4. CRONOLOGIE E PERIODIZZAZIONE.

 

Le cronologie riguardano i sistemi di datazione usati per misurare il tempo e forniscono, oltre a un'importante indicazione su come esso sia stato percepito in diverse epoche e civiltà, una sorta di quadro generale entro cui collocare e analizzare i fenomeni storici.

Nel corso dei secoli, i giapponesi hanno impiegato vari metodi di datazione e, sebbene la storiografia occidentale faccia riferimento al proprio sistema cronologico anche in relazione al Giappone, il calendario cristiano non è stato qui usato per scandire la successione del tempo. D'altra parte, neppure l'introduzione del calendario gregoriano in sostituzione di quello lunare (avvenuta allorché il sesto giorno del dodicesimo mese del 1872 divenne il primo gennaio dell'anno successivo) comportò un sostanziale mutamento nell'uso del tradizionale sistema di datazione, noto come "nengo". Di origine cinese, esso riservava alla Corte imperiale la prerogativa di decidere l'inizio di un'era, alla quale veniva assegnato un nome che poteva riferirsi a un preciso evento o avere un significato puramente simbolico. La successione degli anni veniva calcolata a partire dal primo di ciascuna era che, in genere, copriva un ristretto arco di tempo, talvolta persino un solo anno. In Giappone, il nengo fu adottato per la prima volta nel 645 d.C., quando l'avvio di un'importante opera di riforme ispirate al modello cinese fu celebrato inaugurando l'era Taika (espressione che significa «grande cambiamento»). Pertanto, il 645 dell'era cristiana corrisponde, secondo la cronologia nengo, al primo anno dell'era Taika. L'inizio e la conclusione di un'era non erano sempre determinati da eventi di rilievo storico. Ad esempio, la decisione di dare avvio nel 650 all'era Hakuchi (del «fagiano bianco») fu mossa da un episodio di scarsa rilevanza storica, ma evidentemente ritenuto degno di essere celebrato e ricordato in futuro: il dono al sovrano di un raro esemplare di fagiano bianco, appunto. Dopo alcune brevi interruzioni, la pratica del nengo fu ripristinata dalla Corte imperiale per misurare e ritmare il tempo della storia.

A partire dal 1868, si affermò l'uso del cosiddetto "issei ichigen", secondo cui la durata di un'era coincide con il periodo di regno di ciascun sovrano, come peraltro era avvenuto fino al 645. I grandi cambiamenti avviati sotto la guida dell'Imperatore Mutsuhito diedero così inizio all'era Meiji; l'ascesa al trono dell'Imperatore Yoshihito nel 1912 segnò l'avvio dell'era Taisho; quella dell'Imperatore Hirohito nel 1926 all'era Showa, mentre nel 1989, con la successione dell'Imperatore Akihito, il Giappone è entrato nell'era Heisei. A questo sistema di datazione i giapponesi fanno riferimento ancora oggi (come testimoniano numerosi esempi, dai documenti anagrafici e dai quotidiani fino al marchio di confezionamento dei prodotti alimentari), anche se a esso va affiancandosi sempre più frequentemente l'impiego del sistema di datazione applicato in Occidente. Così, se l'arrivo dell'anno 2000 è stato celebrato in Giappone in modo più o meno analogo a quanto accadeva in altre parti di un mondo sempre più globalizzato, la data dell'11 novembre 1999 è stata accolta soltanto dai giapponesi come foriera di buoni auspici, visto che proponeva una (a detta degli esperti) rara combinazione di numeri uguali: si trattava, infatti, dell'undicesimo giorno dell'undicesimo mese dell'undicesimo anno dell'era Heisei.

Dalla Cina fu pure importato il sistema del ciclo sessagesimale, detto in Giappone "kanshi" o "eto", dove dalla sistematica combinazione di un certo numero di caratteri cinesi (dieci «tronchi celesti» e dodici «rami terrestri») prendeva nome ciascun anno all'interno di un periodo di sessanta anni, in una ripetitività ciclica11. Limitandosi a specificare l'anno all'interno di questa incessante successione di periodi di sessant'anni, tale sistema non era di per sé sufficiente per stabilire a quale ciclo esso si riferisse e, dunque, per procedere a una datazione certa in assenza di altri punti di riferimento cronologico, in genere rappresentati dai nengo.

Quanto detto sinora indica come i giapponesi fossero restii a calcolare il tempo in termini di secoli o di millenni, come invece accade nel calendario cristiano o in quello islamico. Un'eccezione è comunque rappresentata dalla cronologia adottata dopo il 1868, che identificava il 660 a.C. (anno in cui la mitologia giapponese faceva risalire l'ascesa del primo Imperatore) come il momento di inizio della «storia nazionale». Nel 1940, nel pieno della stagione bellica, della mobilitazione nazionale e del dispiegamento della propaganda ultranazionalista, il Paese celebrò solennemente un importante anniversario: i 2600 anni dalla fondazione dell'Impero. Questa cronologia, già allora considerata inattendibile da alcuni studiosi, fu superata con lo smantellamento delle istituzioni e dell'ideologia di regime che seguì la fine del secondo conflitto mondiale; il progressivo riavvicinamento al mondo occidentale (compiuto anche da una parte della storiografia) ha portato a un maggiore impiego del sistema di datazione cristiana, per lo più usato in riferimento ai tempi lunghi della narrazione storica e, comunque, concepito in genere come uno strumento complementare al tradizionale sistema del nengo.

La periodizzazione si basa invece sull'osservazione e sulla ricostruzione di un fenomeno storico, fondate sull'analisi e su una determinata visione della storia. Essa è dunque inscindibile dal lavoro dello storico, il quale individua l'inizio e la fine di un certo fenomeno selezionando i fatti, stabilendo tra loro un nesso e un ordine di priorità, rintracciando gli elementi di continuità e di rottura, proponendo un'interpretazione generale di cui la denominazione assegnata al periodo è una sorta di sintesi. Pertanto, la periodizzazione è tesa a dare un senso al fenomeno storico, la cui durata non sempre coincide con i limiti definiti dalla cronologia. Essa è collegata a un complesso e articolato dibattito storiografico che, nel caso del Giappone, è stato ulteriormente arricchito dall'incontro della storiografia tradizionale con quella occidentale.

Nel tentativo di fornire una sintesi degli orientamenti prevalenti in Giappone riguardo alla periodizzazione, sembra utile accennare innanzi tutto ad alcune sopravvivenze, nella storiografia contemporanea, del sistema del nengo che gli storici giapponesi adoperarono sino a buona parte del diciannovesimo secolo. La dicitura «era Taiho» (701-704), per esempio, è di solito impiegata per indicare la riorganizzazione della struttura legale del governo imperiale prevista dalle norme penali e amministrative introdotte nel 702, le quali costituirono la base delle istituzioni legali del Giappone per molti secoli (v. cap. 1 par. 5-6). Un altro esempio è rappresentato dall'«era Onin» (1467-1469), che copre solo in parte la durata dell'omonima guerra (1467-1477), la quale ha rilevanza storiografica nella misura in cui essa viene collegata con il tramonto di ogni forma di autorità centrale ed è considerata come un fondamentale passaggio verso la piena maturazione del feudalesimo giapponese (v. cap. 3 par. 3). E, più avanti, l'«era Genroku» (1688-1704) indica uno dei momenti di massima fioritura della cultura espressa dalla nuova società urbana, mentre, da un punto di vista politico (v. cap. 4 par. 4), si riferisce piuttosto al drastico peggioramento delle finanze del governo militare verificatosi sotto Tokugawa Tsunayoshi ("shogun" dal 1680 al 1709) e dovuto in larga parte ai suoi dissennati sperperi e alle sue stravaganti spese.

I casi citati mostrano che la storiografia contemporanea ricorre alla terminologia del sistema di datazione imperiale, di per sé priva di significato storico, laddove essa si presta ad assumerlo: può esprimere la sintesi o la generalizzazione di un fenomeno, indicandone una fase esemplare o sintomatica, oppure il momento d'inizio, di transizione o di rottura. Questa terminologia, quindi, viene usata in riferimento a fenomeni che in genere coprono un arco di tempo che va al di là dei limiti cronologici dei nengo. Il suo impiego nel sistema di periodizzazione è comunque alquanto limitato e non consente di coprire la totalità dell'esperienza storica giapponese, così come invece avviene nel caso del sistema affermatosi nel tardo diciannovesimo secolo.

Fu allora, infatti, che gli storici giapponesi si rivolsero a un nuovo concetto, "jidai" (traducibile con era o periodo), il quale venne usato in relazione sia ai nomi delle località ove risiedeva l'autorità politica dominante (Yamato, Kamakura, Muromachi, eccetera), sia ai cognomi di famiglie, esterne a quella imperiale, detentrici del potere politico (Fujiwara, Hojo, Ashikaga, Tokugawa, eccetera). Pertanto, se Nara jidai prende nome dal periodo in cui la capitale imperiale ebbe sede a Nara (dal 710 sino al 784, seppure con taluni momentanei trasferimenti del governo imperiale altrove - v. cap. 1 par. 6), Ashikaga jidai indica la fase in cui la carica di shogun fu detenuta da membri della famiglia Ashikaga (1338-1573 - v. cap. 3 par. 2-3). Il sistema dei jidai si affermò tra le successive generazioni di storici e resta tuttora quello cui fa riferimento gran parte della storiografia giapponese.

Tuttavia, questo sistema di periodizzazione non è privo di discordanze circa la sua definizione e il suo uso. Per esempio, con Fujiwara jidai alcuni storici intendono il periodo in cui l'omonima famiglia mantenne una posizione di supremazia a Corte, stabilendo legami matrimoniali con membri della famiglia imperiale; non esiste, però, una concordanza di opinioni nell'individuare gli eventi che segnarono l'avvio e la conclusione del periodo dominato dai Fujiwara, la cui ascesa al potere fu lenta e progressiva quanto il loro declino (v. cap. 2). Un ulteriore problema riguarda la rilevanza storica attribuita alla fase in cui questa famiglia esercitò la propria egemonia: si tratta di un processo unitario, distinto da un periodo precedente in cui la Corte imperiale ebbe un ruolo più attivo nell'esercizio del potere politico, oppure tale fase va analizzata contestualmente a un fenomeno più ampio, che riguarda piuttosto il ruolo politico svolto nel suo complesso dall'aristocrazia civile, interna o vicina alla Corte, identificando il passaggio del potere nelle mani di un'élite militare come effettivo punto di transizione verso una nuova era?

D'altra parte, Heian (l'attuale Kyoto) fu la capitale imperiale per oltre un millennio, dal 794 sino agli inizi del 1868; eppure, quando parlano di Heian jidai, gli storici si riferiscono in genere ai primi quattro secoli del ben più lungo arco di tempo in cui essa restò sede del governo imperiale. Ciò perché, più che fissarsi sulla continuità rappresentata dalla permanenza della capitale a Heian, la loro attenzione è attratta dai mutamenti intervenuti in ambito politico, economico, sociale e culturale nella seconda metà del dodicesimo secolo: l'allontanamento del potere politico-amministrativo e militare dalla famiglia imperiale e dall'aristocrazia di Corte residenti a Heian; l'affermarsi di un'aristocrazia guerriera composta da militari professionisti; lo sviluppo di inedite forme di controllo sulle risorse agricole del Paese e di rapporti economico-sociali; la diffusione di una mutata visione della realtà e del mondo, di nuovi valori di riferimento, di forme di religiosità e di codici estetici rinnovati.

Questi esempi dimostrano che periodizzare significa pensare, selezionare, interpretare e, talvolta, compiere anche una deliberata opera di mediazione e di semplificazione, specie se ciò può essere d'ausilio a una narrazione storica che abbia finalità didattiche, com'è il caso del presente lavoro. Qui l'uso dei jidai seguirà la convenzione che predilige, laddove è possibile, l'impiego dei nomi delle sedi dell'autorità politica a quello dei cognomi di clan egemoni, con il preciso intento di attirare l'attenzione anche in direzione di contesti più o meno distanti dai centri di esercizio del potere, ma anche con la profonda consapevolezza dei limiti insiti nell'impiego di una data al fine di stabilire il passaggio da un periodo a un altro. E' vero, infatti, che il punto di inizio e di conclusione di un jidai coincide con un evento il quale ha valore più per la storia politica che non per la storia sociale, economica o culturale, e che ciò tende a porre in secondo piano i «tempi lunghi» di alcuni fenomeni storici. A questo problema si è tentato di ovviare (come peraltro emerge dall'articolazione stessa dei capitoli) presentando alcuni fenomeni economico-sociali e socio-culturali che, pur non trovando un preciso riferimento nel sistema di periodizzazione convenzionale, si ritiene abbiano svolto un ruolo essenziale nel processo storico giapponese.

D'altra parte, occorre per ultimo ricordare come la stessa storiografia giapponese abbia ormai da tempo preso a confrontarsi con la necessità di adottare una periodizzazione che risponda non solo alle esigenze proprie della storia politica o istituzionale. Già agli inizi del Novecento fu suggerito di suddividere la storia del Giappone in quattro grandi periodi: l'età dei clan ("uji") o Yamato, antecedente al 645; l'età dell'aristocrazia civile ("kuge"), grosso modo corrispondente ai periodi di Nara e di Heian; l'età dell'aristocrazia militare ("buke"), che aveva visto la sede shogunale passare da Kamakura a Muromachi e quindi a Edo; e infine l'età moderna avviata con la Restaurazione del potere imperiale nel primo anno Meiji (1868). Un quinto periodo fu aggiunto allorché, considerando l'evoluzione che il feudalesimo aveva conosciuto nel corso dell'età dominata dall'aristocrazia guerriera, si ritenne opportuno collocare la fase di transizione verso una nuova forma di feudalesimo attorno al 1568, anno in cui, occupando Kyoto, Oda Nobunaga avviò il processo di riunificazione del Paese. Analogamente, la crescente consapevolezza che già dalla metà del periodo Edo (1603-1867) si fossero venute a creare condizioni economico-sociali e culturali tali da retrodatare l'inizio dell'età moderna attorno alla metà del diciottesimo secolo spinse a inserire nella periodizzazione anche un'età contemporanea, che alcuni studiosi ritengono abbia preso avvio con la Restaurazione del potere imperiale nel 1868, mentre altri identificano con il periodo successivo al 1945.

L'influenza esercitata dalla storiografia occidentale ha spinto a un riadattamento di questa periodizzazione articolata in sei diverse epoche, seguendo il suggerimento di due modelli europei. Da un lato, quello marxista che, com'è noto, propone una periodizzazione fondata sull'evoluzione economico-sociale della società, la quale si sviluppa attraverso il comunismo primitivo nella fase asiatica, la società schiavistica nella fase antica, la società feudale nella fase medievale e infine la società capitalistica nella fase borghese; dall'altro, quello che, privilegiando piuttosto le trasformazioni intervenute nelle istituzioni politiche, divide la storia in un'età primitiva (in giapponese "genshi"), una antica ("kodai"), una medievale ("chusei"), una prima età moderna ("kinsei"), un'età moderna ("kindai") e un'età contemporanea ("gendai"). Nonostante l'influsso esercitato dalla storiografia marxista su molti studiosi giapponesi e l'apporto dato nel fornire nuovi strumenti all'analisi dei fenomeni economico-sociali, è il secondo modello a essersi affermato nel sistema di periodizzazione in Giappone, come dimostrano alcune importanti opere, quali la monumentale "Storia del Giappone" pubblicata all'interno della serie "Iwanami koza".

 

 

STORIA DEL GIAPPONE.

 

 

Storia del Giappone
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