2. LA «FABBRICA» DEL CONSENSO.
Accanto agli interventi repressivi contro gli antagonisti del blocco di potere dominante, grande rilievo assunse la consolidata capacità della classe dominante giapponese a veicolare il consenso. Fin dal 1910, aveva operato in tal senso la Teikoku zaigo gunjinkai (Associazione imperiale dei riservisti) che si estese capillarmente soprattutto nelle campagne, dove non trovò le resistenze incontrate nelle aree urbane. Le sue sezioni locali, negli anni Venti presenti in ogni comunità rurale, erano dedite a forgiare «uomini di carattere» attraverso i "seinen dan" (gruppi giovanili), riuniti in un'associazione nazionale fondata nel 1915 su iniziativa dei ministeri dell'Educazione e della Difesa. Entrambe le associazioni, egemonizzate dall'Esercito, condussero sempre più intense campagne propagandistiche, facendo ricorso a vari strumenti. L'associazione dei riservisti organizzò dibattiti, corsi e, dopo l'introduzione della radiodiffusione, audizioni di massa tra la popolazione. A partire dagli anni Trenta, inoltre, essa intensificò la preparazione paramilitare per i giovani in attesa del servizio di leva e per i congedati. Oltre che per queste attività di "routine", l'associazione svolse un ruolo fondamentale in occasione del già citato «caso Minobe».
L'apparato di organizzazione del consenso operò su un fertile terreno di coltura predisposto dal sistema educativo. La scuola, fin dall'avvio della trasformazione capitalistica, ebbe un'importanza cruciale nella diffusione di stereotipi collettivi unificanti e non antagonistici. Fulcro del tennosei era l'Imperatore, «discendente di una ininterrotta linea divina», trascendente la politica, sovrano dedito al «benessere» dei suoi sudditi. Egli era a un tempo l'erede della dea del Sole e la personificazione del kokutai (sistema nazionale) alla gloria del quale ogni giapponese doveva contribuire come buon soldato e buon lavoratore. In questo contesto ideologico, dai tardi anni Venti, l'associazione dei riservisti richiamò con sempre maggior vigore quelli che erano i valori considerati fondanti della società giapponese: l'«armonia sociale», la difesa del «Paese degli dèi» e le virtù proprie di ogni suddito, ovvero pietà filiale, lealtà e obbedienza.
La propaganda politica di sostegno al blocco di potere dominante non fu appannaggio esclusivo di una organizzazione di massa come l'Associazione dei riservisti, ma fu anche oggetto di azione da parte di una miriade di club, associazioni e gruppi. Caratterizzati in genere dal numero assai limitato degli aderenti, sorsero per la maggior parte tra la fine della prima guerra mondiale e la metà degli anni Venti, come risposta reazionaria alle rivendicazioni del proletariato, del movimento dei fittavoli e dei ceti medi urbani ispirati dal liberalismo occidentale. Questi gruppi sono riconducibili a due diverse tipologie. Alcuni furono fondati e animati da elementi di spicco del blocco di potere dominante: funzionari superiori, militari di alto grado, membri della Camera alta, personalità politiche che erano state o sarebbero divenute ministri o sottosegretari. Loro obiettivi comuni furono il mantenimento dei valori tradizionali e il controllo sulla dinamica sociale. Accanto a questi si sviluppò un altro tipo di gruppuscoli, sempre di piccole dimensioni. Espressione dei ceti piccolo-borghesi urbani «pseudo-intellettuali», la loro azione politica, ispirata soprattutto alle idee di Kita Ikki e di Ogawa Shumei, mirò alla rivalutazione del patrimonio politico-ideologico della tradizione nazionale e alla lotta contro il marxismo, il socialismo, il parlamentarismo e, almeno in apparenza, contro il grande capitale rappresentato dagli zaibatsu.
Kita Ikki (1883-1937) fu il maggiore ideologo del "tennosei fashizumu" e della necessità dell'espansione giapponese a danno dell'«imperialismo bianco». La sua attività di pubblicista iniziata nel 1905 con "La teoria del «kokutai» e il socialismo puro", proseguì con "Storia personale della rivoluzione cinese", scritta nel 1915-16 e pubblicata nel 1921. La sua opera di maggiore interesse fu "Lineamenti delle misure per la riorganizzazione del Giappone" per la quale Kita ebbe l'autorizzazione alla pubblicazione nel 1923. Con questo libello, egli si inserì nel dibattito tra coloro che, pur concordi sia sull'esigenza di espandere i possedimenti giapponesi sia sulla necessità di introdurre riforme istituzionali ed economiche, avevano opinioni diverse riguardo alle scelte prioritarie. Secondo Kita, occorreva prima attuare la «riorganizzazione interna», al fine di restaurare un rapporto diretto tra l'Imperatore e i sudditi. Ciò sarebbe stato possibile con la eliminazione delle «cricche» militare, burocratica e politica, la sospensione per un triennio del Parlamento, sostituito da una Camera formata da 50 uomini probi. Inoltre, egli fu un convinto assertore dell'esigenza di circoscrivere il potere degli zaibatsu, a suo giudizio causa di tutti i mali del Giappone, e propose di porre un tetto alle proprietà terriere, ai patrimoni individuali e ai capitali societari.
Attuata la «riorganizzazione interna», secondo Kita la politica internazionale del Giappone avrebbe dovuto perseguire l'obiettivo di allearsi con gli Stati Uniti, al fine di attuare l'espansione sul continente fino all'India e sui mari fino all'Australia. Tali opinioni, dopo la sua morte furono riprese sul piano ufficiale all'atto della istituzione della Sfera di proprietà comune della Grande Asia Orientale (1942). Kita svolse la sua attività politica in varie associazioni di poca importanza, alle quali aderirono sempre pochi adepti; tuttavia, egli incise sul piano ideologico, influenzando sia giovani ufficiali che diedero vita a vari colpi di Stato, tutti falliti, sia componenti del blocco di potere dominante, i quali ripresero le sue idee dopo la liquidazione del «fascismo dal basso», coincidente con il soffocamento dell'«incidente del 26 febbraio» 1936.
Gli anni Venti e Trenta erano stati percorsi da tensioni sociali di segno opposto che avevano provocato gli interventi della magistratura, della polizia e della burocrazia. Da un lato, le agitazioni degli operai e dei fittavoli erano state oggetto di repressione e di azioni di contenimento, perseguite con l'intensificarsi dell'organizzazione del consenso di cui si è detto. Dall'altro lato, gruppuscoli occulti, ispirati soprattutto dalle idee di Kita Ikki, in particolare tra i gradi intermedi dell'Esercito, avevano attuato una lunga serie di attentati contro personalità del blocco di potere dominante che, tuttavia, reagì in modo blando. Soltanto l'«incidente del 26 febbraio» 1936, l'ultimo di una lunga serie, fu represso, dopo quattro giorni, con durezza. Con la condanna a morte di tredici ufficiali e di sei civili, tra i quali Kita Ikki, il regime pose fine ai tentativi di rivolta da parte dei ceti piccolo-borghesi che avevano posto in essere attività reazionarie. Ogni antagonismo con il blocco di potere dominante fu messo a tacere.