3. L'ASSETTO ECONOMICO, SOCIALE E POLITICO DEL PERIODO.
All'interno dei due secoli e mezzo del periodo Tokugawa, la storiografia ha determinato due diverse fasi, collocandone il periodo di passaggio tra gli anni Trenta e Cinquanta del Settecento. La cesura tra queste due fasi è rappresentata da una metamorfosi dei rapporti economico-sociali che, seppure in modo lento e graduale, trasse linfa dall'evoluzione dell'economia rurale in alcune aree del Paese, incidendo sia all'interno del sistema mibun, sia sull'assetto politico del bakufu e ponendo, in definitiva, le premesse per la rapida trasformazione economico-sociale del periodo Meiji. Infatti, la politica del sakoku pose forti limitazioni al commercio internazionale, tanto che lo sviluppo economico si fondò in modo precipuo sulla crescita del mercato interno, mentre l'assetto stabilito dal sistema mibun (che implicò tanto la concentrazione dei bushi nelle città-castello quanto il divieto loro imposto di svolgere attività manuali, ivi compreso il commercio) determinò, da un lato, l'insufficiente crescita delle entrate fiscali degli han e, dall'altro, l'emergere di un limitato numero di ricchissimi mercanti «protetti».
Fu dunque dalle zone rurali, su cui si fondava l'economia essenzialmente agricola del periodo Edo, che provenne l'impulso verso una profonda trasformazione dell'assetto economico-sociale del Paese. Come abbiamo visto, infatti, il sistema di tassazione prevedeva che la rendita determinata per i singoli feudi fosse suddivisa a metà tra i contadini, obbligati a risiedere nei villaggi al fine di non ridurre il livello dei raccolti, e il daimyo che con il gettito fiscale provvedeva a stipendiare i samurai alle sue dipendenze, oltre ad affrontare le spese personali, quelle per eventuali lavori pubblici e gli oneri del "sankin kotai". La responsabilità del versamento dell'imposta in riso (o in prodotti di valore equivalente), così come del mantenimento dell'ordine e della difesa dell'ortodossia, continuò a ricadere collettivamente sulle comunità di villaggio, le quali ne rispondevano in solido e suddividevano la rendita dovuta al daimyo tra le singole famiglie ("ie"), che costituivano le unità minime della società. In caso di calamità naturali, i contadini potevano ottenere dal loro signore la temporanea diminuzione dell'imposta dovuta e la mediazione era oggetto di contrattazione tra l'intendente di finanza del feudo e il capo del villaggio (shoya o "nanushi"), i due poli, rispettivamente, dell'autorità del daimyo e dell'autogoverno della comunità di villaggio.
Fin dalla prima fase del periodo Tokugawa, iniziarono a manifestarsi squilibri interni alle comunità di villaggio. Nonostante il divieto ai contadini di modificare le assegnazioni dei terreni coltivabili contenute nei registri catastali (kenchicho), contingenze diverse cominciarono a erodere l'usufrutto di alcune famiglie rurali in favore di altre. Ciò poteva accadere per ragioni oggettive (come, ad esempio, che la difficoltà di irrigare terreni lontani dalle fonti idriche fosse aggravata in periodi di siccità) o per motivi soggettivi (quali le onerose spese legate a matrimoni e funerali dei membri della ie), compromettendo in entrambi i casi la rendita delle famiglie contadine meno agiate. Ne risultò un'alterazione dell'assetto economico-sociale all'interno delle comunità di villaggio, che lentamente si discostò da quanto registrato nei kenchicho. Se inizialmente questo processo interessò tutti gli han in modo pressoché generalizzato e coincise con un aumento della produzione agricola che migliorò le condizioni di vita della popolazione nel suo insieme, nel corso del Settecento l'evoluzione economica ebbe una particolare accelerazione nelle aree del Kinai e del Kanto. Infatti, fu all'interno di queste due estese pianure che, nel periodo Tokugawa, si espansero le due maggiori conurbazioni del Paese (Edo e Kyoto-Osaka), con conseguente incremento di consumi e di afflusso di merci. Inoltre, soprattutto nel Kinai, grazie al ricorso a tecniche agricole più avanzate, i mura aumentarono le loro rendite complessive. L'adozione di fertilizzanti (quali la farina di pesce e di alghe, che si affiancano ai tradizionali concimi organici e al fogliame secco usati sino ad allora), l'introduzione di nuovi attrezzi agricoli (come il "senbakoki" o «trebbiatoio a mille denti»), l'impiego di tecniche di irrigazione più avanzate (ad esempio, le ruote idrauliche con sistemi di trasmissione), nonché la diffusione di manuali di agronomia diedero luogo, in alcune aree del Paese, alla formazione del «profitto embrionale», costitutivo di un processo di accumulazione esclusivamente nelle zone in cui aumentò la produttività, laddove cioè si verificò un incremento della produzione in presenza di una riduzione del «lavoro socialmente necessario»94. Parallelamente, si ebbe un'espansione delle colture extracerealicole, come il cotone, la canapa, il tabacco e il tè, destinate al mercato. In sostanza, dunque, i contadini che poterono disporre di un incremento delle rendite (dovute a maggiori estensioni di terreni da loro controllati e a un aumento della produttività) iniziarono a investire in attività «protomanifatturiere»95 situate nei villaggi e distretti rurali, nelle quali essi potevano impiegare il tempo residuo rispetto a quello necessario per la coltivazione del riso, calcolato attorno ai 250 giorni all'anno. Pertanto, l'incremento produttivo andò a vantaggio della popolazione rurale, con benefici del tutto marginali per i bilanci dei feudi e, più in generale, per la classe militare, anche in considerazione del fatto che, come già accennato, il capo del villaggio riusciva a occultare gli aumenti del raccolto di fronte agli intendenti inviati dal daimyo per prelevare l'imposta agricola.
Il pur lento incremento delle rendite di un certo numero di famiglie contadine favorì l'espansione dei mercati locali nei quali confluivano manufatti di uso quotidiano. In parallelo a questi commerci, la concentrazione a Edo dei daimyo o dei loro familiari (e, comunque, dei vassalli di alto rango e di un folto gruppo di servitori alle loro dipendenze) diede impulso alla formazione del mercato nazionale, costituito dai due poli del Kanto e del Kinai, area ad alta intensità produttiva. In questo contesto e in virtù delle regole fissate dal sistema mibun, i legami dei bushi con i mercanti si intensificarono. Infatti, raccolte le imposte agricole e versati gli stipendi ai samurai, il daimyo e i bushi dovevano inevitabilmente affidarsi all'attività dei mercanti per convertire i prodotti agricoli nelle merci a loro necessarie. Emerse così la «borghesia mercantile», altrimenti nota come ceto dei mercanti «protetti», la quale era costituita da un numero ristretto di fiduciari dei daimyo che riuscirono a trarre vantaggio dalla situazione. Innanzi tutto, negli han più grandi si diffuse, sino a consolidarsi, l'uso di basare le transazioni commerciali su lettere di credito sul riso e sull'argento, che acquisirono il valore di valuta legale all'interno del feudo. Occorre inoltre considerare che, nel Settecento, i mercanti «protetti» estesero la loro attività anche in campo finanziario, nella misura in cui, oltre a praticare l'usura, presero ad anticipare al daimyo le quote di sua spettanza per l'imposta agricola. Il progressivo ampliamento delle disponibilità finanziarie dei mercanti «protetti» dipese pure dal fatto che, ammassando nei propri magazzini una grande quantità di prodotti agricoli subito dopo il raccolto, potevano attribuirgli un prezzo più basso rispetto a quello di mercato nel periodo precedente alla nuova stagione di raccolto, secondo la più elementare legge economica.
E' bene precisare che, sul piano politico, i mercanti «protetti» non acquisirono un potere corrispondente a quello conseguito in termini economici, e la loro posizione nella gerarchia mibun non si discostò, almeno in linea teorica, da quanto stabilito dalla dottrina sociale neoconfuciana. Infatti, sebbene l'aumento dei consumi di lusso costringesse i daimyo a ricorrere a prestiti con frequenza sempre maggiore, essi si sforzarono di conservare la loro autorità sulla «borghesia mercantile». Indicativo, al riguardo, risulta essere il fatto che, a seguito dei forti passivi che interessarono i bilanci dei feudi così come del bakufu, furono più volte attuati tentativi di riforma del sistema finanziario e commerciale, i quali, come si vedrà tra breve, mirarono a risolvere gli effetti di una crisi che, tuttavia, aveva origine in una serie di nodi strutturali, in primo luogo la contraddizione tra il potere socio-economico assegnato in teoria alla classe militare e la realtà che era andata evolvendosi a seguito degli sviluppi di cui si è detto.
Ad aggravare ulteriormente la situazione contribuì poi l'allontanamento da parte di molti capi Tokugawa dal modello di governo personale ed efficace applicato dai primi tre shogun. Già con l'ascesa di Ietsuna nel 1651, infatti, le redini della direzione politica erano state assunte dai Consiglieri anziani e gli interessi dei daimyo fudai avevano cominciato a prevalere su quelli del capo militare del Paese, mentre il clima di pace aveva reso meno rigido il controllo esercitato dal bakufu, e quindi si era andato affermando un orientamento più benevolo nell'esercizio di governo, ispirato ai princìpi neoconfuciani. Il suo successore Tsunayoshi, divenuto shogun nel 1680, inaugurò una nuova stagione nell'esercizio del potere nella misura in cui, più che sui Consiglieri anziani o sui funzionari del bakufu, si affidò ai ciambellani ("sobayonin"), ovvero a personaggi del suo entourage privato costituito per lo più da individui di scarse capacità e grandi ambizioni. Nel corso dei tre decenni in cui egli mantenne la carica, le sorti del governo subirono un brusco e marcato declino, dovuto al contemporaneo esaurimento sia delle riserve monetarie del bakufu sia delle maggiori miniere di oro e di argento della famiglia Tokugawa, che si tentò di fronteggiare ricorrendo a una svalutazione monetaria. La fiducia nell'istituzione shogunale fu minata anche dalla dissennata e persino bizzarra condotta privata di Tsunayoshi, il quale visse in un lusso sfrenato, fu dedito ad attività omosessuali praticate in modo ostentato e divenne un fanatico protettore dei cani finanche decretando severe pene contro il maltrattamento di questi animali e guadagnandosi così l'appellativo di «shogun cane» ("inukubo"). Questa critica situazione politica e finanziaria fu ereditata dai suoi successori Ienobu, shogun dal 1709 al 1712, e Ietsugu, che mantenne la carica sino al 1716; entrambi ebbero come consigliere personale il grande intellettuale Arai Hakuseki (1657-1725), il quale si impegnò per riaffermare un modello di governo coerente con i princìpi neoconfuciani. Ma il primo vero tentativo di intervenire attivamente per risollevare le sorti del bakufu si ebbe sotto l'ottavo shogun Yoshimune (1684-1751), che regnò tra il 1716 e il 1745.
Daimyo di Kii e selezionato tra le tre famiglie direttamente imparentate ai Tokugawa, Yoshimune succedette alla guida del bakufu quando aveva ormai acquisito un'esperienza sufficiente per assumere la direzione del governo e intraprendere quello che sarebbe stato uno dei tre grandi programmi di riforma attuati nel corso del periodo Edo. Dette Kyoho dal nome dell'omonima era (1716-1736), le riforme realizzate sotto Yoshimune furono volte a risanare la crisi finanziaria del governo centrale e a ripristinare l'autonomia economica della classe militare. I primi interventi riguardarono il drastico contenimento delle uscite, l'appello a una condotta di austerità nel governo e nella vita privata della classe bushi, l'imposizione di norme suntuarie per tutte le classi sociali e il ristabilimento del valore della moneta. Gli effetti di questi provvedimenti, tuttavia, non risanarono le finanze del bakufu che, incapace di far fronte al pagamento degli stipendi dei suoi dipendenti tra il 1721 e il 1722, decise l'adozione di misure più drastiche. In cambio della riduzione del periodo di soggiorno a Edo previsto dalla pratica del sankin kotai, ai daimyo fu imposta una serie di prestiti forzosi che vennero usati per pagare le insolvenze contratte con gli uomini alle dipendenze dei Tokugawa. Gli interventi in ambito fiscale riguardarono l'adozione di un metodo più rigoroso di esazione delle tasse agricole, che prevedeva un pagamento annuo fisso ("jomen") in sostituzione della quota calcolata sulla base della quantità di raccolto. Ciò ebbe benefici effetti per le casse shogunali, assicurando un netto aumento delle entrate provenienti dalle proprietà dei Tokugawa e consentendo, nel 1731, di ristabilire le norme relative al sankin kotai e di revocare i prestiti forzosi imposti ai daimyo. Gli anni successivi, comunque, videro una nuova flessione delle entrate provenienti dalla tassazione agricola, in concomitanza con una fase di stagnazione economica e con l'emergere di una ondata di rivolte contadine ("hyakusho ikki"), che chiedevano la riduzione degli oneri fiscali. Si aprì così una nuova stagione di riforme, caratterizzata da una politica di espansione finanziaria, dal ritorno alla base aurea e di argento e a misure fiscali rigorose, nonché da un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti della penetrazione del capitale mercantile urbano nelle zone rurali, che creò le basi del successivo sviluppo commerciale e del saldo legame che il bakufu avrebbe stabilito con le associazioni di mercanti. Yoshimune tentò comunque di controllare il potere del ceto mercantile attraverso la concessione di licenze ufficiali a case commerciali (kabunakama), mentre la moratoria di tutti i debiti contratti dai bushi intendeva riequilibrare il rapporto tra la classe militare e quella mercantile96.
Le Riforme dell'era Kyoho sono in genere considerate più efficaci e lungimiranti rispetto a quelle che sarebbero state tentate in seguito; nel complesso, tuttavia, non riuscirono ad assicurare una solida base alle finanze shogunali né, più in generale, a risolvere i problemi strutturali del sistema economico-sociale del Giappone Tokugawa. In taluni casi, poi, esse sortirono effetti negativi, come testimonia ad esempio la politica di stabilizzazione del prezzo del riso (attuata sia controllando l'acquisto e la vendita, sia apprezzando la moneta metallica), la quale, unita agli interventi volti a favorire la moneta metallica e la crescita della produzione agricola, generò una drastica riduzione del prezzo del riso, con dannose conseguenze per i samurai che percepivano stipendi fissi pagati con quote di questo cereale. Né gli effetti delle riforme risparmiarono i contadini, oberati da un più severo sistema fiscale, e i mercanti, colpiti da misure arbitrarie come la cancellazione dei debiti dovuti loro dai bushi. Le ripercussioni che l'opera di riforme ebbe in campo politico furono invece rilevanti, implicando in primo luogo la riaffermazione dell'autorità personale dello shogun, il ritorno a un'amministrazione retta e responsabile della burocrazia e il rafforzamento del controllo sugli intendenti responsabili del governo locale nei territori dei Tokugawa. L'esempio di Yoshimune, tuttavia, non fu seguito dai due successivi shogun, Ieshige (che ereditò tale la carica nel 1745) e Ieharu (che la detenne dal 1760 al 1786), entrambi ricordati come individui di fragile statura politica nelle mani dei ciambellani. Tra questi ultimi emerse Tanuma Okitsugu (1719-1788), la cui ambizione lo portò ad affermarsi come il personaggio più influente dello shogunato di Ieharu e ad assumere la carica di roju.
Oltre che come uomo corrotto, Tanuma è ricordato come l'ideatore di una serie di provvedimenti che, volti a rafforzare l'economia del bakufu traendo profitto dalle attività mercantili, ebbero effetti disastrosi. Egli riprese e sviluppò la politica di incoraggiamento del commercio già avviata sotto Yoshimune, concedendo licenze ad associazioni commerciali e istituendo monopoli semiufficiali in cambio di una tassazione su queste attività, e stimolò i traffici con l'estero a Nagasaki promuovendo le esportazioni di prodotti marittimi provenienti dallo Hokkaido, che egli pianificò di colonizzare. Tentò, inoltre, di espandere la circolazione valutaria introducendo per la prima volta monete di argento (sino ad allora usato solo in forma non coniata) e di creare un fondo nazionale finanziato dal capitale mercantile e disponibile per prestiti a basso tasso di interesse a favore della classe militare. L'attuazione di queste misure fu bruscamente interrotta alla morte di Ieharu, che consentì ai numerosi oppositori di Tanuma di provvedere alla sua destituzione, oltre che alla confisca dei beni e dei titoli acquisiti.
Nel 1787, il giovane Ienari (che resse le sorti del bakufu più a lungo di ogni altro shogun Tokugawa, governando sino al 1837) ereditò una situazione disastrosa, dovuta sia alla politica dissennata di Tanuma, che aveva aggravato i problemi finanziari del bakufu e degli han e lo stato di indebitamento dei samurai, sia a una serie di calamità naturali e carestie che avevano afflitto le campagne, provocando numerose insurrezioni contadine. Il lungo governo di Ienari fu caratterizzato da due fasi assai diverse fra loro, la prima delle quali fu dominata da Matsudaira Sadanobu (1758-1829), nominato consigliere dello shogun ancora minorenne. Fu sotto la sua guida che si ebbe la seconda grande stagione di riforme, che prendono nome dall'era Kansei e che furono estese anche a tutti i feudi97. Sintetizzata nello slogan «torniamo a Yoshimune», la politica di Matsudaira fu tuttavia indirizzata verso il contenimento dell'espansione delle attività commerciali e le limitazioni finanziarie. Egli tentò in primo luogo di restituire efficienza all'amministrazione centrale, riaffermando l'autorità dei roju e provvedendo a epurare una serie di funzionari e, soprattutto, di ciambellani corrotti. Gli interventi nelle zone rurali furono orientati verso una più rigorosa esazione dell'imposta agricola, la creazione di riserve di riso per le cattive annate e il rafforzamento delle misure per prevenire l'allontanamento della manodopera contadina dalle campagne e per favorire lo "hitogaeshi", cioè il ritorno dei contadini trasferitisi nelle zone urbane in cerca di lavoro ai loro villaggi. Assai rilevanti furono i provvedimenti che interessarono Edo, teatro di una grande rivolta avvenuta nell'estate del 1787 che mise in luce la vulnerabilità della grande metropoli. La posizione finanziaria di Edo fu rafforzata rispetto a quella di Osaka grazie a un intervento per limitare il tasso di interesse, che consentì di controllare l'aumento dei prezzi dei beni di consumo, e all'impulso dato allo sviluppo della produzione di sake, olio, carta e cotone nella regione circostante. Pur riuscendo a migliorare le finanze del bakufu, ad allentare le tensioni economiche e sociali e a restituire vigore alla burocrazia, le Riforme Kansei furono limitate ad avere effetti immediati.
Il ritiro di Sadanobu nel 1793 coincise con l'assunzione diretta dei compiti di governo da parte di Ienari, che tuttavia non mostrò un particolare interesse verso le riforme; né diede dimostrazione di maggiore zelo nel contenimento delle spese, da cui risultò un generale impulso allo sviluppo economico e culturale del Paese e, allo stesso tempo, un deterioramento delle finanze e della posizione politica del governo di Edo. La seconda fase dello shogunato di Ienari, dunque, fu caratterizzata da un governo inefficace e poco incline a tentare di risolvere i problemi di fondo che minavano il sistema economico-sociale dei Tokugawa e che emersero in modo drammatico a partire dagli anni Trenta dell'Ottocento, quando una serie di carestie gettò in profonda crisi i settori più fragili della società, esasperando gli animi popolari. Nel 1836, la provincia di Kai fu teatro di una violenta rivolta contadina; l'anno seguente il bakufu fu profondamente scosso dalla ribellione di un suo funzionario di Osaka, Oshio Heihachiro (1793-1837), che, colpito dallo stato di indigenza in cui versava parte della popolazione, dapprima sollecitò il magistrato della città a distribuire le riserve di riso e quindi cercò di attaccare il castello di Osaka alla ricerca di beni da distribuire ai poveri. In quello stesso anno Ienari rinunciò alla carica di shogun in favore del figlio Ieyoshi, sotto il quale si ebbe il terzo e ultimo ciclo di riforme promosso nel periodo Edo.
Intraprese tra il 1841 e il 1843 e ricordate con il nome del nengo corrente (Tenpo, 1830-1844), le riforme si ispirarono al modello delle Riforme Kyoho e Kansei e furono ideate da Mizuno Tadakuni (1794-1851), un eminente membro del Consiglio degli Anziani98. Il suo programma mirò ancora una volta al risanamento della situazione economica e politica del bakufu, che egli tentò di attuare (oltre che riducendo il numero degli uomini alle dipendenze del governo, riaffermando le regole suntuarie e richiamando la classe guerriera al tradizionale spirito del bushido) ricorrendo a misure per molti versi contraddittorie, come nel caso dell'abolizione dei monopoli commerciali e delle organizzazioni per la vendita all'ingrosso, che egli riteneva avrebbe consentito di contenere l'aumento dei prezzi. Ciò, unito alla riduzione forzata dei prezzi, degli stipendi e degli affitti, ebbe effetti negativi sulla circolazione delle merci e sul rialzo dei prezzi stessi. Altrettanto controverso fu l'editto con il quale ordinò il trasferimento di tutti i daimyo degli han situati nei dintorni di Edo e di Osaka (noto come "Agechirei"), che interessò quindici feudatari, compreso quello di Kii facente parte delle «tre famiglie». L'opposizione suscitata dall'adozione di queste misure indusse Mizuno a dimettersi dal suo incarico nel 1843, lasciando dietro di sé una situazione critica e un diffuso malcontento. Le Riforme Tenpo non furono limitate al governo centrale, interessando anche molti han, che percorsero vie diverse per cercare di risolvere la difficile situazione in cui versavano le proprie finanze e di cui si dirà nel capitolo seguente.
Nel complesso, le riforme varate a più riprese a partire dai primi decenni del diciottesimo secolo testimoniano come la classe dirigente, nazionale e locale, ricercasse gli strumenti appropriati per fronteggiare le ricorrenti crisi, le quali mostrarono in modo sempre più palese le contraddizioni insite nel sistema economico-sociale dei Tokugawa. Uno dei sintomi più evidenti del malessere che andava diffondendosi nella società è rappresentato dalle rivolte popolari che, specie nel corso della seconda parte del periodo Edo, costellarono la storia del Giappone con crescente frequenza, il cui rilevante numero (circa 2500 tra la metà del Settecento e la fine del periodo) sembra peraltro mettere in discussione la definizione di «"pax" Tokugawa» attribuita all'omonima epoca. Come vedremo, su questi problemi di natura interna si innescarono nuove tensioni, scaturite dagli eventi che, nel frattempo, stavano avvenendo in Occidente e che andavano investendo anche l'Asia Orientale, compreso il Giappone.