5. IL PROCESSO DI CREAZIONE DELLO STATO IMPERIALE NEL GIAPPONE STORICO.
Le turbolenze che accompagnarono l'introduzione del Buddhismo ebbero evidenti riflessi sull'attività militare nella penisola coreana, dove il Giappone cominciò a perdere il proprio controllo a partire dal 532, quando le truppe inviate per sostenere la difesa di Paekche contro l'attacco di Siila riportarono una pesante sconfitta. Nel 562, il controllo di Mimana fu del tutto compromesso e per circa un secolo vi furono saltuari tentativi di riconquistare le basi in Corea; tuttavia, le ambizioni giapponesi furono ridimensionate con la riunificazione della Cina sotto la dinastia Sui nel 589 e, quindi, con l'unificazione della Corea avvenuta nel 668, quando Siila, appoggiata dalle truppe cinesi, riuscì ad annientare Koguryo. Ciò dimostra come il capo Yamato, che aveva ormai assunto le sembianze di un sovrano e aveva stabilito un'organizzazione amministrativa sulle circostanti province (chiamate "kuni"), esercitasse un potere solo formale, che non gli consentiva di disporre delle risorse necessarie né per proseguire l'attività militare d'oltremare, né per difendersi dalla minaccia che sembrava provenire dal continente, dove la Cina si era alleata con Siila e andava consolidandosi sul piano interno e nella politica estera. Così, la Cina venne a rappresentare una potenza da temere, ma anche un modello da cui trarre ispirazione per creare uno Stato unificato e forte, divenendo in tal modo un essenziale termine di confronto per il Giappone. Il timore dell'espansionismo cinese, palese nell'opera di fortificazione avviata nella seconda metà del settimo secolo, avrebbe infatti contribuito ad accelerare il processo di centralizzazione del potere, nel corso del quale si attinse ampiamente dalle istituzioni che stavano alla base della stessa potenza dell'Impero sotto i Sui e poi sotto i Tang.
La vittoria dei Soga, il cui merito spettò innanzi tutto al capo del clan, Soga no Umako, aprì le porte all'arrivo di monaci, reliquie, artigiani e costruttori di templi, che in gran parte provenivano dalla penisola coreana e che diedero un apporto determinante alla diffusione del Buddhismo tra le classi dominanti. Nella zona di Asuka (situata poco a sud di Nara), dove furono stabilite le sedi della Corte Yamato, la nuova religione prese a fiorire producendo opere artistiche e architettoniche di grande valore19. Tra queste occorre ricordare innanzi tutto lo Asukadera, fatto edificare dai Soga e ultimato nel 596, che si ritiene sia stato il primo vero tempio buddhista costruito in Giappone20. L'esempio dei Soga fu seguito da altri importanti uji, producendo templi con forme architettoniche inedite che, nel giro di tre decenni, pare avessero quasi raggiunto il numero di cinquanta, mentre il clero buddhista doveva aggirarsi attorno alle mille e quattrocento persone, in gran parte di provenienza coreana. Questi edifici erano i nuovi simboli della potenza dei grandi uji, che mostravano di avere un alto grado di indipendenza dal clan Yamato, non ancora sufficientemente forte per dirimere le contese tra i capi locali e per affermare l'autorità assoluta su di essi. In particolare, furono i Soga a rappresentare una minaccia per l'egemonia dell'uji Yamato, dato che il successo militare garantì loro una posizione predominante, rafforzata anche dall'uso politico della nuova religione, di cui furono i maggiori sostenitori e mecenati, e dai contatti diretti stabiliti con il clero buddhista. Da questa posizione privilegiata fu possibile persino tentare di usurpare l'autorità del sovrano.
Infatti, dopo aver sconfitto i propri avversari, Soga no Umako si impegnò per consolidare il proprio potere a Corte, facendo uccidere l'Imperatore in carica che, pur essendo suo nipote, contrastava le ambizioni del capo Soga. Nel 592 salì così al trono l'Imperatrice Suiko, legata ai Soga da parte materna, che regnò sino al 628 e che fu la prima donna ad accedere a questa carica. Allo stesso tempo, un principe sposato a una donna del clan Soga fu nominato reggente ("sessho") dell'Imperatrice in carica, assumendo di fatto le redini del governo (10). Fu questo Principe, noto con il nome postumo di Shotoku Taishi (574-622), a dominare per alcuni decenni la scena politica e a farsi promotore di importanti riforme che avrebbero gettato le basi dello Stato imperiale.
La figura di Shotoku Taishi occupa una posizione di rilievo nella storia ufficiale giapponese; le cronache più antiche gli riservano un trattamento privilegiato come fervente buddhista che svolse un ruolo essenziale nella diffusione della nuova religione, così come nell'adozione delle idee, la cultura e le istituzioni cinesi. A lui sono attribuite azioni prodigiose, che tuttavia sembrano essere più il frutto di un'idealizzazione che della realtà. E' probabile, infatti, che la sua opera di rafforzamento dell'istituto imperiale fosse ispirata da sentimenti meno nobili rispetto a quelli che in genere gli vengono riconosciuti, mirando al consolidamento dell'autorità dei Soga che ormai si erano infiltrati nell'ambiente di Corte; ciò implicava il ridimensionamento del potere di tutti gli altri grandi capi locali e questo fatto risultò comunque utile al rafforzamento del governo centrale. Tuttavia, al di là degli scopi che mossero la sua attività, è indubbio che il suo contributo fu determinante nello stabilimento di un solido legame del Buddhismo con l'istituzione e il governo imperiali, così come nell'adozione delle concezioni cinesi cui prese a ispirarsi la creazione di uno Stato centralizzato. Sotto la guida di un tutore coreano, Shotoku aveva studiato le sacre scritture buddhiste, che su di lui esercitarono una profonda influenza, ed egli manifestò il saldo vincolo che lo legava alla nuova dottrina sponsorizzando la costruzione di numerosi edifici religiosi. Convinto della validità delle istituzioni dell'Impero cinese, avviò contatti diretti con la Corte dei Sui inviando una missione ufficiale nel 600. Inoltre provvide a introdurre alcune importanti riforme ispirate al modello cinese. Nel 603, infatti, fu istituito un sistema di dodici ranghi di Corte, la cui assegnazione spettava al sovrano sulla base delle priorità che egli riteneva più consone.
A Shotoku è attribuita la stesura della cosiddetta «Costituzione dei diciassette articoli», scritta in cinese ed emanata nel 604. Più che di un codice di «leggi» nel senso corrente del termine, essa contiene un elenco di precetti e regole morali ispirati a valori confuciani, buddhisti e taoisti (11)21. Lo scopo evidente di questo documento è quello di affermare il diritto sovrano e di eliminare il potere autonomo degli uji sostituendolo con una sorta di «burocrazia», composta di ministri e funzionari che devono servire lo Stato con responsabilità, impegno e «decoro», rispettando il proprio rango e garantendo l'ordine e la giustizia. L'autorità da loro esercitata a livello locale deve rispecchiare il potere centrale, e mai sostituirsi a esso, dato che «un Paese non può avere due sovrani, né il popolo avere due padroni» (art. dodicesimo). L'Imperatore rappresenta il legame tra il Cielo e la Terra, cioè tra la divinità celeste e i sudditi, e costituisce pertanto la guida per tutto il popolo, che deve rispettare i suoi ordini. Nel Paese deve prevalere l'armonia (concepita in termini squisitamente confuciani), che deve essere garantita attraverso il superamento dell'interesse particolare e attraverso uno «spirito conciliativo» tra istanze diverse. Il ruolo del Buddhismo è ribadito esortando la riverenza verso i «tre tesori» (il Buddha, la dottrina e l'ordine monastico) in tutto il Paese. Infine, la priorità dell'attività agricola appare evidente laddove si raccomanda di non sottrarre lavoro nelle campagne dalla primavera all'autunno, cioè nei periodi propizi alla coltivazione e alla bachicoltura.
Il riferimento al contenuto della «Costituzione» del 604 contribuisce a chiarire la fisionomia che si intendeva dare allo Stato imperiale, rafforzata peraltro dall'affermazione dell'uso di un nuovo titolo con cui designare il sovrano. In questo periodo, infatti, fu coniato il termine "tenno", composto da due caratteri cinesi che significano «cielo» ("ten", in cinese "tien") e «sovrano» ("no", in cinese "huang"). Il termine, dunque, indicava un sovrano che regnava non per «mandato del Cielo» così come postulava la filosofia politica cinese, quanto piuttosto in qualità di diretto discendente del Cielo che deteneva in perpetuo il potere sacerdotale e politico. L'influsso della Cina non si limitò a interessare il pensiero politico, la filosofia, la religione o l'etica, ma investì anche altri ambiti, dalla poesia e dalla storiografia sino all'arte e all'architettura. Ciò, tuttavia, non implicò una passiva accettazione della cultura cinese, la quale piuttosto fu elaborata sulla base delle esigenze interne e in sintonia con molteplici aspetti della tradizione indigena, dando vita a soluzioni proprie, talvolta persino originali. Ciò è palese specie nel consolidamento della figura imperiale, che non smise di fondarsi sulle credenze shintoiste né rinunciò al potere spirituale che da esse derivava.
La morte di Shotoku Taishi, avvenuta nel 622, interruppe solo momentaneamente il processo di riforme, che sarebbe stato ripreso una volta eliminata l'egemonia dei Soga, il cui capo cadde vittima di una congiura ordita nel 645 sotto la guida di un Principe imperiale, Naka no Oe, e di un membro del clan Nakatomi, Nakatomi no Kamatari; quest'ultimo fu ricompensato del servigio reso con importanti cariche e con un nuovo prestigioso cognome, quello di Fujiwara. Il colpo di Stato che spazzò via il potere dei Soga avvenne, secondo la cronologia nengo, nel primo anno dell'era Taika (Grande cambiamento) e fu seguito da una serie di riforme che da essa prendono nome. L'anno successivo, l'Imperatore promulgò un editto di riforma, che segnò un ulteriore, importante passaggio verso la centralizzazione del potere della Corte imperiale. Non si trattava, infatti, di una serie di regole morali, ma di norme in materia politica e amministrativa, che intendevano gettare le basi per uno Stato imperiale centralizzato la cui ricchezza doveva fondarsi sugli introiti provenienti da tutte le zone del Paese22.
L'editto, infatti, provvedeva in primo luogo ad abolire tutti i titoli che garantivano i privilegi locali, ovvero i possessi privati delle risaie e i gruppi occupazionali (be) alle dipendenze degli uji, assegnando il pieno controllo delle terre e dei suoi abitanti al sovrano, al quale spettava quindi il diritto sulle risorse agricole del Paese. In secondo luogo, introduceva un sistema amministrativo, il quale prevedeva la nomina di funzionari che dovevano servire l'Imperatore con fedeltà e obbedienza. Il territorio fu quindi organizzato in province (designate con un carattere che può essere letto sia "koku" sia "kuni"), a capo delle quali erano posti governatori provinciali (detti "kokushio kuni no tsukasa"), i quali erano inviati dalla capitale e svolgevano il loro incarico per un tempo limitato. Le province erano a loro volta suddivise in distretti ("kori" o "gun"), guidati da capi di distretto ("kori no tsukasa") selezionati dal governo centrale tra i membri più «integri, forti e retti» della nobiltà locale. A livello più basso, le unità amministrative erano rappresentate da villaggi rurali e quartieri urbani, ciascuno dei quali era guidato da un capo scelto tra gli abitanti delle singole località. Il centro dell'amministrazione era rappresentato dal governo imperiale, e fu individuata la zona all'interno della quale sarebbe sorta la capitale, opportunamente delimitata da fiumi e monti secondo la geomanzia cinese23. Come terzo provvedimento, si sanciva l'istituzione di registri di censo e delle tasse, e venivano ordinati un censimento della popolazione e un catasto, sulla cui base sarebbe avvenuta la distribuzione sistematica delle terre agricole ai contadini; inoltre, tutte le forme di tasse esistenti sino ad allora furono cancellate, e vennero gettate le basi di un nuovo sistema di tassazione. Occorre comunque precisare che non tutte le riforme previste dall'editto imperiale trovarono un'immediata attuazione, dato che ciò richiese spesso un considerevole sforzo organizzativo, come nel caso dei rilevamenti demografici e catastali necessari a introdurre il nuovo sistema fondiario e fiscale, la cui esecuzione richiese diversi anni. Tale impegno fu motivato dal fatto che il potere del governo imperiale veniva ora a fondarsi sul controllo delle risorse della terra e a dipendere dal funzionamento di un sistema di tassazione atto ad assicurare entrate nelle casse statali. Tuttavia, come vedremo, lo Stato imperiale non sempre sarebbe stato in grado di garantire l'efficienza di tale sistema ed è da questa incapacità che, a un certo punto, sarebbe dipeso l'allontanamento del potere dalla Corte imperiale, oltre che lo sviluppo di nuove forme di controllo sulla terra. Per comprendere le importanti trasformazioni che avrebbero alterato l'assetto stabilito dall'editto del 646, pertanto, è necessario considerare alcuni aspetti essenziali del sistema fondiario e fiscale introdotto in questo periodo.
La riforma Taika prevedeva che la popolazione contadina fosse registrata per famiglie, che fungevano come unità di base sia per l'assegnazione della terra, sia per il pagamento delle tasse; a loro volta, le famiglie erano organizzate in villaggi. Le terre agricole furono divise sulla base di un sistema (detto "jori") che prevedeva la ripartizione di un grande quadrato di terra in altri trentasei quadrati uguali, a loro volta divisi in dieci strisce; ogni striscia, chiamata "tan", misurava poco meno di mille metri quadrati e costituiva la base per l'assegnazione delle terre alle famiglie contadine. Tale assegnazione sarebbe avvenuta tenendo conto dell'età, del sesso e dello status del destinatario. Così, alla popolazione rurale di età superiore ai sei anni24 spettavano due tan di terra nel caso si trattasse di maschi, mentre alle femmine spettavano due terzi della quota assegnata al maschio, che si riduceva a un terzo nel caso di sudditi non liberi. Si trattava di un sistema già in uso in Cina e indicato da tre caratteri, che si riferiscono rispettivamente alla «bocca», alla «divisione» e alla «risaia» (cioè campi divisi per ogni bocca) e che in giapponese si leggono "kubunden"25. Gli assegnatari erano tenuti a lavorare i campi e a versare le relative tasse. Inizialmente, esse furono costituite principalmente da seta, grezza o lavorata, mentre nel corso dell'ottavo secolo prevalse l'uso di versare anche cereali (in primo luogo il riso) e altri prodotti tessili e artigianali; ai maschi era imposto anche l'obbligo di prestare servizi di corvée civili e militari, che comunque potevano essere sostituiti da una tassa supplementare rappresentata da prodotti locali. L'assegnazione delle terre ai contadini non era perpetua, ma soggetta a periodiche redistribuzioni, così come l'importo delle tasse, che doveva essere continuamente aggiornato. In teoria, era previsto che ciò avvenisse ogni sei anni, ma poiché queste ripetute revisioni erano assai complicate da eseguire, tale pratica sarebbe stata ben presto superata.
Non tutte le terre rientrarono nel sistema "kubunden" e furono pertanto distribuite ai contadini. Alcune, pur essendo comunque soggette alla tassazione, vennero assegnate sulla base di altri criteri (per rango, per merito o per funzioni ufficiali), beneficiando nobiltà, funzionari civili o istituzioni religiose. Infine, una parte delle terre restò sotto la diretta amministrazione dello Stato, che poteva servirsene per ottenere un reddito diretto o per assegnarle sulla base di precise esigenze. Queste erano dunque le caratteristiche del sistema fondiario e fiscale previsto dalla riforma del 646, che sarebbe divenuto operativo solo dopo alcuni decenni, pur rivelandosi non del tutto efficace nel superamento degli interessi legati ai vecchi clan.
L'editto Taika, dunque, inaugurò una stagione di riforme finalizzate a subordinare le terre e i capi locali all'autorità imperiale, a contenere il potere di importanti famiglie vicine alla Corte e a provvedere un sistema economico atto a sostenere le nuove istituzioni statali. Esso prevedeva la creazione di un Consiglio di Stato ("Dajokan") e di otto ministeri da esso dipendenti; al di sotto stavano altri due ministeri, della Destra e della Sinistra con numerosi dipartimenti e uffici alle loro dipendenze. Fu revisionato il sistema di ranghi di Corte istituito da Shotoku Taishi, che aumentarono di numero e furono destinati a premiare personaggi meritevoli, anche se in seguito sarebbe tornato a prevalere il criterio dell'ereditarietà.
L'opera riformatrice proseguì sino a quando una disputa per la successione al trono riportò il Paese in uno stato di guerra che durò alcuni mesi. Da questo scontro emerse un nuovo Imperatore, che fondò il proprio potere sulla forza militare e che avrebbe governato con energia e decisione. Si tratta dell'Imperatore Tenmu, che regnò dal 673 al 686 consolidando le riforme avviate. Egli è ricordato innanzi tutto per aver ristrutturato il sistema dei titoli onorifici ("kabane") che aveva regolato la gerarchia tra i capi uji, relegandoli in una posizione nettamente subalterna rispetto ai ranghi di Corte di nuova istituzione. Questo nuovo sistema di ranghi di Corte segnò così un deciso riallineamento della gerarchia politica, consentendo all'Imperatore di promuovere i propri alleati e di far retrocedere i propri nemici. Egli iniziò pure la compilazione di un codice che avrebbe costituito la base su cui sarebbe stato redatto il famoso Codice Taiho, emanato agli inizi dell'ottavo secolo. Memore delle burrascose vicende che avevano preceduto la sua ascesa al trono, Tenmu ritenne di consolidare la posizione del sovrano ordinando la stesura di un'opera storica finalizzata a legittimare il potere dell'Imperatore; questa opera sarebbe stata ultimata molti anni dopo, e a essa sarebbe stato dato il titolo di "Kojiki". Tenmu dimorò nella residenza di Asuka, dove morì nel 686, prima che fosse edificata una nuova capitale permanente, necessaria a ospitare la sede di un apparato governativo ben più complesso e articolato di quanto lo era stato fino a quel momento. Ciò, d'altra parte, era quanto previsto dall'editto Taika, a onta delle credenze shintoiste relative all'impurità e alla morte che, sino ad allora, avevano imposto l'uso di una sede itinerante per l'Imperatore e per la sua Corte. Invece di allontanare la Corte dal luogo reso impuro dal decesso del sovrano, si preferì una più razionale soluzione, basata sul ricorso a imponenti riti purificatori finalizzati piuttosto ad allontanare la contaminazione dalla sede del potere imperiale.