CAPITOLO DODICI
La Strega ha detto di farci trovare alla Torre Eiffel per le sette, e di aspettare lì dieci minuti — riferì Nicholas Flamel mentre si allontanavano in fretta nel vicolo. — Se nessuno si fa vivo, dobbiamo ripresentarci alle otto e poi di nuovo alle nove.
— Chi ci sarà? — chiese Sophie, costretta quasi a correre per tenere il passo dell'Alchimista. Era esausta, e i pochi momenti di pausa al caffè erano serviti solo ad accentuare la sua stanchezza. Si sentiva le gambe di piombo e aveva una dolorosa fitta al fianco sinistro.
Flamel alzò le spalle. — Non lo so. Chiunque la Strega riesca a contattare.
— Sempre che a Parigi ci sia qualcuno disposto a rischiare di aiutarti — intervenne Scathach. — Sei un nemico pericoloso, Nicholas, e probabilmente un amico ancora più pericoloso. Morte e distruzione ti hanno sempre seguito da vicino.
Josh scrutò di sottecchi la sorella. Sophie distolse di proposito lo sguardo, ma il ragazzo capì che quella conversazione la metteva a disagio.
— Be', se nessuno si fa vivo, passeremo al piano B — disse Flamel.
Scathach piegò le labbra in un sorriso privo di allegria. — Non sapevo nemmeno che avessimo un piano A. Qual è il piano B?
— Non ci sono ancora arrivato. — L'Alchimista sorrise. Ma tornò subito serio. — Vorrei che Perenelle fosse qui. Lei saprebbe cosa fare.
— Dovremmo dividerci — suggerì Josh all'improvviso.
Flamel, che era in testa al gruppo, si girò a guardarlo. — Non credo proprio.
— Sì, invece — ribadì Josh con fermezza. — È la cosa più sensata. — E poi si chiese perché l'Alchimista non voleva che si dividessero.
— Josh ha ragione — disse Sophie. — La polizia sta cercando tutti e quattro. Ormai avranno una descrizione completa: due adolescenti, una ragazza con i capelli rossi e un uomo anziano. Non è un gruppo molto comune.
— Un uomo anziano! — esclamò Flamel vagamente offeso, con accento francese più pronunciato del solito. — Scatty ha duemila anni più di me!
— Però non li dimostro — lo canzonò la Guerriera, con un ghigno. — Dividersi è una buona idea.
Josh si fermò all'ingresso del vicolo e sbirciò. Le sirene della polizia urlavano a più non posso.
Sophie era al suo fianco. Aveva la fronte corrugata, e i suoi vivaci occhi azzurri si erano offuscati, le iridi punteggiate d'argento. — Roux ha detto che dovevamo prendere a sinistra per Rue de Dunkerque o a destra per la metropolitana.
— Non sono sicuro che dividersi sia... — Flamel esitò.
Josh si voltò a guardarlo. — Sì, invece — ripetè deciso. — E Sophie e io andremo...
— D'accordo, dividiamoci — lo interruppe l'Alchimista. — Ma la polizia potrebbe cercare dei gemelli...
— Non ci somigliamo poi tanto — si affrettò a dire Sophie. — Josh è più alto di me.
— Ma avete tutti e due i capelli biondi e gli occhi azzurri, e nessuno di voi parla francese — obiettò Scatty.
— Sophie, tu vieni con me. Due ragazze insieme daranno meno nell'occhio. Josh e Nicholas possono andare per conto loro.
— Non voglio lasciare Sophie — protestò Josh. A un tratto l'idea di separarsi dalla sorella in quella città straniera lo spaventava.
— Sarò al sicuro con Scatty — lo rassicurò Sophie, con un sorriso. — Ti preoccupi troppo. E so che Nicholas avrà cura di te.
Josh non ne sembrava troppo convinto. — Preferirei restare con te.
— Facciamo andare insieme le ragazze. È meglio così — disse Flamel. — È più sicuro.
— Più sicuro? — ripetè Josh, incredulo. — Non c'è niente di sicuro in questa storia.
— Josh! — sbottò Sophie, nell'identico tono di sua madre. — Basta! È deciso. — Si girò verso Scathach.
— Devi fare qualcosa ai capelli. Se la polizia ha la descrizione di una ragazza con i capelli rossi e i vestiti neri...
— Hai ragione. — La mano sinistra della Guerriera fece un rapido scatto, e subito tra le sue dita comparve un coltellino a serramanico. Scathach si girò verso Flamel. — Mi serve un po' di stoffa. — Senza aspettare risposte, fece girare l'uomo di spalle e gli sollevò il giubbotto scolorito. Con mosse rapide e precise, ritagliò un quadrato di stoffa dalla sua maglietta nera. Poi lasciò cadere il giubbotto, piegò il riquadro come una bandana e se lo annodò sulla nuca, coprendosi così i capelli rivelatori.
— Era la mia maglietta preferita — mugugnò Flamel, scuotendo le spalle a disagio. — E adesso sento freddo sulla schiena.
— Non fare il bambino. Te ne comprerò un'altra — replicò Scatty. Poi prese Sophie per mano. — Coraggio, andiamo. Ci vediamo alla Torre Eiffel.
— Sai la strada? — le gridò dietro Flamel.
Scatty rise. — Ho vissuto qui per quasi sessantanni, ricordi? C'ero anch'io quando l'hanno costruita.
Flamel annuì. — Be', cerca di non dare nell'occhio.
— Ci proverò.
— Sophie... — cominciò Josh.
— Lo so, devo stare attenta. — Sophie tornò indietro e strinse il fratello in un rapido abbraccio, che fece crepitare l'aura di entrambi. — Andrà tutto bene — disse piano, leggendo la paura negli occhi di Josh.
Il ragazzo si sforzò di sorridere e annuì. — Come lo sai? Magia?
— Lo so e basta — rispose lei. Gli occhi mandarono un rapido bagliore argenteo. — Tutto questo sta succedendo per una ragione... ricorda la profezia. Tutto si risolverà per il meglio.
— Ti credo — disse Josh, anche se non era vero. — Sta' attenta e ricorda: niente vento.
Sophie lo strinse di nuovo, in fretta. — Niente vento, promesso — gli bisbigliò all'orecchio prima di girarsi e correre via.
Josh e l'Alchimista osservarono le due donne scomparire in fondo alla strada, verso la stazione della metropolitana; poi si girarono nella direzione opposta. Un attimo prima di svoltare l'angolo, Josh lanciò un'occhiata alle sue spalle e vide che Sophie aveva fatto lo stesso. Si salutarono.
Il ragazzo aspettò che lei si girasse prima di abbassare la mano. Adesso era davvero solo, in una città straniera, a migliaia di chilometri da casa, in compagnia di un uomo di cui non si fidava... un uomo che aveva cominciato a temere.
— Ma non avevi detto di conoscere la strada? — chiese Sophie.
— È passato un po' di tempo, e le strade sono cambiate parecchio — si giustificò la Guerriera.
— Ma hai detto che eri qui quando hanno costruito la Torre Eiffel... Cioè quando, di preciso?
— Nel 1889. Me ne andai un paio di mesi dopo.
Scathach si fermò fuori dalla stazione della metropolitana e chiese informazioni a un'edicolante. La cinese dietro il banco non se la cavava bene col francese, così Scatty passò rapidamente a un'altra lingua. Sophie si accorse di conoscerla: era mandarino. La cinese uscì con un sorriso dall'edicola e indicò in fondo alla strada, parlando così in fretta che Sophie non riuscì più a distinguere le singole parole, nonostante i ricordi della Strega. Sembrava quasi che la donna cantasse. Scathach la ringraziò con un inchino, e la cinese ricambiò il gesto.
Sophie prese la Guerriera per il braccio e la trascinò via. — Bel modo di non dare nell'occhio — mormorò. — La gente stava cominciando a guardare.
— E cosa c'era da guardare? — chiese Scathach, sinceramente perplessa.
— Oh, forse la vista di una ragazza bianca che parla perfettamente cinese e fa l'inchino — rispose Sophie, con un sorriso ironico. — Bella esibizione.
— Un giorno tutti parleranno il mandarino, e l'inchino è soltanto buona educazione — replicò Scathach, avviandosi per la strada che la donna le aveva indicato.
Sophie le si mise al fianco. — Dove hai imparato il cinese?
— In Cina. In realtà, con quella donna stavo parlando il mandarino, ma conosco anche il wu e il cantone- se. Ho passato molto tempo in oriente, nel corso dei secoli. Mi piaceva molto.
Camminarono in silenzio per un po', e poi Sophie chiese: — Quante lingue parli, in tutto?
Scathach aggrottò la fronte, socchiudendo gli occhi mentre rifletteva. — Sei o sette...
Sophie annuì. — Sei o sette. Notevole! Mamma e papà volevano farci studiare lo spagnolo, e papà insegna latino e greco. Ma mi piacerebbe molto imparare il giapponese. Vorrei tanto andare in Giappone.
— Sei o settecento — concluse Scathach, poi scoppiò a ridere di fronte all'espressione sbigottita di Sophie. La prese a braccetto. — Be', immagino che alcune siano lingue morte, perciò non so se contano davvero, però ricorda che sono in circolazione da parecchio.
— Hai davvero duemilacinquecento anni? — chiese Sophie, scrutando di sottecchi la compagna, che non ne dimostrava più di diciassette. Poi sorrise: chi l'avrebbe mai detto che si sarebbe trovata a fare una domanda del genere. Era un altro esempio di quanto fosse cambiata la sua vita.
— Duemilacinquecentodiciassette, secondo il calendario degli homines. — Scathach fece un sorriso teso, senza scoprire i denti da vampiro. — Ecate una volta mi ha abbandonato in un Regno d'Ombra Infernale. Ci ho messo secoli per uscirne. E quando ero più giovane mi sono fermata a lungo nei Regni d'Ombra di Lyones- se, Hy-Brasil e Tir-na-nOg, dove il tempo si muove a una velocità diversa. Nei Regni d'Ombra il tempo non è lo stesso di quello degli homines, perciò in realtà io conto solo quello che ho trascorso sulla Terra. Chissà, forse avrai modo di scoprirlo di persona. Tu e fosh avete dei poteri straordinari, e diventerete ancora più potenti quando avrete imparato a controllare le magie dementali. Se non scoprirete il segreto dell'immortalità da soli, qualcuno potrebbe offrirvelo in dono. Coraggio, attraversiamo la strada.
Erano solo le sei del mattino, ma il traffico cominciava già ad aumentare. I furgoni stavano facendo le consegne ai ristoranti, e l'aria iniziava a riempirsi dell'aroma invitante del pane e dei dolci freschi e del caffè appena fatto. Sophie inspirò quelle fragranze familiari: i croissant e il caffè le ricordarono che soltanto due giorni prima lavorava ancora al Coffee Cup. Ricacciò indietro le lacrime. Quante cose erano successe, quante cose erano cambiate in due giorni! — Che effetto fa vivere cosi a lungo? — chiese.
— Ci si sente soli — rispose Scatty.
— Quanto... quanto ti resta da vivere?
La Guerriera si strinse nelle spalle e sorrise. — Chi lo sa? Se agisco con prudenza, mi alleno regolarmente e controllo la dieta, magari un altro paio di millenni. — Poi il suo sorriso si spense. — Non sono invulnerabile, né invincibile. Possono uccidermi. —Vide l'espressione colpita sul volto di Sophie e le strinse il braccio. — Ma non succederà. Sai quanti homines, immortali, Antichi Signori, creature mannare e mostri assortiti hanno già cercato di farmi fuori?
La ragazza scosse la testa.
— Be', nemmeno io. Ma sono stati migliaia. Forse perfino decine di migliaia. E sono ancora qui; questo che significa, secondo te?
— Che sei brava?
— Ah! Sono più che brava, sono la migliore. Sono la Guerriera. — Scathach si fermò a guardare la vetrina di una libreria, ma Sophie vide che quando si voltò a parlarle i suoi occhi sfrecciavano ovunque, registrando tutto quello che c'era nei dintorni.
Resistendo alla tentazione di voltarsi, Sophie abbassò la voce in un sussurro. — Ci stanno seguendo? — Si stupì di scoprirsi per niente spaventata; sentiva che nulla poteva farle del male, al fianco di Scatty.
— No, non credo. È solo una vecchia abitudine. — Scathach sorrise. — Un'abitudine che mi ha tenuto in vita per secoli. — Si scostò dalla vetrina.
Sophie la prese a braccetto. — Nicholas ti ha chiamato con altri nomi quando ci siamo conosciute... — Aggrottò la fronte, cercando di ricordare la presentazione dell'Alchimista, a San Francisco, soltanto due giorni prima. — Ti ha chiamato la Vergine Guerriera, l'Ombra, l'Assassina dei Demoni, l'Artefice dei Re.
— Sono soltanto nomi — mormorò Scathach, imbarazzata.
— Non sembrano soltanto nomi — insistette Sophie.
— Sembrano titoli... titoli che ti sei guadagnata?
— Be', ho avuto molti nomi — spiegò la Guerriera.
— Nomi ricevuti dagli amici, o con cui mi chiamavano i nemici. All'inizio sono stata la Vergine Guerriera, e poi sono diventata l'Ombra, per la mia capacità di camuffarmi. Sono stata io a inventare i primi vestiti mimetici.
— Sembri quasi un ninja — rise Sophie. Ascoltandola parlare, immagini tratte dai ricordi della Strega le balenarono nella testa, e seppe che Scatty stava dicendo la verità.
— Ho provato a insegnare ai ninja, ma non sono mai stati un granché, credimi. E poi mi hanno chiamata l'Artefice dei Re quando ho aiutato Artù a salire al trono — aggiunse, la voce a un tratto cupa. Scosse la testa.
— È stato un errore. E non è stato il primo. — Rise, ma con scarsa convinzione. — Ne ho commessi molti.
— Mio padre dice che si può imparare dai propri errori.
Scatty scoppiò in una sonora risata. — Non è il mio caso. — Non riuscì a trattenere una certa amarezza nella voce.
— Hai avuto una vita dura, vero?
— Sì, è stata dura — ammise la Guerriera.
— Hai mai avuto un... — Sophie fece una pausa, cercando la parola giusta. — Hai mai avuto un ragazzo?
Scathach la fissò profondamente per qualche istante, poi si voltò verso una vetrina. Per un attimo Sophie pensò che stesse esaminando le scarpe esposte, ma poi si rese conto che guardava il suo riflesso nel vetro. Si chiese cosa vedeva.
— No — ammise Scatty dopo un po'. — Non c'è mai stato nessuno di speciale, nessuno di così vicino. — Fece un sorriso tirato. — Gli Antichi Signori mi temono e mi evitano. E io cerco di non avvicinarmi troppo agli homines. E troppo dura guardarli invecchiare e morire. E questa la maledizione dell'immortalità: osservare il mondo che cambia, vedere appassire tutto quello che conosci. Ricordatelo, Sophie, se qualcuno dovesse offrirti il dono dell'immortalità. — Pronunciò l'ultima parola con disprezzo.
— Sembra una vita molto solitaria — commentò Sophie, cauta. Non aveva mai pensato a come potesse essere l'immortalità: continuare a vivere mentre tutto ciò che ti è familiare cambia e tutti quelli che conosci ti lasciano.
Fecero una dozzina di passi in silenzio, poi Scatty parlò di nuovo. — Sì, è una vita molto solitaria.
— Ne so qualcosa — disse Sophie, seria. — Con mamma e papà spesso lontani e tutti i trasferimenti da una città all'altra, è difficile farsi degli amici. E quasi impossibile mantenerli. Suppongo che sia per questo che io e Josh siamo sempre stati così uniti; non avevamo nessun altro. La mia migliore amica, Elle, è a New York. Parliamo sempre al telefono, chattiamo e ci scriviamo via e-mail, ma non la vedo da Natale. Mi manda una foto col cellulare ogni volta che cambia colore di capelli, così so che aspetto ha — aggiunse con un sorriso. — Josh invece non ci prova nemmeno, a farsi degli amici.
— Gli amici sono importanti — concordò Scathach, stringendo appena il braccio di Sophie. — Ma mentre gli amici vanno e vengono, la famiglia resta.
— E la tua famiglia? La Strega di Endor ha nominato tua madre e tuo fratello. — Sophie fu assalita dai ricordi della Strega: una donna più anziana con i lineamenti pronunciati e gli occhi rosso sangue, e un giovane dalla carnagione cinerea, con splendenti capelli rossi.
La Guerriera alzò le spalle, imbarazzata. — Non parliamo molto ultimamente. I miei genitori erano Antichi Signori, nati e cresciuti a Danu Talis. Da quando nonna Dora lasciò l'isola per insegnare ai primi homines, non l'hanno mai più perdonata. Come molti altri membri dell'Antica Razza, considerano gli homines poco più che delle bestie. "Curiosità" li chiamava mio padre. — Un barlume di disgusto attraversò il viso di Scatty. — Il pregiudizio non li ha mai abbandonati. I miei rimasero ancora più scioccati quando annunciai che anch'io avrei lavorato con gli homines e combattuto per loro, proteggendoli come potevo.
— Perché? — domandò Sophie.
La voce di Scatty si addolcì. — Per me era evidente, anche allora, che gli homines rappresentavano il futuro, e che l'era delle Antiche Razze stava giungendo al termine. — Lanciò una breve occhiata a Sophie, la quale si stupì nello scoprire che gli occhi della Guerriera scintillavano, come se fossero ricoperti da un velo di lacrime. — Mi dissero che, se me ne fossi andata, avrei gettato il disonore sul nome di tutta la famiglia e mi avrebbero ripudiato.
— Ma te ne sei andata lo stesso.
La Guerriera annuì. — Me ne sono andata. Non ci siamo rivolti la parola per un millennio... finché non hanno avuto bisogno del mio aiuto — aggiunse con un mesto sorriso. — Adesso di tanto in tanto ci parliamo, ma temo che mi considerino ancora una fonte di imbarazzo.
Sophie le strinse delicatamente il braccio. Si sentiva a disagio per quello che la Guerriera le aveva raccontato, ma capiva anche che Scatty aveva appena condiviso con lei qualcosa di incredibilmente personale, qualcosa che forse non aveva mai rivelato a nessun altro. — Mi dispiace. Non volevo turbarti.
Scathach ricambiò la stretta. — Non mi hai turbato. Loro invece sì - più di duemila anni fa, in effetti - e lo ricordo ancora come fosse ieri. Era da tanto tempo che qualcuno non si prendeva il disturbo di chiedermi della mia vita. E credimi, non è stata tutta così male. Ho avuto della magnifiche avventure — aggiunse, allegra. — Ti ho raccontato di quando facevo la cantante in un gruppo rock femminile? Una specie di versione gothpunk delle Spiee Girls, ma facevamo solo pezzi di Tori Amos. Andavamo forte in Germania. — Abbassò la voce. — Il guaio era che eravamo tutte dei vampiri...
Flamel e Josh svoltarono in Rue de Dunkerque, e scoprirono che c'erano poliziotti ovunque.
— Continua a camminare — mormorò l'Alchimista. — E comportati in modo naturale.
— Naturale — mugugnò Josh. — Non so più nemmeno cosa significhi.
— A passo svelto, ma senza correre — spiegò Flamel con pazienza. — Sei un innocuo studente che sta andando a lezione. Guarda pure i poliziotti, ma non fissarli. E se qualcuno ti guarda, non distogliere subito lo sguardo, ma spostalo come se niente fosse su chi viene dopo. È quello che farebbe un cittadino qualsiasi. Se ci fermano, lascia parlare me. Andrà tutto bene. — L'Alchimista vide l'espressione scettica sul volto di Josh, e il suo sorriso si spense. — Fidati di me, faccio queste cose da moltissimo tempo. Il trucco è muoversi come se si avesse tutto il diritto di stare qui. I poliziotti sono addestrati a cercare le persone che hanno un aspetto e un comportamento strani.
— E lei non pensa che rientriamo in tutte e due le categorie? — domandò Josh.
— In qualche modo sembriamo legati... e questo ci rende invisibili.
Passarono davanti a un gruppetto di tre agenti, che non li degnarono nemmeno di uno sguardo. Josh notò che indossavano tutti un tipo diverso di uniforme, e sembravano litigare.
— Bene — commentò Flamel quando furono fuori portata d'orecchio.
— Bene, cosa?
L'Alchimista inclinò la testa nella direzione da cui erano venuti. — Hai visto le uniformi diverse? La forze di sicurezza francesi hanno un sistema complicato, a Parigi in modo particolare. C'è la Police Nationale, la Gendarmerie Nationale e la Préfecture de Police. Machiavelli ovviamente le ha chiamate tutte in causa, ma la sua più grande debolezza è sempre stata quella di presumere che gli altri siano freddi e logici come lui. Ovviamente pensa che mettendo in campo tutte le risorse della polizia, i vari agenti si preoccupino soltanto di cercarci. Ma tra le varie forze non corre buon sangue, e ognuna vorrà prendersi il merito di aver catturato i pericolosi criminali.
— Così è questo quello che lei ci ha fatto diventare, adesso? — chiese Josh con evidente amarezza. — Fino a due giorni fa, io e Sophie eravamo due persone felici e normalissime. E adesso ci guardi: riconosco a malapena mia sorella. Siamo stati inseguiti e attaccati da mostri, e ora siamo sulla lista dei ricercati numero uno della polizia francese. Ci ha fatto diventare dei criminali, signor Flamel. Ma per lei non è la prima volta, vero? Il ragazzo si ficcò le mani in tasca e chiuse i pugni per impedirsi di tremare. Era spaventato e arrabbiato, e la paura lo rendeva più impudente. Non aveva mai parlato a un adulto in quel modo prima d'allora.
— No, per me non è la prima volta — ammise Flamel, i cui occhi cominciarono a emanare bagliori minacciosi. — Sono già stato chiamato criminale, in passato. Ma solo dai miei nemici. — Dopo una lunga pausa, aggiunse: — A quanto pare, hai fatto una chiacchierata con il dottor Dee. E l'unico luogo in cui puoi averlo incontrato è Ojai, dato che ti ho perso di vista solo allora.
Josh non pensò neppure di negarlo. — Ho incontrato Dee mentre voi tre eravate occupati con la Strega — ammise in tono di sfida. — Mi ha detto molte cose sul suo conto, signor Flamel.
— Non ne dubito — mormorò l'Alchimista. Aspettò sul bordo del marciapiede che una dozzina di biciclette e motorini gli sfrecciassero davanti; poi attraversò tranquillo la strada.
Josh si affrettò a seguirlo. — Dee ha detto che lei non dice mai a nessuno tutta la verità.
— È vero — confermò Flamel. — Se a una persona dici tutto, le togli la possibilità di imparare.
— Dee ha detto che lei ha rubato il Libro di Abramo dal Louvre.
Flamel proseguì di un'altra dozzina di passi prima di annuire. — Be', suppongo che anche questo sia vero... anche se non la metterei così. Una cosa però è certa: nel Diciassettesimo secolo, il libro è finito nelle mani del cardinale Richelieu.
— E chi sarebbe?
— Non hai mai letto I tre Moschettieri7. — chiese Flamel, sbigottito.
— No. Non ho nemmeno visto il film.
L'Alchimista scosse la testa. — Ne ho una copia in negozio... — cominciò, ma si interruppe. La libreria ormai non esisteva più. — Richelieu compare come personaggio in vari libri... e in vari film, naturalmente. Ma era una persona reale, conosciuta come l'Eminence Rouge, l'Eminenza Rossa, dal colore dell'abito cardinalizio — spiegò. — Era il primo ministro di Luigi XIII, ma in realtà era lui a governare la nazione. Nel 1632 Dee riuscì a intrappolare me e Perenelle in una parte della città vecchia. I suoi agenti ci avevano circondato,- c'erano ghoul sottoterra e corvi nell'aria, e i Baonhan Sith ci inseguivano per le strade. — A quel ricordo, Flamel scosse le spalle, a disagio. Scrutò il cielo e si guardò intorno, come se si aspettasse di vedere di nuovo le creature. — Stavo cominciando a pensare se non fosse il caso di distruggere il Codice anziché vederlo cadere nelle mani di Dee. Allora Perenelle suggerì un'ultima possibilità: nascondere il libro sotto gli occhi di tutti. Semplice e geniale!
— Che cosa avete fatto?
L'Alchimista scoprì i denti candidi in un rapido sorriso. — Ho chiesto udienza al cardinale Richelieu e gli ho regalato il libro.
— Glielo ha regalato? Ma lui sapeva che cos'era?
— Naturalmente. Il Libro di Abramo il Mago è famoso, o forse dovrei dire "famigerato". La prossima volta che ti colleghi a Internet cercalo.
— Il cardinale sapeva chi era lei? — chiese Josh. Ascoltando Flamel era facile - facilissimo - credere a tutto quello che diceva. Ma poi ricordò quanto anche Dee gli fosse sembrato credibile, a Ojai.
— Richelieu credeva che fossi un discendente di Nicholas Flamel. Così gli abbiamo regalato il Libro di Abramo e lui lo ha messo nella sua biblioteca. — L'Alchimista rise piano e scosse la testa. — Il posto più sicuro di tutta la Francia.
Josh aggrottò la fronte. — Ma quando ha consultato il libro, Richelieu non si è accorto che il testo si muoveva?
— Perenelle aveva gettato una malia sul libro. È un incantesimo particolare, incredibilmente semplice, all'apparenza, anche se a me non è mai riuscito. Così quando il cardinale ha guardato il libro, ha visto quello che si aspettava di vedere: pagine coperte di scrittura greca e aramaica.
— E Dee vi ha catturati?
— Quasi. Siamo fuggiti su una chiatta sulla Senna, mentre Dee in persona ci sparava addosso dal Pont Neuf con una dozzina di moschettieri. Ma ci hanno mancati; nonostante la reputazione, erano dei pessimi tiratori — aggiunse Flamel. — E poi, un paio di settimane dopo, io e Perenelle siamo tornati a Parigi, siamo penetrati nella biblioteca e ci siamo ripresi il libro. Perciò penso che si possa dire che Dee ha ragione: sono un ladro.
Josh camminava in silenzio; non sapeva più a cosa credere. Voleva credere a Flamel; lavorando al suo fianco in libreria aveva imparato a rispettarlo, gli piaceva. Voleva fidarsi di lui... eppure non riusciva a perdonargli di aver messo Sophie in pericolo.
L'Alchimista controllò la strada nelle due direzioni; poi, mettendogli una mano sulla spalla, guidò Josh in mezzo al traffico e attraverso Rue de Dunkerque. — Solo per sicurezza, semmai qualcuno ci seguisse — bisbigliò muovendo appena le labbra mentre si insinuavano nel traffico del mattino.
Attraversata la strada, Josh scostò la mano di Flamel. — Quello che ha detto Dee sembrava credibile.
— Non ne dubito — replicò l'Alchimista. — John Dee è stato molte cose nel corso della sua lunga e movimentata vita: un mago e un matematico, un alchimista e una spia. Ma lascia che ti dica, Josh, che è stato spesso un uomo violento e sempre un bugiardo. È un maestro della menzogna e delle mezze verità, e ha esercitato e perfezionato la sua arte in una delle epoche più pericolose della Storia, l'Età Elisabettiana. Sa bene che le bugie migliori sono quelle che contengono un nocciolo di verità. — Flamel si interruppe, gli occhi che scrutavano la folla che gli fluiva intorno. — Che altro ti ha raccontato?
Josh esitò prima di rispondere. Era tentato di non rivelare tutta la sua conversazione con Dee, ma si rese conto di aver già detto troppo. — Ha raccontato che lei usa gli incantesimi del Codice unicamente per i suoi scopi personali.
L'Alchimista annui. — Non ha tutti i torti. Uso l'incantesimo dell'immortalità per tenere in vita me e Perenelle. E uso la formula della pietra filosofale per trasformare il metallo comune in oro e il carbone in diamanti. Le librerie non rendono, lasciatelo dire. Ma fabbrichiamo solo il necessario, non siamo avidi.
Josh superò Flamel e si girò a guardarlo in faccia. — Non è una questione di soldi — sbottò. — Potrebbe fare molte altre cose con quello che c'è in quel libro. Dee ha detto che lo si potrebbe usare per trasformare questo mondo in un paradiso, per curare tutte le malattie e perfino per riparare i danni ambientali. — Il ragazzo trovava incomprensibile che qualcuno potesse pensare di non farlo.
Flamel si fermò. — Sì, ci sono incantesimi nel Libro che potrebbero fare tutto questo, e molto altro ancora — disse. — Ne ho intravisti alcuni che potrebbero ridurre il mondo in cenere, e altri in grado di far fiorire i deserti. Ma anche se fossi in grado di usarli - e non lo sono - non spetta a me sfruttare il materiale contenuto nel Libro. — Gli occhi chiari di Flamel sostennero lo sguardo di Josh, che non ebbe dubbi: l'Alchimista stava dicendo la verità. — Io e Perenelle siamo solo i Guardiani del Libro. Lo custodiamo soltanto, fino al giorno in cui lo consegneremo ai suoi legittimi proprietari. Loro sapranno come usarlo.
— Ma chi sono i legittimi proprietari? Dove sono?
Nicholas Flamel posò le mani sulle spalle di Josh e lo
fissò nei suoi vivaci occhi azzurri. — Be', io spero che siate tu e Sophie. In realtà, mi sto giocando tutto - la mia vita, la vita di Perenelle, la sopravvivenza dell'intera razza umana - sul fatto che siate voi.
In quel preciso istante, fermo in Rue de Dunkerque, guardando l'Alchimista negli occhi e leggendovi la verità, Josh ebbe l'impressione che tutta la gente intorno a loro svanisse, e fu come se fossero soli in mezzo alla strada. Deglutì. — Lo crede davvero?
— Con tutto il cuore — rispose Flamel. — E tutto ciò che ho fatto... l'ho fatto per proteggere te e Sophie, e per prepararvi a quello che verrà. Credimi, Josh. Devi credermi. So che sei arrabbiato per via di quello che è successo a tua sorella, ma non permetterei mai che le fosse fatto del male.
— Sarebbe potuta morire o entrare in coma.
L'Alchimista scosse la testa. — Se fosse stata un comune essere umano, forse sì. Ma io so che lei non è affatto comune. E nemmeno tu lo sei.
— Per via della nostra aura? — chiese Josh, basandosi sul poco che sapeva.
— Perché siete i gemelli leggendari.
— E se si sbaglia? A questo ci ha pensato? Che succede se si sbaglia?
— Allora gli Oscuri Signori faranno ritorno.
— Sarebbe tanto grave?
Flamel fece per replicare ma strinse subito le labbra, ricacciandosi in gola quello che stava per dire.
Josh scorse comunque il lampo di rabbia che gli passò sul viso.
Alla fine, l'Alchimista si sforzò di sorridere. Con delicatezza, fece girare Josh in modo che fronteggiasse la strada. — Che cosa vedi? — chiese.
Il ragazzo scosse la testa, stringendosi nelle spalle. — Niente... solo un mucchio di gente che va al lavoro. E i poliziotti che ci cercano.
— Non considerarli solo un mucchio di gente — lo rimproverò Flamel. — È così che Dee e quelli del suo stampo vedono l'umanità, o gli homines, come li chiamano loro. Io vedo individui, con i loro affanni e le loro preoccupazioni, con famiglie e affetti, amici e colleghi. Io vedo persone.
Josh scosse la testa. — Non capisco.
— Per Dee e gli Oscuri Signori suoi padroni, queste persone sono soltanto degli schiavi. — L'Alchimista scosse la testa, poi aggiunse: — O del cibo.