6. UNA NUOVA POLITICA INTERNAZIONALE.
Come si è detto, le relazioni internazionali del Giappone per lungo tempo sono state caratterizzate dall'allineamento alla politica statunitense, sebbene l'azione di Tokyo si sia sviluppata soprattutto attraverso gli interventi di carattere economico, tanto con la crescita degli aiuti allo sviluppo, quanto con investimenti in altri Paesi.
Per il governo è sempre stato di particolare importanza mantenere buone relazioni con i Paesi fornitori di materie prime o esportatori di prodotti finiti. In questo contesto, si colloca la contrattazione permanente, per via diplomatica, dei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti, maggior importatore mondiale di manufatti giapponesi. Per quanto attiene ai Paesi fornitori di materie prime, è riconoscibile, da parte giapponese, l'obiettivo di una più spiccata indipendenza da Washington. L'azione diplomatica giapponese all'inizio della crisi petrolifera è indicativo. Come è noto, la crisi scoppia quando i Paesi arabi forzano la situazione per costringere Israele ad abbandonare i territori occupati con la guerra del 1967. Il governo Tanaka dichiara che, in caso di mancata applicazione della Risoluzione n. 242 dell'Onu (22 novembre 1967), «il Giappone potrebbe riconsiderare la sua politica verso Israele». Fu un chiaro segnale ai Paesi arabi, dovuto alla preoccupazione che la fornitura di una materia prima di fondamentale importanza non venisse a mancare. Altrettanto cauta fu la reazione giapponese nel corso della crisi internazionale del novembre del 1979, quando studenti iraniani penetrarono nell'ambasciata statunitense a Teheran per fare oltre cento ostaggi. Sul versante politico internazionale, Tokyo attese una riunione internazionale per stigmatizzare l'accaduto, rendendo quindi più morbida la condanna. Per mantenere buone relazioni con i fornitori di petrolio, ancora una volta il Giappone operò pragmaticamente. Infatti, partì per un lungo viaggio nei Paesi arabi il presidente di una società giapponese di importazione di petrolio che seppe ben sfruttare i suoi legami personali e i suoi rapporti d'affari.
Sempre dal Vicino Oriente, nel 1988, sorse per il Giappone un problema internazionale. Nella «guerra del Golfo», l'Onu inviò contro l'Iraq una forza di combattimento e chiese al Giappone di partecipare alle fasi di appoggio. La richiesta pose gravi problemi al governo di Kaifu Toshiki, in quanto la Costituzione vieta la partecipazione del Giappone a qualsiasi azione militare. L'avvio del confronto tra movimento pacifista e mondo politico, peraltro diviso al suo interno, sul problema di interpretare la Costituzione in modo restrittivo ovvero estensivo, si concluderà nel 1992, con l'approvazione in Parlamento di una norma che consente al Corpo di sicurezza nazionale di partecipare alle operazioni di "peacekeeping" delle Nazioni Unite in Cambogia.
Con la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell'Unione Sovietica, la diplomazia giapponese ha tentato, in più occasioni, di trovare con la Russia un accordo per la restituzione delle isole a nord dello Hokkaido, tuttavia sinora senza successo. La rivendicazione giapponese non ha scopi strategico-militari, ma si fonda sulla possibilità, con l'acquisizione di quelle isole, di ampliare le proprie acque territoriali ai fini di favorire la pesca.
La nuova politica economica del «socialismo di mercato» perseguita con determinazione e vigore dalla Repubblica popolare cinese e il «ritorno alla madrepatria» di Hong Kong pongono al Giappone problemi di non facile soluzione. Pechino, così come Taipei, rivendica di essere il legittimo governo della Cina e su questo problema il Giappone ha tenuto una posizione di equidistanza. Infatti, se da un lato le relazioni commerciali e gli investimenti giapponesi nella Repubblica di Cina (Taiwan) non possono essere interrotti né condotti a tensioni eccessive, dall'altro lato la Cina continentale si prospetta come uno sbocco commerciale e finanziario di estremo interesse per i Paesi più avanzati e, in particolare, per il Giappone.
Nel loro complesso, le relazioni diplomatiche del Giappone presentano parecchi punti di tensione e difficoltà. A ogni revisione dei manuali di storia approvata dalla Commissione del ministero dell'Educazione, con note di protesta ufficiali, si riapre l'"issue" del mancato pieno riconoscimento delle atrocità imputabili all'Esercito durante la «guerra dei Quindici anni» contro le popolazioni dell'Asia Orientale e Sud-orientale (massacro di Nanchino, esperimenti biochimici dell'Unità 731 in Manciuria, costrizione alla prostituzione a favore dei militari giapponesi delle "comfort women" - v. cap. 9 par. 1). In questo ambito, le capitali asiatiche imputano al Giappone di non avere fatto i conti con la sua storia e di mantenere una cospicua e, dunque, minacciosa forza di intervento militare. Alle difficoltà di farsi accettare come partner politico affidabile in Asia Orientale, si aggiungono punti di tensione, come nel caso dell'indipendenza di Timor Est dall'Indonesia, grande fornitore di petrolio al Giappone, verificatosi nell'autunno del 1999.
Dall'ultimo decennio del ventesimo secolo, le linee di politica internazionale di Tokyo, seppure con cautela, tendono all'affermazione del Giappone come potenza regionale. Si tratta di un lungo e paziente lavorio che deve non soltanto trovare un equilibrio tra l'alleanza con gli Stati Uniti e la crescita economica e i nuovi indirizzi politici della Repubblica popolare cinese, membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma anche agire in presenza di punti di conflittualità in Asia. Nei rapporti con la Repubblica popolare cinese, la politica internazionale del Giappone non considera che i rapporti tra Washington e Pechino pongono il problema di una visione triangolare (Usa-Giappone-Repubblica popolare cinese) che supera la concezione dei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti. A ciò è legata la questione, assai importante per Pechino in quanto minaccia della sua sicurezza, della presenza di basi statunitensi di 100 mila effettivi in Asia Orientale, di cui 45000 in Giappone, con un aggravio per l'erario giapponese pari al 70 per cento dei costi complessivi.
In ambito regionale Tokyo, oltre che puntare sulla «politica dell'assegno» con investimenti in Cina, Corea del Sud e Paesi dell'Asean (Association of Southeast Asian Nations) e la partecipazione attiva, nel settembre del 2005, all'incontro dell'Asia Pacific Economic Community, ha compiuto alcune scelte politiche. In questa direzione vanno inserite le partecipazioni, dal 1992, alla Untac (Autorità transnazionale delle Nazioni Unite in Cambogia), dall'ottobre del 1999, alla Untaet (Autorità transitoria delle Nazioni Unite a Timor Est) e, dal 2003, alla Unmiset (Missione di sostegno delle Nazioni Unite a Timor Est).
Il caso di maggiore tensione, all'inizio del nuovo millennio, è costituito dalla condanna della Repubblica democratica popolare della Corea (R.D.P.C.) come facente parte dell'«asse del male» da parte del presidente statunitense George W. Bush. L'agenda delle relazioni internazionali con la Corea del Nord presenta molti punti di tensione, dal rapimento di alcuni cittadini giapponesi operato dai nord-coreani alle navi spia, dal lancio di missili nelle acque territoriali giapponesi alla recente decisione della R.D.P.C. di riattivare un reattore atomico. Nell'estate del 2002, Tokyo ha riaperto il canale di comunicazione con Pyongyang, interrotto dal 1996. Dopo colloqui al livello di Croce Rossa e di funzionari dei ministeri degli Esteri, il 17 settembre 2002, il Primo ministro Koizumi Jun'ichiro ha incontrato a Pyongyang il presidente Kim Jong Il.
Dal 2003, il Giappone fa parte, con Stati Uniti, Repubblica di Corea, Russia, Repubblica popolare cinese e Repubblica popolare democratica di Corea del «Gruppo dei sei», i cui incontri sinora non sono sfociati in risultati apprezzabili. Al riguardo, Tokyo tenta di mediare sulla risoluzione Onu concernente i problemi dell'arricchimento dell'uranio e della costruzione di missili intercontinentali da parte di Pyongyang presentata dagli Usa, risoluzione che non trova l'accordo di Repubblica popolare cinese e Russia.
Infine, il Giappone ha ritirato, nel 2006, il suo contingente militare dall'Iraq.