioni dettate dall'ideologia ufficiale.
Durante tutto il periodo Edo, pertanto, si registrò un fermento intellettuale che interessò diversi livelli della società e riguardò vari ambiti, dalla sfera politica, sociale e filosofica sino al campo scientifico, letterario e artistico, costituendo un essenziale sostrato su cui si sarebbero fondati i progressi che il Paese avrebbe compiuto dopo la 'riapertura' e con la modernizzazione del Paese. Inoltre, la politica del sakoku non sempre comportò un completo disinteresse verso il mondo esterno. Già nel 1715 apparve l'opera "Seikyo kibun" (Note sull'Occidente) di Arai Hakuseki, uno dei più autorevoli intellettuali del periodo, già menzionato in qualità di consigliere di Ienobu e di Ietsugu. Qui lo studioso confuciano riportava i contenuti dell'interrogatorio cui egli aveva sottoposto un missionario italiano giunto clandestinamente in Giappone, Giovanni Battista Sidotti (1668-1715), assieme alle informazioni sulla geografia, sulla storia occidentale e sulla religione cristiana, mostrando un vivo apprezzamento per la scienza e la tecnologia dell'Occidente. Nel 1720, fu eliminato il bando all'importazione di opere occidentali, a esclusione di quelle relative al Cristianesimo, e fu consentito anche a coloro che non erano interpreti ufficiali di imparare l'olandese. All'inizio del secolo successivo, l'attività dei "rangakusha" (studiosi di cose olandesi) e degli "yogakusha" (studiosi di cose occidentali) si era diffusa in molti han, divulgando le nuove conoscenze acquisite in campo medico e in altre discipline scientifiche, mentre nel 1811 lo stesso bakufu provvide a fondare un centro di traduzione di opere occidentali. Pur restando sempre piuttosto remoto, dalla seconda metà del periodo Edo, dunque, l'Occidente prese a riaffacciarsi all'orizzonte del mondo intellettuale giapponese.
In questo stesso periodo nell'ambito degli studi confuciani si andarono creando zone di eterodossia, generate sia da una reazione al fanatismo che spesso pervadeva l'attività dei sinologi ("kangakusha"), sia dalla ricerca di soluzioni originali ai problemi del proprio Paese o, anche, dalla volontà di disegnare un profilo più netto e definito dell'identità del Giappone. E' in questo contesto che occorre ricordare l'attività degli studiosi di cose nazionali ("kokugakusha" o "wagakusha"), dediti a rivalutare la tradizione e i valori indigeni. Se l'indagine filologica avviata da Kada no Azumamaro (1669-1736) comportò una critica solo parziale nei confronti dei sinologi che assegnavano un'importanza secondaria allo studio delle cose nazionali, con i suoi eredi la reazione anticinese assunse una forma sempre più esplicita e radicale. Il suo allievo Kamo no Mabuchi (1697-1769), studioso di eccezionale erudizione e con un'eccellente conoscenza della lingua classica e arcaica, produsse una cospicua produzione letteraria, compresi i commenti del "Man'yoshu" e del "Kojiki". Qui i toni anticonfuciani si coniugano con un appello al ritorno alla tradizione indigena, laddove egli ritiene sia racchiuso il genuino spirito nazionale giapponese non ancora contaminato da elementi esterni. Erede di Mabuchi fu Motoori Norinaga (1730-1801), grazie al quale la scuola dei kokugakusha compì un salto qualitativo. Egli dedicò circa metà della sua vita alla compilazione del "Kojiki den" (Commento al "Kojiki", in 48 libri), un capolavoro che ha reso possibile ai posteri la possibilità di leggere e comprendere l'opera redatta agli inizi dell'ottavo secolo. Quel che appare rilevante qui sottolineare è il risvolto politico dell'attività di Norinaga, dato che egli compì una rivalutazione degli antichi miti shintoisti e ripropose il ruolo storico del tenno, gettando in tal modo le basi ideologiche su cui si sarebbe fondata la Restaurazione del potere imperiale nel 1868. Ma dall'indiscussa riverenza verso lo shinto e dall'esaltazione della purezza e della spontaneità racchiuse nello spirito nipponico, rigidamente contrapposta al sistema filosofico e razionale del Neoconfucianesimo, avrebbe attinto pure il nazionalismo sfrenato che si affermò in Giappone nel periodo successivo alla prima guerra mondiale. Fu però Hirata Atsutane (1776-1843) a dare alle sue opere un esasperato tono nazionalista e xenofobo, non solo in quanto dichiarò la superiorità dello Shintoismo rispetto a tutti gli altri culti, ma soprattutto perché affermò che il Giappone fosse un Paese unico e sacro essendo stato creato dai kami. In tal senso, egli riconosceva al sistema nazionale ("kokutai") un carattere esclusivo, data la natura divina della dinastia regnante e il suo inalienabile diritto sovrano. Affermazioni, queste, che le autorità feudali reputarono sovversive al punto da esiliare Atsutane e da proibire la pubblicazione dei suoi scritti.
Nel complesso, l'attività dei kokugakusha contribuì non solo a segnare il distacco dalla concezione sinocentrica che aveva a lungo dominato il mondo culturale e intellettuale giapponese, gettando le basi per il primato che il Giappone avrebbe asserito in Asia dopo il 1868, ma anche a preparare il terreno sia al ritorno allo Shintoismo e alla sua trasformazione in un culto di Stato nel periodo Meiji, sia al consolidamento di un'idea di identità nazionale ispirata al principio di esclusività e di unicità. Nelle concezioni di questi studiosi, inoltre, erano racchiusi i germi che impressero al moderno nazionalismo quel carattere razziale che avrebbe trovato una drammatica applicazione nel corso degli anni Trenta e Quaranta del ventesimo secolo. Questo fermento intellettuale costituì, in definitiva, uno degli ingredienti di cui la classe dominante giapponese si servì per edificare la nazione moderna.