CAPITOLO CINQUANTADUE
Sophie correva. Non aveva più paura; non si sentiva più debole o fragile. Doveva solo raggiungere suo fratello, Josh, che si trovava ormai a pochi passi da lei, in una stanza in fondo a quel tunnel. Vedeva il bagliore dorato della sua aura che illuminava il buio, sentiva il profumo squisito delle arance.
Oltrepassando Nicholas Flamel, Jeanne e Saint-Germain, ignorando i loro richiami, Sophie correva verso la luce che usciva dalla soglia arcuata. Era sempre stata brava a correre, e deteneva il record dei cento metri nella maggior parte delle scuole che aveva frequentato, ma in quel momento stava praticamente volando lungo il corridoio. A ogni passo, la sua aura - alimentata dalla rabbia e dalla determinazione - cresceva intorno a lei, scintillante, crepitante e metallica. I suoi sensi amplificati si acutizzarono, le pupille si ridussero prima a due puntini minuscoli e poi si dilatarono in dischi d'argento. Subito le tenebre svanirono, e Sophie vide la macabra catacomba in ogni minimo e scioccante particolare. Si sentì assalire le narici da una varietà di odori - serpente e zolfo, marciume e terra - ma più forte di tutti era il profumo dell'aura di suo fratello. E capì che era troppo tardi: il Risveglio di Josh era già stato completato.
Ignorando l'uomo rannicchiato a terra all'esterno della sala, Sophie si precipitò dentro... e la sua aura si indurì all'istante in una corazza metallica, mentre archi fiammeggianti di fuoco dorato rimbalzavano tutt'intorno a lei, colpendola. Vacillò, scossa da quell'energia. Aggrappandosi allo stipite della porta, si tenne forte per evitare di farsi respingere in corridoio.
— Josh — disse, sgomenta di fronte alla scena che le si era aperta davanti.
Suo fratello era inginocchiato a terra, al cospetto di Marte. L'Antico Signore impugnava uno spadone con la mano sinistra, la punta rivolta al soffitto, mentre la mano destra stringeva la testa del ragazzo. L'aura di Josh ardeva in un incendio indomabile, racchiudendolo in un bozzolo di luce dorata. Il fuoco giallo roteava intorno a lui, scagliando globi e sferzate di energia che si schiantavano sulle pareti e sul soffitto, scalfendo interi tratti di osso ingiallito per rivelare il bianco sottostante.
— Josh! — strillò Sophie.
Il dio voltò lentamente la testa e la fissò con il bagliore dei suoi occhi rossi. — Vattene — ordinò.
Sophie scosse la testa. — Non senza il mio gemello — rispose. Non aveva intenzione di abbandonare suo fratello,- non l'avrebbe mai fatto.
— Non è più il tuo gemello — replicò Marte. — Ora siete diversi.
— Sarà sempre il mio gemello — ribatté Sophie. Inoltrandosi nella stanza, sprigionò un'ondata di gelida nebbia d'argento dal corpo, che investì suo fratello e l'Antico Signore. Quando toccò l'aura di Josh, delle volute di fumo bianco sporco si levarono sibilando e sfrigolando verso il soffitto. Al contatto delle pelle indurita di Marte, invece, il vapore gelò, e i cristalli di ghiaccio scintillarono nella luce ambrata.
Il dio abbassò lentamente la spada. — Sai chi sono io? — chiese, con voce sommessa, quasi gentile. — Se lo sapessi, avresti paura di me.
— Tu sei Marte Ultore — rispose Sophie lentamente, attingendo alle informazioni della Strega. — E prima che i Romani ti venerassero, i Greci ti conoscevano come Ares, e prima ancora i Babilonesi ti chiamavano Nergal.
— Chi sei? — La mano del dio scivolò giù dalla testa di Josh, e subito l'aura del ragazzo si spense, estinguendo le fiamme.
Josh vacillò, e Sophie si fece subito avanti per sorreggerlo prima che cadesse a terra. Nell'istante in cui si sfiorarono anche la sua aura scomparve, lasciandola senza difese. Ma ormai era andata ben oltre la soglia della paura: non sentiva nulla, solo il sollievo di riunirsi con suo fratello. Accovacciandosi a terra, cullando Josh tra le braccia, sollevò lo sguardo sull'imponente dio della guerra. — E prima ancora di Nergal, eri il difensore dell'umanità: Huitzilopochtli. Hai portato in salvo gli schiavi umani quando Danu Talis è stata inghiottita dalle acque.
Il dio arretrò, barcollando. Quando sfiorò con i polpacci il plinto si sedette di colpo, e la pietra massiccia si spaccò sotto il suo peso immenso. — Come fai a saperlo? — chiese, e qualcosa di simile alla paura tremò nella sua voce.
— Lo so perché un tempo hai amato la Strega di Endor. — Sophie si alzò da terra, sollevando il fratello e rimettendolo in piedi; Josh aveva gli occhi aperti, ma rivoltati all'indietro, e solo il bianco della pupilla era visibile. — La Strega di Endor mi ha trasmesso tutti i suoi ricordi. So che cosa hai fatto... e so il motivo per cui lei ti ha maledetto. — La ragazza tese la mano e toccò la pelle di pietra del dio con la punta delle dita. Scoccò una scintilla. — So perché ha fatto questo alla tua aura. — Poi si avvolse il braccio del fratello intorno al collo e si voltò, dando le spalle al dio della guerra.
Flamel, Saint-Germain e Jeanne erano arrivati e si erano raccolti sulla soglia. La Pulzella d'Orléans puntava la spada contro Dee, che giaceva immobile sul pavimento. Nessuno parlò.
— Se hai in te i ricordi della Strega, allora conosci tutti i suoi incantesimi e le sue fatture — disse Marte, quasi in tono di supplica. — Sai come liberarmi dalla maledizione.
L'Alchimista corse incontro a Sophie per toglierle il fratello dalle braccia, ma lei rifiutò. Girandosi per lanciare un'occhiata al dio, la ragazza rispose: — Sì, so come liberarti.
— Allora fallo! — ordinò Marte. — Fallo, e ti darò tutto quello che vuoi. Posso darti qualunque cosa!
Sophie rifletté per un momento. — Puoi togliermi questi sensi risvegliati? Puoi far tornare normali me e mio fratello?
Ci fu un lungo attimo di silenzio, poi il dio parlò di nuovo. — No. Questo non posso farlo.
— Allora non puoi fare niente per noi. — Sophie si voltò, e con l'aiuto di Saint-Germain accompagnò Josh fuori dalla sala. Jeanne li seguì defilata, e solo Flamel rimase in piedi sulla soglia.
— Aspetta! — tuonò la voce del dio, e tutta la sala tremò. Phohos e Deimos sbucarono da dietro il plinto spaccato, parlottando. — Annullerai la maledizione, o...
— O cosa? — chiese l'Alchimista, fecendo un passo avanti.
— Nessuno di voi lascerà queste catacombe vivo — minacciò Marte. — Non lo permetterò. Io sono Marte Ultore! — I suoi occhi lampeggiarono rossi, e il dio fece un passo avanti, puntando la spada dritto davanti a sé. — Chi sei tu per metterti contro di me?
— Io sono Nicholas Flamel. E tu sei un Antico Signore che ha commesso lo sbaglio di credersi un dio. — Schioccò le dita, e uno scintillante pulviscolo color smeraldo si sparse sul pavimento d'osso. Le particelle si diffusero sulla superficie levigata, lasciando sottili striature verdi nel giallo invecchiato. — Io sono l'Alchimista... permettimi di introdurti al più grande segreto dell'alchimia: la trasmutazione. — Detto questo, si lanciò nel corridoio e sparì nelle tenebre.
— No! — Marte fece un passo avanti e subito affondò fino alla caviglia nel pavimento, tutt'a un tratto soffice e gelatinoso. Fece un altro passo tremante, poi perse l'equilibrio, mentre il terreno si liquefaceva sotto il suo peso. Si schiantò in avanti, battendo a terra così forte da gettare spruzzi di osso gelatinoso sulle pareti. La spada staccò un enorme moncone dal muro, nel punto in cui, un attimo prima, si trovava Flamel. Il dio si sforzò di rimettersi in piedi, ma il pavimento era un pantano instabile di melma ossea e appiccicosa. Drizzandosi carponi, sollevò la testa per gettare uno sguardo fulminante a Dee, che stava lentamente guadagnando l'uscita strisciando fuori dal liquido. — Questa è opera tua, Mago! — ululò Marte, inferocito, facendo vibrare tutta la sala. Polvere d'osso e scaglie di pietra antica piovvero a terra. — Ti ritengo responsabile.
Dee si mise faticosamente in piedi e si appoggiò allo stipite della porta, cercando di scrollarsi la gelatina appiccicosa dalle mani.
— Portami la ragazza e il ragazzo, e forse ti perdonerò — ringhiò Marte. — Portami i gemelli. Altrimenti...
— Altrimenti cosa? — chiese Dee, calmo.
— Ti distruggerò! Nemmeno l'Antico Signore tuo padrone sarà in grado di proteggerti dalla mia ira.
— Non osare minacciarmi! — ringhiò Dee a sua volta. — Non ho bisogno che il mio Antico Signore mi protegga.
— Temi la mia ira, Mago, poiché ti sei appena guadagnato la mia inimicizia.
— Sai che cosa faccio a tutti coloro che temo? — domandò l'inglese. — Li distruggo! — La stanza si riempì di colpo di un fetore di zolfo, e le pareti scavate nell'osso cominciarono a sciogliersi e a colare come gelato soffice. — Flamel non è l'unico alchimista a conoscere il segreto della trasmutazione — disse, mentre il soffitto si afflosciava trasudando in lunghi filamenti sul pavimento e ricoprendo Marte Ultore di un fluido vischioso.
— Distruggetelo! — gridò Marte.
Phobos e Deimos balzarono sulla schiena dell'Antico Signore, con i denti e gli artigli sfoderati, gli occhi enormi fissi su Dee.
Il Mago pronunciò una singola parola di potere e schioccò le dita: l'osso liquefatto si indurì all'istante.
Niccolò Machiavelli comparve sulla soglia. Incrociò le braccia al petto e scrutò la sala. Al centro della stanza, colto nello sforzo di sollevarsi da terra, con i due satiri sulla schiena, c'era Marte Ultore, impietrito in una crosta ossea.
— E così nelle catacombe di Parigi si è aggiunta un'altra misteriosa statua di osso — commentò l'italiano. Dee fece per andarsene. — Prima uccidi Ecate, e ora Marte — continuò Machiavelli. — E io che ti pensavo dalla nostra parte. Ti rendi conto, vero, che siamo due uomini morti? Non siamo riusciti a catturare Flamel e i gemelli. I nostri padroni non ci perdoneranno.
— Non è ancora detta l'ultima parola — gridò Dee di rimando. Era già quasi in fondo al corridoio. — So dove sbuca questo tunnel. So come possiamo catturarli. — Si fermò e si girò a guardare l'altro immortale. Quando parlò di nuovo, pronunciò le parole lentamente, quasi con riluttanza. — Ma dovremo lavorare insieme. Dovremo unire i nostri poteri.
— Che cosa intendi fare? — chiese Machiavelli.
— Insieme, possiamo liberare i Guardiani della Città.