3. IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO DELLA CULTURA GIAPPONESE.
Attualmente, il Giappone è formato da quattro isole maggiori (Hokkaido, Honshu, Shikoku e Kyushu), dall'arcipelago delle Ryukyu e da migliaia di altre isole minori, che si estendono ad arco da nord-est a sud-ovest per circa 3000 chilometri, e sono comprese tra il quarantacinquesimo parallelo, lo stesso che attraversa l'Italia settentrionale grosso modo all'altezza di Milano, e il Tropico del Cancro, che passa anche nel cuore del deserto del Sahara. L'isola principale, Honshu, copre oltre il 60 per cento della superficie totale, che ammonta a quasi 378 mila chilometri quadrati. Pur essendo vasto circa un quinto in più del nostro Paese, in Giappone vive una popolazione che è più del doppio di quella italiana. La già marcata densità demografica risulta ancora più intensa se si considera che l'area abitativa è ridotta dalla prevalenza di zone montuose e collinari, che lasciano alle pianure circa un terzo del territorio complessivo. Ciò, unito all'alto grado di urbanizzazione, spiega la presenza di estese metropoli come Tokyo, l'attuale capitale, attorno a cui gravita oltre un quarto della popolazione totale e che è situata in quella che era la più ampia distesa agricola dell'arcipelago. Altri importanti centri urbani, come Nagoya e la conurbazione Kyoto-Osaka-Kobe, si concentrano in un'altra estesa zona pianeggiante, cioè la regione del Kinai.
La lingua nazionale del Giappone si è sviluppata dalla varietà parlata nella regione di Tokyo e si è affermata nel corso del periodo Meiji (1868-1912), quando il conseguimento dell'uniformità linguistica divenne uno degli scopi per realizzare uno Stato moderno e centralizzato, e la lingua nazionale fu estesa in tutto il Paese, compresi i nuovi territori entrati a far parte del Giappone, ovvero la provincia di Okinawa (nell'arcipelago delle Ryukyu) e lo Hokkaido, in precedenza designato Ezo. In effetti, prima di questi sviluppi vi era stata una frammentazione dialettale dovuta sia a oggettive difficoltà di comunicazione legate alla conformazione orografica del territorio, sia al fatto che le masse contadine erano stabilmente vincolate alla terra; una frammentazione, questa, che solo in minima parte era stata superata a seguito sia della funzione assunta dalla città di Edo (sede del governo dei Tokugawa, in seguito ribattezzata Tokyo) come luogo d'incontro dell'élite guerriera proveniente, assieme a numerosi vassalli e servitori, da varie aree del Paese, sia della diffusione della pratica dei pellegrinaggi, sia, ancora, del ricorso al linguaggio proprio del teatro colto come una lingua franca capace di risolvere alcuni problemi di comunicazione, seppure assai lontana da quella effettivamente parlata. Così, dietro la diffusione del giapponese standard continua ancora oggi a celarsi una differenziazione dialettale (e, in alcuni casi, linguistica) che tende a emergere soprattutto nella conversazione quotidiana e privata.
Gran parte del Giappone è situata in una zona temperata, all'estremità nordorientale dell'area dei monsoni, i quali passano verso l'inizio e la fine dell'estate, portando piogge e delimitando una stagione calda e umida. L'inverno è generalmente mite, a eccezione delle zone montuose interne, caratterizzate da temperature più rigide e nevicate abbondanti; la primavera e l'autunno in genere sono soleggiati e hanno temperature piacevoli. Il Giappone settentrionale, in particolare lo Hokkaido, fa parte della zona subartica, che presenta un clima invernale rigido e non è raggiunta dalle piogge monsoniche. Le regioni meridionali (dal Kyushu fino all'arcipelago delle Ryukyu) rientrano nella zona subtropicale, con condizioni climatiche e una vegetazione distinte da quelle del resto del Paese. Di origine vulcanica, le isole giapponesi presentano una marcata instabilità geologica, con ricorrenti terremoti ("jishin") e maremoti ("tsunami"), talvolta anche molto intensi, come accadde nel 1923 nella regione di Tokyo o, più di recente, a Kobe nel gennaio del 1995. Allo stesso tempo, l'arcipelago è ricco di sorgenti termali, che spesso creano scenari spettacolari e sono assai frequentate dai giapponesi. Il sottosuolo, che in passato ha fornito (seppur in moderata quantità) ferro, rame, oro, argento e mercurio, è scarso delle materie prime utili all'industria, e l'unica risorsa di rilievo, quella carbonifera, non è sempre di buon livello qualitativo; ciò rende il Giappone fortemente dipendente dall'importazione di materie prime. Le abbondanti risorse idriche e la relativa facilità di controllo dei corsi fluviali hanno favorito le coltivazioni, mentre l'intenso sfruttamento delle risorse idroelettriche è reso possibile, oltre che dalla ricchezza di acqua, anche dalla prevalenza di rilievi montuosi e collinari. I fiumi, poco profondi e di rado navigabili, non hanno avuto un ruolo importante nelle comunicazioni, ostacolate peraltro dalla morfologia del territorio, mentre le prime grandi vie di collegamento terrestre furono costruite a partire dalla fine del settimo secolo, quando l'istituzione di un sistema di tassazione in riso richiese che i cereali provenienti dalle province fossero trasportati verso la capitale. I contatti tra lo Honshu, il Kyushu e lo Shikoku sono storicamente avvenuti attraverso il Mare Interno che, ben più sicuro e protetto dell'Oceano Pacifico, presenta un assetto naturale favorevole allo sviluppo, sin dai tempi antichi, dei maggiori centri della civiltà giapponese. Oltre a costituire un moderatore in termini climatici e una via di comunicazione costiera, il mare ha sempre rappresentato una fonte importante nell'economia così come nella dieta alimentare del Paese. Da decenni, ormai, il Giappone detiene il primato mondiale nella produzione ittica, anche se questa attività è talvolta sottoposta alle aspre critiche provenienti dai circoli ambientalisti (si pensi, ad esempio, alla pesca delle balene)8. I prodotti marini (pesce e alghe commestibili) svolgono una funzione essenziale nell'alimentazione dei giapponesi e, fino alla diffusione del consumo di carne, hanno costituito la fonte primaria di proteine.
Buona parte delle isole giapponesi (in particolare le regioni su cui andò affermandosi il controllo del governo imperiale nel periodo antico) presentano condizioni climatiche comuni a quelle prevalenti nel resto dell'Asia Orientale, che hanno concorso a caratterizzare ulteriormente la vita economica di questa regione. Infatti, la presenza di venti monsonici, che portano abbondanti piogge nella stagione calda, ha favorito una coltivazione intensiva della terra che, in molte zone, consente di effettuare il doppio raccolto annuo. Assai adatta a questo tipo di clima è la coltura del riso, il cereale più diffuso nella dieta dei popoli dell'Asia Orientale. La produttività delle zone coltivate a riso risulta essere più elevata di quelle a grano e ciò ha permesso il sostentamento di una popolazione il cui sviluppo demografico è più marcato che altrove. La coltivazione del riso, che scandiva i ritmi della vita popolare e svolse un importante ruolo culturale e sacrale in queste civiltà, implicò l'aggregazione e l'insediamento stabile di gruppi di persone in aree dove la disponibilità della terra si combinava con la possibilità di utilizzo di fonti idriche. Questa attività richiedeva di media circa 250 giorni di impegno annuo e necessitava di forme di collaborazione per lo svolgimento di determinati lavori (quali l'irrigazione e il trapianto), attribuendo in tal modo una grande importanza ai rapporti interni alla comunità. Per millenni, l'economia della regione restò ancorata all'attività agricola e le masse contadine vincolate alla terra, conferendo alle società dell'Asia Orientale un grado di immobilismo geografico e sociale più marcato rispetto a quelle dedite ad attività extra-agricole, come il commercio o i traffici marittimi. Non a caso, questo genere di attività era guardata con diffidenza dal Confucianesimo che, come si è detto, era orientato a governare la realtà socio-economica sia preservando i valori tradizionali relativi alla famiglia e alla società, sia mantenendo un ordinamento sociale gerarchico che, appunto, assegnava ai mercanti una bassa posizione.
Anche per le isole giapponesi lo sviluppo della risicoltura, introdotta verso il quarto-terzo secolo a.C., segnò l'inizio di una nuova era, caratterizzata dapprima dalla diffusione e quindi dalla trasformazione e dal perfezionamento delle tecniche agricole. Essa cominciò a ritmare la vita comunitaria, mentre i riti shintoisti presero a scandire ogni fase della coltivazione. La ricerca di nuove terre da colonizzare portò allo sfruttamento anche di zone non pianeggianti, attraverso la realizzazione di terrazzamenti e di sistemi per irrigare i campi situati sopra il livello delle acque, ma trovò un limite invalicabile nella ridotta estensione del territorio e nella prevalenza di rilievi collinari e montuosi. Qui, dunque, le tecniche di coltivazione raggiunsero un elevato livello di sviluppo, implicando un impiego di acqua e di manodopera altamente razionale. Data la natura del sistema fluviale presente nell'arcipelago giapponese, la gestione delle acque non richiese uno sforzo economico e umano di entità analoga a quello necessario in Cina per controllare imponenti, e talvolta catastrofici, bacini fluviali. Anche in assenza di un governo efficace e centralizzato, in genere gli agricoltori furono in grado di affrontare le opere di costruzione e di manutenzione dei canali di irrigazione, cooperando in comunità numericamente ridotte.
Lo sfruttamento della terra restò l'attività economica prioritaria sino all'inizio del secolo scorso, e le risorse della terra rappresentarono per molti secoli l'unica fonte di sostentamento, oltre che di ricchezza e di potere. Ciò contribuisce a chiarire una serie di fenomeni storici che si ebbero in Giappone; ad esempio, la ragione per cui il potere politico andò consolidandosi nelle grandi pianure alluvionali, specie nel Kinai (dove sorsero le antiche capitali imperiali) e nel Kanto (sede di due importanti governi militari, a Kamakura e a Edo). In effetti, il processo storico giapponese appare essere stato in buona parte caratterizzato da un fattore costante e ricorrente: l'aspra contesa per il controllo di un territorio coltivabile con confini stabili da parte di una popolazione in crescente aumento. Per avere un'idea della pressione demografica esercitata sui terreni arabili occorre ricordare che, verso il secondo secolo d.C., la popolazione agricola nell'arcipelago giapponese ammontava a circa un milione di individui, mentre gli abitanti nell'ottavo secolo erano attorno ai 6 milioni, passati a 18 milioni nel 1600; considerando che l'estensione delle terre coltivabili restò pressoché stabile (poco più di un milione di ettari) tra i primi anni del nono secolo e l'inizio del diciassettesimo secolo, è evidente come molte delle lotte civili che sconvolsero il Giappone in questo arco di tempo scaturissero da una competizione finalizzata ad assicurarsi il controllo delle zone più produttive del Paese9. Ciò, inoltre, suggerisce che, se in una prima fase l'aumento demografico fu sostenuto da un allargamento delle aree coltivabili, da un certo momento in poi esso si fondò, in modo pressoché esclusivo, sull'incremento della produttività agricola. E il fatto che il suolo fosse soggetto a uno sfruttamento intensivo (e venisse ulteriormente impoverito dall'azione delle piogge monsoniche) aiuta a spiegare non solo perché la diffusione dell'uso di fertilizzanti marini (derivati dalla lavorazione di pesce e alghe) ebbe qui una rilevanza maggiore rispetto ad altre zone dove era possibile effettuare un'agricoltura estensiva, ma anche il motivo per cui la possibilità che un certo numero di famiglie contadine migliorasse le proprie condizioni economiche dipese dalla loro capacità di reperire i fertilizzanti disponibili sul mercato, oltre che, come si vedrà meglio più avanti, dalla loro abilità di occultare l'entità dell'aumento del raccolto agli occhi degli amministratori deputati a prelevare le tasse agricole. Attorno all'attività agricola, dunque, si è svolta gran parte delle vicende storiche che hanno avuto luogo in Giappone e, anche se spesso è la raffinata nobiltà cortigiana, la rude élite guerriera o la vivace cultura urbana coniata dai ceti mercantili ad attirare l'attenzione dell'osservatore, occorre ricordare che la popolazione dell'arcipelago fu composta in larga parte da masse dedite alla coltivazione della terra; un'occupazione, questa, che agli inizi dell'era Meiji continuava a impiegare circa quattro quinti della popolazione attiva.
La posizione geografica dell'arcipelago giapponese ha condizionato le modalità e la frequenza dei contatti con il mondo esterno. Da est, esso non ha ricevuto alcun influsso determinante sino a tempi storici recenti, costituendo l'Oceano Pacifico un ostacolo all'interazione culturale e ai traffici commerciali. Rispetto al continente asiatico è situato in una zona periferica, sebbene ciò non abbia comunque impedito un proficuo contatto con le società dell'Asia Orientale e, pur se in misura assai minore, con quelle dell'Asia Centrale e del Sud-est asiatico. Le rotte marittime più brevi tra il Giappone e le coste continentali passano nello stretto che separa l'estremità sud-occidentale dello Honshu e il nord-ovest del Kyushu dalla penisola coreana; quest'ultima, pertanto, ha storicamente rappresentato la principale via di transito di idee, cultura, prodotti e persone. Attraverso la Corea, infatti, provennero quegli elementi che avrebbero consentito al Giappone di condividere un sostrato culturale comune ai Paesi asiatico orientali.
L'insularità del Giappone ha avuto importanti riflessi anche sul rapporto che la cultura dominante e la società di maggioranza hanno storicamente intrattenuto con l'Altro. Di certo, l'affermazione di un'autorità politica nella regione del Kinai (la zona di Osaka e Kyoto), che andò via via estendendosi verso le province più lontane, si trovò a confrontarsi con tribù poco propense a sottomettersi al governo centrale, il quale per secoli profuse energie umane e militari al fine di ottenere il controllo del territorio e pacificare le regioni nord-orientali. Ma ciò non rappresentò una seria minaccia alla supremazia della cultura agricola e sedentaria affermatasi successivamente all'introduzione della coltivazione del riso, né l'arcipelago giapponese ebbe mai un problema delle frontiere paragonabile con la realtà cinese. O, quanto meno, la pressione dei «barbari» non costituì qui una questione di rilievo, se non in sporadici casi, sino al diciannovesimo secolo, quando gli occidentali iniziarono a premere alle frontiere del Paese. Da ciò derivano alcune differenze che oppongono l'esperienza giapponese a quella cinese; ad esempio, nella dottrina del «mandato celeste» elaborata da Mencio pare rispecchiarsi la stessa natura plurietnica dell'Impero cinese, il cui processo storico è stato profondamente influenzato dal confronto tra una cultura agricola, sedentaria, «civilizzata», e una cultura nomade o seminomade, pastorale, «barbarica», così come testimoniano alcuni fatti esemplari, quali la monumentale costruzione nel corso dei secoli della Grande Muraglia, il sistema tributario sinocentrico o, ancora, la spiccata capacità di assimilazione insita nel concetto di «civiltà», dalla cui accettazione dipendeva la possibilità che un «barbaro» divenisse cinese. In Giappone, invece, una interessante indicazione di come sia stato affrontato il rapporto con l'Altro è fornita dalla mitologia shintoista, che ci è stata tramandata da due importanti opere, le più antiche a noi pervenute, redatte per ordine imperiale allo scopo di fornire una legittimazione ideologica al consolidamento del potere politico e divino della dinastia regnante: il "Kojiki" (Cronache degli avvenimenti antichi), compilato nel 712, e il "Nihon shoki" (Annali del Giappone), noto pure come "Nihongi" e ultimato nel 720. La narrazione inizia con la nascita delle prime divinità, elencate in una lunga e spesso confusa lista di nomi, e prosegue sino alla comparsa di una coppia di dèi, fratello e sorella: Izanagi e Izanami. Il mito riconosce a questa coppia un ruolo di grande rilevanza, dato che saranno loro a creare l'arcipelago giapponese immergendo una lancia nell'acqua e lasciando cadere numerose gocce che si trasformeranno in altrettante isole, nonché a generare Amaterasu Omikami, la dea del Sole dalla quale la stirpe imperiale pretendeva di discendere10. Sarebbe stato infatti un successore di Amaterasu a ricevere l'ordine di governare la terra, assieme ai tre simboli del potere regale: una spada, uno specchio e un gioiello. La mitica data della fondazione dell'Impero giapponese a opera dell'Imperatore Jinmu è quella dell'11 febbraio del 660 a.C. E' questa, in sintesi, la cosmogonia contenuta, pur se con alcune divergenze, nelle due opere citate, la quale non si riferisce al mondo in generale bensì al Giappone in modo esclusivo, cui è assegnata una singolare natura come terra creata dagli dèi. La sanzione celeste all'egemonia terrena del sovrano, garantita attraverso un legame di sangue tra la dea solare e la famiglia regnante, avrebbe precluso la possibilità di un avvicendamento dinastico, contribuendo alla sopravvivenza stessa dell'istituzione imperiale che, come vedremo, verrà mantenuta anche quando priva di un effettivo ruolo politico. L'invisibile collegamento con il Cielo, inoltre, rinsaldava il potere magico-religioso riservato al sovrano che, sino alla fine della seconda guerra mondiale, non fu mai privato del compito di svolgere i riti finalizzati a garantire protezione e benevolenza al popolo, rafforzando il legame spirituale comunitario.
I miti della creazione, quindi, si prefigurano come un patrimonio esclusivo di una comunità che si riconosce in un'autorità politica e spirituale, e ciò chiarisce la ragione per cui lo Shintoismo divenne il pilastro dell'identità del popolo giapponese e fu trasformato in un'ideologia di Stato proprio quando più forte si fece l'urgenza di stimolare la coesione nazionale. L'insularità del Giappone, dunque, oltre a favorire la preservazione di istituzioni e concezioni tradizionali, ha avuto profondi riflessi sulla sua storia e sull'identità collettiva dei suoi abitanti in termini di autonomia e di unità. Senza dubbio, la rapida modernizzazione avviata nella seconda metà dell'Ottocento ha mutato in modo radicale il contesto di riferimento del Giappone, proiettando questa società dell'Asia Orientale verso l'influenza occidentale, così come le nuove possibilità fornite dal progresso tecnologico alle moderne comunicazioni hanno avuto evidenti conseguenze sulle modalità dei contatti con l'esterno, contribuendo a rendere la sua posizione assai meno marginale nel contesto mondiale rispetto a quanto sia accaduto in passato. E' comunque naturale che il Giappone di oggi continui a portare i segni di quel passato (costituito dalla condivisione del patrimonio culturale dell'Asia Orientale, dalla originale rielaborazione di idee, valori e istituzioni importati dal continente, dalla proposta di peculiari soluzioni a problemi di natura politica, economica, sociale e culturale o, ancora, da un isolamento geografico reso ancora più marcato dalla politica di limitazione dei rapporti con l'estero adottata sotto il regime dei Tokugawa), che spesso riaffiorano nella moderna (o, secondo alcuni, postmoderna), occidentalizzata e ipertecnologizzata società giapponese.