4. IL «TENNOSEI FASHIZUMU».
Con l'espressione "tennosei fashizumu" (fascismo del sistema imperiale) la storiografia giapponese indica il regime che si costituì tra le due guerre mondiali con la saldatura di interessi del blocco di potere dominante formato da zaibatsu, alti comandi militari, funzionari civili superiori, uomini politici, Camera alta e Corte imperiale. Fu un blocco di potere che depotenziò il «movimento» fascista, espresso dalle istanze rappresentate dal coacervo di idee esposte da Kita Ikki, e che occupò lo Stato "dall'interno", con una progressiva azione di soffocamento dei diritti civili e delle già limitate libertà politiche.
I sostenitori della tesi della formazione di un regime compiutamente fascista in Giappone sono costantemente chiamati a confrontarsi con studiosi sia giapponesi sia occidentali. Gli storici giapponesi che negano l'esistenza del tennosei fashizumu fanno parte di quella corrente non revisionista che non ha rivisitato il processo storico del Paese a partire dalla critica all'alleanza con l'Italia fascista e la Germania nazista e alla demagogia insita nell'idea di fondare un «Nuovo Ordine» in Asia. In sostanza, essi non considerano opportunamente l'aspirazione nutrita dal blocco di potere di spartirsi il mondo e di assegnare al Giappone il ruolo di «guida» dell'Asia. Gli storici del fascismo italiano e del nazismo, talora troppo ancorati a un concetto di fascismo esclusivamente fondato sull'analisi della storia d'Italia e Germania, risentono, inoltre, dell'influenza della storiografia statunitense. Quest'ultima è incline a dare un'interpretazione meramente ideologica del fascismo e trascura riflessioni e una sintesi complessive che investano le dinamiche dell'economia monopolistica e delle pressioni sulla società attraverso la repressione e l'organizzazione del consenso. Inoltre, sottovaluta il ruolo fondamentale svolto dalla burocrazia giapponese, vero fulcro e centro dinamico del tennosei fashizumu. In sostanza, prescinde non solo dalle interpretazioni dei marxisti non ortodossi ma anche di Max Weber e dei teorici della modernizzazione.
Il più incisivo contributo all'analisi del tennosei fashizumu è dello scienziato politico Maruyama Masao, che nel 1946 avviò un'approfondita analisi del regime giapponese tra le due guerre mondiali. Detto in estrema sintesi, egli introdusse la distinzione tra «fascismo dal basso» (o «movimento») e «fascismo dall'alto» (o regime) e pose in rilievo come il regime giapponese si concretò in maniera strisciante «dall'alto», avviando il processo di occupazione dello Stato ancor prima della sconfitta del movimento rappresentato da Kita Ikki e dalla miriade di associazioni reazionarie pullulanti negli anni Venti e nei primi anni Trenta. Maruyama, poi, pose a se stesso e agli studiosi una fondamentale questione: quali furono le «peculiarità» del tennosei fashizumu che lo differenziano dai regimi del fascismo italiano e del nazismo tedesco e come quei caratteri avessero generato «assenze» che in apparenza potrebbero condurre a negarne il carattere fascista, ma a una più attenta analisi, al contrario, ne confermano il completamento.
Le peculiarità individuate da Maruyama sono il "kazokushugi" (familismo), il "nohonshugi" (tradotto per comodità con «ruralismo», ma che sta a indicare che «la ruralità è l'essenza di ogni principio») e il "panAjiashugi" (panasiatismo). Il familismo postula all'interno della società rapporti di tipo familiare. Tutta la società e la razza giapponese - essendovi in Giappone confini indefiniti tra società, razza e popolo - non sarebbe altro che una sorta di famiglia allargata di origine comune (il Pantheon shintoista), con il ramo principale costituito dalla famiglia imperiale e i rami collaterali formati da tutto il popolo. Oltre, quindi, al rapporto tra sovrano e sudditi, il tenno sarebbe a loro legato da una relazione tra padre benevolo e figli fedeli, residuo della tradizione confuciana. In questa gabbia ideologica si inserì la teoria del "keiei kazokushugi" (familismo imprenditoriale) che, assumendo dapprima connotazioni paternalistiche, fu poi alla base del corporativismo di tipo giapponese. In sostanza, le tesi della Kyochokai (che proponeva la collaborazione tra capitale e lavoro, vedi "ante") furono la premessa per la costituzione delle già ricordate associazioni patriottiche.
Il «ruralismo» è una teoria che pone al centro della società la comunità agricola, con il suo spirito di autogoverno. Partendo da questa premessa, il regime fascista fece del «ruralismo» il fondamento per il modello sociale del sistema imperiale. La comunità agricola, tutta tesa a mantenere la «armonia sociale» (altro principio della morale confuciana), doveva rappresentare il modello ideale al quale tutta la società giapponese doveva ispirarsi e conformarsi. Quindi, una società priva di contraddizioni e, dunque, di conflitti e di antagonismi.
Il panasiatismo, infine, velava sotto la demagogia dell'unione di «tutti i popoli e i Paesi dell'Asia sotto la guida del Giappone» le mire espansionistiche sul continente e nei mari del Sud contro l'egemonia dell'«imperialismo bianco», cioè occidentale. L'imperialismo giapponese assunse una forma particolare. A differenza di quella statunitense, incentrata su investimenti finanziari in Paesi sottosviluppati, la dominazione giapponese si fondò sull'occupazione di territori al fine di garantire sia le materie prime, di cui il Giappone è poverissimo, alle proprie industrie, sia la penetrazione sui mercati, sia gli investimenti dei capitali zaibatsu, finanziariamente assai più deboli rispetto ai capitalisti stranieri. A questo riguardo, è emblematica la già ricordata invasione della Manciuria, dove operava dal 1906 la ferrovia sud-manciuriana. Dopo la costituzione dello Stato fantoccio del Manchukuo, i capitali zaibatsu fruirono dei vantaggi dell'egemonia giapponese, tanto da sollevare le proteste degli investitori statunitensi e britannici. Lo scontro politico si concluse nel 1933, anno in cui, come già accennato, l'invasione giapponese fu condannata dalla Società delle Nazioni che, pertanto, fu abbandonata dal Giappone.