5. IL PROGRESSO ECONOMICO FINO AI PRIMI ANNI SETTANTA.
Nel corso del trentennio che separa la fine della guerra dal 1975, anno della seconda crisi petrolifera, l'economia giapponese ebbe varie fasi di sviluppo. La ripresa economica, oltre che comportare enormi sacrifici alla popolazione, fu particolarmente lenta e problematica fino al 1950, per trarre poi un primo giovamento dalle forniture per la guerra di Corea. Sostanzialmente, verso la metà degli anni Cinquanta, il Giappone completò la ricostruzione economica, ritornando ai livelli prebellici. Il decennio successivo fu di notevole difficoltà, ma rappresentò anche la premessa degli anni del successo, appena incrinati dalla «crisi petrolifera» del 1973 e protrattisi fino agli inizi degli anni Novanta, quando sarebbe scoppiata la «bolla economica» ("baburu economi", dall'inglese "bubble economy").
Il successo fu possibile grazie a diversi fattori. Innanzi tutto, i governi giapponesi fecero della ricostruzione la priorità assoluta, attuandola, da un lato, con interventi a sostegno del settore industriale e, dall'altro, chiedendo alla popolazione di sopportare immani sacrifici: una richiesta alla quale i giapponesi, impregnati dello spirito del comunitarismo, risposero positivamente. In questo quadro si inseriscono la debolezza del movimento operaio e la limitata libertà sindacale alle quali contribuì l'azione dello Scap. Infatti, nonostante il riconoscimento dei diritti sindacali, il primo febbraio 1947 lo Scap, su sollecitazione del Primo ministro Yoshida Shigeru, vietò lo sciopero dei dipendenti pubblici, dando un forte segnale repressivo alle organizzazioni sindacali e, più in generale, agli oppositori delle scelte politiche dello Scap e del governo conservatore. E' in questo periodo, se non in precedenza, che secondo la storiografia si delinea la cosiddetta «inversione di rotta», quando cioè il Giappone, da nemico sconfitto, divenne per gli Stati Uniti un prezioso alleato in Asia Orientale. Il mutamento della politica statunitense fu conseguente all'evoluzione della situazione in Asia: penisola coreana a regime comunista a nord del trentottesimo parallelo, lotta di indipendenza in Vietnam, possibile vittoria della lotta armata del Partito comunista in Cina, indipendenza dell'India, rivendicazione di indipendenza delle Indie Orientali Olandesi (Indonesia).
Il Partito socialista e il Partito comunista operarono scelte diverse rispetto al divieto di sciopero firmato da MacArthur. Mentre i socialisti optarono per osservare la direttiva dello Scap, i comunisti sostennero la legittimità dello sciopero e, come conseguenza, si giunse alla rottura dell'unità sindacale.
Un ulteriore intervento politico dello Scap fu la «purga rossa» che, come accennato, fu attuata nel 1950, alla vigilia della guerra di Corea. Nei mesi di maggio e giugno, 21997 comunisti furono licenziati dagli uffici pubblici e privati, comprese le università e le scuole. Inoltre, fu vietata la diffusione di "Akahata" (Bandiera rossa), organo ufficiale del Partito comunista. L'epurazione fu decisa, nel clima della «guerra fredda», dal terzo governo Yoshida e dallo Scap pochi mesi dopo la vittoria della lotta di liberazione e la proclamazione della Repubblica popolare in Cina. L'opposizione progressista venne ulteriormente indebolita, a tutto vantaggio delle forze conservatrici; salvo brevi e irrilevanti parentesi, liberali e democratici, dapprima divisi, poi unificati nel già menzionato Jiyu minshuto (Partito liberaldemocratico), aprirono la lunga stagione di governo che, dopo una breve interruzione, perdura tuttora.
Sebbene Yoshida abbia avuto un ruolo fondamentale nell'indirizzare la ricostruzione economica, occorre rilevare che, dopo la fine dell'occupazione statunitense, molta parte del potere decisionale rimase ai funzionari superiori. In campo economico, fondamentali furono e rimangono l'intervento dello Stato e il ruolo svolto soprattutto dai burocrati del ministero dell'Industria e del Commercio estero (Miti), da quello delle Finanze, dal ministero delle Costruzioni, dall'Agenzia per la programmazione economica. Il governo giapponese, dal 1955, iniziò ad approvare i programmi economici elaborati dall'amministrazione centrale, in accordo con le associazioni di impresa. All'interno dei Programmi sono previsti anche gli interventi dello Stato, in particolare per quanto attiene sia alla collaborazione tra capitale privato ed enti pubblici nei settori della ricerca avanzata, sia ai tassi di interesse, mantenuti costantemente bassi. Ogni Programma ha durata almeno quinquennale, ma in molti casi viene superato dagli eventi e, quindi, sostituito da un nuovo Programma.
Lo sforzo della ripresa e per gettare le basi al futuro sviluppo si protrasse fino alla metà degli anni Sessanta, quando la bilancia dei pagamenti diventò attiva. Infatti, negli anni precedenti, seguendo le linee dei programmi economici sostenuti dal governo, il Giappone sviluppò con coerenza una politica economica fondata su tre princìpi:
- in primo luogo, la limitazione delle importazioni all'indispensabile, costituito da materie prime, comprese le fonti energetiche (gravemente carenti nel Paese), da prodotti alimentari e da beni strumentali;
- quindi, la trasformazione della struttura produttiva in funzione della concorrenza sul mercato mondiale;
- infine, lo stimolo alle esportazioni, necessarie a compensare i flussi delle importazioni.
La dinamicità nel commercio internazionale fu favorita dall'adesione del Giappone al General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo generale su tariffe e commercio, Gatt) nel 1955. Inoltre, gli scambi del Giappone con i mercati di tutto il mondo furono favoriti dall'attività delle "sogo shosha", società commerciali internazionali. Le sogo shosha si avvalsero della loro esperienza (erano sorte nel periodo Meiji) per svolgere un ruolo essenziale di mediazione sui mercati. Le loro competenze riguardano, ancora oggi, il reperimento delle materie prime a prezzi concorrenziali, il trasporto dei prodotti, il finanziamento delle attività commerciali, la pubblicità dei prodotti stranieri per invogliare i consumatori all'interno del Paese. Durante il ventennio 1955-75 emersero sei grandi sogo shosha. Le tre società commerciali dei disciolti zaibatsu Mitsui, Mitsubishi e Sumitomo, pur continuando a svolgere le loro attività preminenti per le vecchie società del gruppo, estesero la loro clientela. A esse si affiancarono altri tre «giganti»: Ito chu, Marubeni e Nissho-Iwai.
Dal punto di vista strettamente economico, infine, i commerci internazionali del Giappone furono favoriti dalla sottostima del tasso di cambio dello yen con il dollaro, fissato nel 1949 alla parità di 360/1 e rimasto immutato fino al 1971, quando passò a 308 yen per dollaro. Dal 1965, la bilancia commerciale giapponese fu costantemente attiva, cioè il valore delle esportazioni superò quello delle importazioni. Tuttavia, contrariamente a quanto in genere si ritiene, tra gli ultimi anni Cinquanta e il 1973 la percentuale della produzione esportata dal Giappone non superò il 10 per cento del Prodotto interno lordo.
Fino al 1965, la popolazione fu sottoposta a gravi sacrifici. Innanzi tutto, i livelli salariali degli operai e degli impiegati furono mantenuti bassi; inoltre, gli addetti delle medie e piccole imprese, che costituivano la maggioranza dei lavoratori dell'industria, fruirono di redditi notevolmente inferiori. Pertanto, fino alla metà degli anni Sessanta, i consumi interni furono molto contenuti. Nel 1957, soltanto l'8 per cento delle famiglie possedeva il televisore in bianco e nero, il 2 per cento il frigorifero, il 20 per cento la lavatrice. Gli stessi elettrodomestici, nel 1975, segnarono queste percentuali: televisore 95 per cento, cui si aggiunsero l'88 per cento di famiglie con televisore a colori, mentre l'89 per cento e il 96 per cento di famiglie possedeva, rispettivamente, frigorifero e lavatrice.
Un problema che si manifestò con drammatica evidenza è l'altissimo livello di inquinamento. Nel 1956, a causa dell'inquinamento marino da scorie di mercurio, gli abitanti della cittadina di Minamata subirono alterazioni genetiche. Tuttavia, questo non è che il caso più clamoroso di inquinamento; in generale l'alto grado di inquinamento atmosferico si è manifestato (e in molti casi è tuttora presente) in tutte le aree urbane e industriali. Soltanto i casi ufficialmente registrati di inquinamento atmosferico e acustico furono circa 17000 nel 1966, per salire a 60000 nel 1970 e a 67000 nel 1975.
Il livello di vita iniziò a migliorare nei tardi anni Sessanta. Indicativi sono, al riguardo, i dati sulle abitazioni. Le abitazioni unifamiliari, possedute dalla maggioranza dei giapponesi, salì dai 21 milioni nel 1963 ai 35,4 milioni nel 1978. I condomìni, presenti soprattutto nelle aree urbane, passarono dal 19 per cento delle unità abitative al 26 per cento nel decennio 1969-78. In questo settore, tuttavia, occorre tenere presente che gran parte del patrimonio edilizio giapponese è sottoposto a rapido degrado: mediamente, il ciclo di rinnovo è trentennale. Ciò implica enormi spese di mantenimento ed è una delle ragioni dell'alto indice di risparmio (oltre il 17 per cento del Pil nel 1985) delle famiglie. Infatti, soltanto con massicci investimenti (risparmio più mutui) è possibile la ricostruzione delle abitazioni, specie dei condomìni. Questa situazione ha introdotto una distorsione nel processo di sviluppo economico, a causa dei forti investimenti nel settore edile, sia per la ricostruzione di cui si è appena detto, sia per le rilevanti spese per lavori pubblici che, tra il 1965 e il 1975, salirono da 750 a 3581 milioni di dollari.